Isabella Morra, poeta “Sexum Superando” (di G. M. Reale)
La poesia femminile come canone del “nonostante”
Il Cinquecento è dominato dal petrarchismo imposto da Pietro Bembo, che con le sue Prose della volgar lingua, apparse nel 1525, e con le Rime del 1530, individua in Petrarca il modello della poesia lirica, dando vita a un vero e proprio codice di comunicazione culturale e sociale di élite.
Tra le due opere del Bembo si pone il Libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione, che viene pubblicato da Aldo Manuzio nel 1528 e che diffonde l’immagine della “donna di palazzo”, speculare a quella del cortigiano. La conferma dell’affermazione di tali modelli viene data per contrasto dalla diffusione di interpretazioni antifrastiche e/o parodiche, quale ad esempio quella della Cortigiana di Pietro Aretino.
Per il cortigiano come per la donna di palazzo è valida la “regula universalissima” del decoro, della grazia, della misura e della sprezzatura, termine che Castiglione carica di valenze positive e che fa diventare sinonimo di eleganza disinvolta, soprattutto nell’arte della parola (alla sprezzatura ha dedicato memorabili riflessioni in tempi a noi più vicini Cristina Campo).
Lingua e comportamenti sociali si sovrappongono, diventano inscindibili. Il carattere élitario della lingua e della letteratura, anche grazie al diffondersi del platonismo, si riflette e si allarga all’esperienza amorosa ed esistenziale, non solo dell’uomo ma anche della donna. La cultura diventa status sociale anche per la donna, e gli effetti non tarderanno ad arrivare, visto che la pubblicazione del primo canzoniere femminile (quello di Vittoria Colonna) avverrà pochi anni dopo, nel 1538. Altri ne seguiranno: quello di Tullia d’Aragona, di Chiara Matraini, di Louise Labé, di Veronica Franco, di Vittoria Gambara.
La pubblicazione delle poesie di Isabella Morra – poetessa lucana di nobili origini, nata probabilmente nel 1520 e vissuta isolata nel castello paterno arroccato sul mare a Favale, in una Lucania selvaggia, aspra e deserta – risale al 1552, a cura di Ludovico Dolce, il quale nelle Rime di diversi illustri signori napoletani pubblicò, presso l’editore Giolito di Venezia, otto sonetti e una canzone del suo scarno Canzoniere, che conta in totale dieci sonetti e tre canzoni.
Nel 1546 Isabella fu uccisa barbaramente dai fratelli perché sospettata di intrattenere una relazione con un uomo sposato, Diego Sandoval De Castro.
Alla vicenda e alla figura della Morra Benedetto Croce ha dedicato una delle sue Vite di avventure, di fede e di passione, divenuta poi un volume della Sellerio con il titolo Isabella di Morra e Diego Sandoval De Castro. Sottolineando il carattere “personale” della poesia di Isabella Morra, Croce ha voluto evidenziarne implicitamente l’originalità e il “ non vedervisi segno alcuno di esercitazione o bellurie letteraria”. Ma il pregio, per Croce, costituisce lo stesso limite della poetessa lucana, come della poesia femminile in genere: “questo abbandono al sentimento, è la virtù della migliore poesia femminile, e ne è anche d’ordinario il limite”, anche se le riconosce di sollevarsi più volte ad altezze di vera poesia, secondo le sue note categorie critiche. La sterilità dell’impostazione critica di Croce, per il quale la carica emotiva è di volta in volta ascritta a pregio o a difetto, è giustamente sottolineata da M. A Grignani nel libro “Introduzione a Isabella Morra. Il canone della codificazione petrarchesco-bembesca e l’autobiografismo costituiscono una sorta di luogo comune nella ricezione della poesia “per voce femminile”, fino a divenire un topos negativo. La produzione poetica femminile nel Cinquecento, e fino a un passato recente, ha dovuto fare i conti con un consolidato canone maschile.
È nota, del resto, l’affermazione con cui Marcantonio Morra – nipote di Isabella e una tra le poche fonti biografiche probanti – ne mette in luce le capacità intellettuali e artistiche nonostante la sua condizione di donna : “Sexum Superando”, espressione che ha dato il titolo anche al film di Marta Bifani dedicato a Isabella Morra. Il film ha il pregio inquadrare la sua morte all’interno di un quadro storico tramato di interessi politici ed economici contrapposti, quelli filospagnoli di Antonia Caracciolo, moglie di Diego Sandoval De Castro, e quelli filo francesi dei Morra, facendole perdere in parte l’aura della tragedia a tinte fosche che un delitto rubricato come “delitto d’onore” trascina con sé.
Se il fascino esercitato sui lettori da biografie travagliate e accidentate, quale appunto quella di I. Morra, è innegabile, ancor più lo è il persistere di atteggiamenti critici che vedono i frutti della voce poetica femminile come figli di un dio minore, con la necessità congenita di dover dimostrare un surplus di valore che ne attesti il valore artistico “nonostante” l’essere donne.
Inoltre Isabella Morra in mezzo alle voci “soliste” della poesia femminile del Cinquecento fa fatica a trovare una sua specificità per l’esilità del canzoniere, ma soprattutto per la decentrazione geografica in cui condusse e terminò la sua vita:
I fieri assalti di crudel fortuna
scrivo piangendo, e la mia verde etate;
me che ‘n sì vili ed orride contrate
spendo il mio tempo senza loda alcuna.
(Rime, I)
Nella “valle inferna”, “il denigrato sito” in cui la giovane Isabella è costretta a spendere il proprio tempo tra “ignudi spirti di virtute e cassi”, gente ignorante e senza virtù, in questo luogo che sembra annunciare la Recanati di Leopardi, Isabella Morra riesce a padroneggiare lo spirito e il codice di un’epoca, senza che questo le venga attribuito a merito. Riesce ad andare oltre la codificazione corrente, e a darsi un profilo personale all’interno di un orizzonte comune, non solo alle rimatrici ma anche ai rimatori dell’epoca. Ma, come la fama di Vittoria Colonna appare legata all’opinione di Michelangelo Buonarroti, che volendo renderle il massimo omaggio le attribuisce “l’ingegno di un uomo, anzi di un dio”, e quella di Gaspara Stampa alla citazione di un suo verso da parte di Gabriele d’Annunzio nel romanzo Il fuoco, anche la diffusione della poesia della Morra rimane legata al concetto di “sexum superando” espresso da Marcantonio Morra.
Giusi Maria Reale