Corrado Bagnoli (voce)
![]() La scatola dei chiodi
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autori: | Corrado Bagnoli |
formato: | Libro |
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Corrado Bagnoli legge "Poi succede come con l’amore" e "Perché questo è il nodo: tenersi"
pubblicate ne “La scatola dei chiodi”, ed La Vita Felice, 2008
Corrado Bagnoli laureato in filosofia, è insegnante di lettere nella scuola media. Dal 2004 è curatore della collana di libri d’arte “Fiori di Torchio” editi dal Circolo Culturale “Seregn de la Memoria” ; è redattore della rivista “La Mosca di Milano” e della collana di poesia, saggi e traduzioni “Sguardi” delle edizioni La Vita Felice. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: “Uichendtuttoattaccato” (romanzo, Edizioni Joker, 2003); “Ti scriverò un paese"( poesie, Il bosco d’acqua, 1998); “Terra bianca” (poesie, Book Editore, 2000); “Nel vero delle cose” (poesie, Book Editore, 2003); “Fuori i secondi” (poema con versione dialettale a fronte di Piero Marelli, La Vita Felice, 2005), recentemente pubblicato per i tipi di Arché in una nuova edizione scolastica; “La scatola dei chiodi” (poesie, La Vita Felice, 2008);“In tasca e dentro gli occhi” ( poesie, Raffaelli Editore, premio Clandestino 2009). Sue poesie e suoi saggi compaiono in numerose riviste e in varie opere antologiche tra cui ricordiamo qui “La poesia e la carne”, a cura di Mario Fresa e Tiziano Salari, La Vita Felice, 2009.
Poi succede come con l’amore,
che la consuetudine lo chiama
a un bivio dove muore sotto
un vestito di gesti sparsi senza
fiato, o si scava un fiume più
profondo e lento in cui la goccia,
la sorgente esplosiva scende
e s’accuccia piano, diventa
più vera, tirandosi dietro tutto
ciò che trova: rami, foglie, sassi,
stracci; tutta la vita e tutta
la morte si tira dietro, si tiene
in grembo. I tuoi occhi lunghi
erano così: mi ci sdraiavo dentro;
ci stavo con la mia fame non troppo
segreta e tu ti lasciavi mordere;
ci camminavo, mi perdevo e tu
eri un paese ospitale, acque e sentieri
che mi portavano a casa; eri tu,
la casa che abitavo nei tuoi occhi
lunghi, un’abitudine calda,
qualcosa che ti si scioglie intorno
eppure ti contiene e salva.
Mentre ti porta via, però, perché
si scende insieme, si cade, lenti
o no, si cade dove è ancora
più profondo, dove è ancora
più forte e dura la corda che ci lega.
E poi siamo solo dono, grazia
in mare aperto, roba buona
da mangiare per il cielo.
Perché questo è il nodo: tenersi
eppure andare. La carità un lavoro
d’ogni giorno, fatica consapevole
che imparo ancora da te, nell’ora
del tuo compleanno che mi chiedi
in regalo la cima. – Come? Niente
vestiti, bracciali, gingilli lucidi
come i tuoi anni? – No: la montagna,
l’alta via e le gallerie scavate
nella roccia, l’odore di guerra ancora
tra l’acqua e il buio; poi, in fondo,
alla fine del corpo piegato, dello sguardo
affaticato, la luce è l’unica parete,
taglio, strapiombo sopra il lago,
casa del cielo dentro cui respiri
aggrappandoti alla corda, al ferro
che m’inquieta. E sei l’aria e sei
il tempo chiuso e aperto insieme
nelle mani. Io quasipianto che si scrive
sul quaderno del bivacco, tremore
che si scioglie perché quella bellezza
che volevi, quel regalo inaspettato
che chiedevi, sei tu adesso, te lo porti
più che una collana, luminoso più
di un orecchino, d’un ciondolo d’oro
a impreziosirti il volto, la pelle scura
di sole e gli occhi chiari di grazie.
Più tardi, a valle, la chiesa si apre
con uno slargo di ciottoli verso
il muro basso del cimitero; dal sagrato
dove giocano i bambini, le tombe
non sono però l’orizzonte: sopra loro,
al di là dei marmi rossi e dei bianchi,
la montagna ci ride di nuovo di verde.
Il perdono della luce è più forte,
il suo fiato tenace più della morte.
Non è questo che dobbiamo imparare?
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