Corsera La lettura 19.8.15 Rinasce un’idea di poesia [Giovanna Rosadini]
Poeti e critici di grande calibro la rendono sempre più viva: la poesia sta benissimo e gode di grande attenzione, il dibattito è vivace sui giornali e in rete
Continua il confronto sulla poesia, iniziato con un articolo di Paolo Di Stefano su «la Lettura» numero 193 del 9 agosto. Qui un articolo della poetessa Giovanna Rosadini.
In precedenza erano intervenuti Chiara Fenoglio, Alberto Casadei e Alessandro Trocino
di GIOVANNA ROSADINI
Corsera La lettura 19.8.15
Sono un poeta, ma posso spiegarti. Parafrasi del titolo dell’ultima raccolta di poesia di Guido Catalano (Ti amo, ma posso spiegarti, Miraggi edizioni) e punto di partenza possibile per l’esplorazione di un mondo «poetico» parallelo a quello raccontato da Paolo Di Stefano sulla «Lettura» del 9 agosto (in edicola fino al 14). Il mercato soffre e periodicamente, nonostante il bilancio ottimistico finale («Evviva, la poesia è viva»), c’è chi canta l’epicedio di una forma letteraria sempre più distante dalle nuove generazioni. Eppure, un’altra poesia è possibile. Anzi, è già tra noi.
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
Si fa un gran parlare, ultimamente, della poesia. Non solo sulle terze pagine dei quotidiani e sui loro supplementi culturali, dove il dibattito è nato (a partire da un articolo di Alessandro Zaccuri su Avvenire a chiosa delle voci di chiusura della più famosa tra le collane di poesia, «Lo Specchio» di Mondadori). Ma anche in rete, dove il dibattito è proseguito fra blog e social network. Fra gli intervenuti, personalità del calibro di Alfonso Berardinelli, che da par suo («il maggior critico di poesia fra quelli in attività», secondo Andrea Cortellessa, che pure la pensa assai diversamente) ha tuonato dalle pagine del Foglio contro la poesia d’oggi, per lo più illeggibile perché guastata dal tarlo della neoavanguardia: «leggere o rileggere molta poesia delle neoavanguardie è impossibile perché è inutile (…)».
E il fatto che non abbia mercato, o ne abbia uno molto più limitato rispetto alla narrativa, non la rende un’arte migliore e più onesta, ma, al contrario, più sterile.
Non sono d’accordo il già citato Cortellessa e Gilda Policastro, che replicano dal web. Il primo ribadendo l’inutilità del pubblicare poesia e il suo carattere elitario da un lato, ma la sua necessità in un contesto di seria politica culturale orientata al futuro e alla creazione di un valore aggiunto, ai fini di una sensibilizzazione del pubblico dei lettori e della creazione di un «bene comune». La seconda difendendo la bontà della proposta neoavanguardista e dei suoi «derivati o postumi, dal Gruppo 93 alle aree di ricerca attuali», rivendicandone l’azione di rinnovamento e sfida intellettuale, e dandola ormai come esperienza acquisita e storicizzata per le nuove generazioni. Le quali, d’altra parte, più che dalle collane tradizionali pescano da quelle di nicchia o fuori mercato, ma soprattutto dalla rete, e fuori dal recinto protetto dei generi (per cui chi fa poesia si forma, oggi, su tutte le arti).
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
La poesia è viva (nonostante tutto)
Al di là delle posizioni e ragioni dell’una e dell’altra parte, e dei destini editoriali della poesia, il dibattito sta evolvendo concentrandosi più specificamente sul significato del fare poesia, si sta trasformando (per esempio con l’intervento di Franco Loi, uno dei grandi vecchi della poesia italiana, sulle pagine del Domenicale del Sole 24 Ore) in qualcos’altro. Cioè, in una discussione su cosa sia la poesia e come avvenga che la si scriva. Loi offre il suo contributo, e lo fa magistralmente, da un punto di vista autorial-esperienziale, definendo la poesia come «un movimento che attraversa l’uomo», così come lo sono le emozioni e l’amore. In questo senso, la poesia è un qualche cosa che accomuna tutti. «La poesia è quel moto che nasce dal nostro essere», prosegue, «Il mezzo che usa è la parola». Poi, in merito al fare poesia: «I grandi poeti, che hanno anche scritto e riflettuto sulla poesia, dicono tutti una cosa: fondamentale è lo stupore che il poeta prova di fronte alla propria espressione». Lo ha detto con altre parole la grande poetessa russa Marina Cvetaeva, nel suo Il poeta e il tempo: «La poesia è qualcosa, o qualcuno, che dentro di noi vuole disperatamente essere».
Dunque il carattere di necessità della poesia, e anche di ineluttabilità. «Noi non scriviamo, siamo scritti», affermava Jean Cocteau, poeta e intellettuale francese fra i più acuti del Novecento. Cosa che ho avuto modo di riscontrare personalmente, negli anni in cui facevo l’editor per Einaudi, lavorando con alcuni dei grandi poeti italiani degli ultimi decenni. Ricordo la sapienza istintiva con cui Alda Merini dettava e correggeva le sue poesie, e mi è rimasta impressa la frase pronunciata, durante una revisione di bozze, da Raffaello Baldini: «Il poeta è il punto di incrocio di una serie di forze che lo trascendono (…)». Non credo di sbagliarmi di molto, poi, se ravviso (mi è parso di ravvisare, durante la partecipazione, da autrice o curatrice, a presentazioni editoriali o festival e kermesse letterari) lo stesso tipo di necessità anche da parte del pubblico della poesia, certo non un pubblico da grandi numeri, come quelli che assicurano media oggi più popolari, ma pur sempre un pubblico fedele, di appassionati ed estimatori. Sarà perché, come ha scritto Loi, la poesia «non solo porta alla coscienza tanta parte di noi, ma cambia noi stessi, cambia il rapporto fra noi e la profondità di noi. E’ quello che chiamiamo intuizione (…) La poesia è dunque uno dei grandi mezzi per raggiungere con la “coscienza” il nostro proprio essere».
Questo tipo di considerazioni inducono a un maggior ottimismo sui destini della poesia, quale è quello che emerge dall’intervento in rete del poeta e critico Paolo Febbraro, che rileva come, negli ultimi vent’anni, la capacità propositiva di una collana prestigiosa quale «Lo Specchio» si sia appannata, di contro al lavoro di editori minori ma attenti alla qualità come Donzelli, Sossella o altri, anche per colpa della mancanza di sinergie con i critici e gli storici della letteratura… Da cui l’esigenza di «una nuova serie di imprese antologiche e critiche, un serio confronto sulle radici della nostra poesia, sui motivi del suo discredito, sui vizi storiografici che hanno portato a non vederla più anche quando c’è e a non segnalare quando viene pubblicata immeritatamente». Anche Andrea Cortellessa registra l’affermazione progressiva di «un’editoria a doppia velocità, come l’Europa», da una parte i grandi gruppi editoriali, dall’altra la riserva indiana dell’editoria indipendente e dell’emergente realtà della rete; e Paolo Di Stefano, nella sua accurata ricognizione, uscita per «La Lettura» (Evviva, la poesia è ancora viva, sul #193 del 9 agosto, NdR), prende proprio quest’ultimo dato quale segno più tangibile della vitalità della poesia, come testimonia la mappatura degli autori allegata e nonostante il restringimento degli spazi nelle collane storiche dei grandi editori. In rete, se possibile, il dibattito è ancora più animato. Scrivere e pubblicare poesia è utile o inutile?
«Meglio parlare di gratuità, di dono, — chiarisce il poeta Andrea Temporelli —, da ficcare nella gola del Mercato come un osso immasticabile. Perché tutta la vita, appunto, è un dono. Perché la felicità stessa non è il risultato di un commercio, ma arriva gratis». Fra i gruppi di discussione quello promosso da Alessandro Canzian, alias Samuele editore, (una di quelle «eroiche» realtà poetico-editoriali citate da Di Stefano), che, riprendendo con un paradosso (quello della poesia «vegana», cioè sostanzialmente indefinibile), l’articolo di quest’ultimo, si interroga sul significato dell’entità «poesia», sui criteri atti a valutarla, a suo avviso oggi inesistenti, e su chi possa dirsi o definirsi poeta. Ho provato a ipotizzare qualche risposta. Per quanto riguarda quella che viene percepita come un’assenza di criteri valutativi (della poesia e dei poeti): certo (per fortuna) non esistono criteri universali, buoni per tutti. Ciascuno ha i suoi, dettati dall’esperienza, dal gusto, dal proprio background culturale. Questo personalmente lo vedo come un bene, non come un problema. Ci mancherebbe altro che esistesse un Pensiero unico in poesia! Dunque, così come certamente chi lavora nell’editoria applica dei criteri di valutazione variabili, basati per lo più sull’esperienza e sulle attitudini delle singole case editrici, così avviene anche per i critici, ciascuno dei quali, nell’odierna assenza di scuole di pensiero portanti e certificate, ha una propria sensibilità e applica un suo metodo. Infine, a me pare, partendo dalla mia esperienza prima nella macchina editoriale e poi come autrice (oltre che, in entrambi i casi, come fruitrice), che la poesia sia un mondo, piccolo ma variegato e complesso, anzi: una comunità.
Formata da chi la scrive, chi la legge, chi la pubblica, e chi ne scrive o a lei si interessa. Quasi sempre questi ruoli si sovrappongono: un poeta è lettore onnivoro (si spera) delle altrui poesie, e per lo più critico competente. Per non parlare degli editori, in alcuni casi poeti in proprio (come Antonio Riccardi, ex editor mondadoriano dello Specchio, e lo stesso Canzian). I gruppi di discussione che pullulano in rete sull’argomento sono un esempio dell’esistenza di questa comunità, di cui già avevo avuto esperienza con la frequentazione degli amici poeti e l’interazione col pubblico della poesia, alle presentazioni o in altri eventi pubblici… Di questa comunità fanno parte sia i «professionisti» del settore che gli amatori, gli appassionati e chiunque si dedichi alla scrittura in versi; ne fa parte l’autore che vende molto e quello che vende meno, i lirici così come gli sperimentali, i poeti più tradizionalmente legati al supporto cartaceo così come i performativi… Se si prende e pensa il mondo della poesia come una comunità, fatta di persone in carne e ossa che, in un vortice di energia tangibile, scrivono e interagiscono, ebbene, non ci sono dubbi, la poesia è viva, vivissima, eccoci, siamo noi, siamo qui, ciascuno con i propri moduli e stilemi, viva la diversità, ciascuno (autori e fruitori) con le proprie legittime preferenze e idiosincrasie, ciascuno con le proprie ossessioni… Il bello, per chi ha questa passione o necessità (e qui sta, a mio parere, il vero discrimine) è partecipare di questo (litigiosissimo, permalosissimo, e anche per questo vitale) mondo… Sarà poi il tempo, il processo di storicizzazione (e canonizzazione), a dire chi saranno i grandi del secolo… ma, intanto, è stato bello esserci, fare la nostra parte. Fare quella che, magari, è l’unica cosa che sappiamo fare: comunicare un’emozione scrivendo versi.