L. Gazzino – Traduzione tra arte e mestiere

La testa reclinata di lato, aperti in pagine diverse i dizionari, fogli sparsi e ogni muscolo impegnato nell’atto di tradurre.
Dalle dita all’avambraccio, su su alle spalle, alla nuca fino alla testa chiusa in un elmo di passaggi d’informazioni da una lingua all’altra.
Il mestiere è questo: impegna il corpo quando la spasmodica ricerca di un termine corretto, armonioso, musicale non ti permette per giorni di avere una vita quasi normale, persino i polpacci si contraggono e la pelle si increspa in brividi che ricordano molto uno stato febbrile.
Il mestiere del tradurre è come una cassetta degli attrezzi in cui si trovano i grimaldelli e i cacciaviti adatti ad aprire porte altrimenti non apribili che da pochi. Non mi riferisco soltanto al lavoro più “nobile” – tradurre i grandi nomi della poesia o della narrativa – ma anche alle complesse traduzioni tecniche, agli interminabili e noiosi manuali d’istruzioni… insomma dalle onduline sottotetto al verso più sublime della poesia mondiale.
E poi c’è la traduzione come passione che non può esistere se il mestiere è stato snobbato, dimenticato, abbandonato. La passione, l’amore avvolgono, catturano, rapiscono i sensi .
Disperatamente è impossibile staccare l’attenzione da quello scrittore o da quel poeta che credi possa trasmettere anche agli altri le emozioni che lascia a te sulla pelle e nel cuore.
Non importa che sia importante, che sia noto è importante che quei versi, quelle parole risuonino talmente forte per poterle donare agli altri.
L’incontro con la poesia o con la narrativa può essere casuale, può essere indotto, può essere ricercato, scatta comunque sempre un suono, una vibrazione che prima non esisteva, che era passata inosservata, inascoltata e da qui inizia un viaggio senza destinazione precisa.
Il mio viaggio ha cambiato rotta una sera di primo autunno quando il grande Poeta americano Jack Hirschman mi suggerì di tradurre alcune delle poesie friulane di Pasolini in inglese.
Mi intimoriva tradurre il grande maestro.
Per mesi divenne il mio primo e il mio ultimo pensiero, mentre scoprivo il suo pianto sommesso e la sua voglia di vivere; per mesi ho sfidato quella mia paura di profanare le sue parole ma le sfumature di quei versi erano i suoni della mia lingua materna, era la musica che aveva accompagnato tutta la mia vita e paradossalmente quella lingua talvolta aspra, talvolta dolce, chiusa nella mancata evoluzione e così simile alla originaria parlata di mille anni fa, possedeva le stesse sonorità della lingua sassone in cui doveva essere tramutata.
Pasolini stesso disse di aver iniziato a scrivere poesie in friulano quando ascoltò per la prima volta la parola “rosàda” (rugiada), un suono simile al profumo e al sapore di sua madre.
Se Susanna Colussi Pasolini non fosse stata friulana, ma campana o ligure, Pier Paolo avrebbe scritto in quella lingua locale, in quel dialetto che rappresentava certamente un’identità precisa che, senza creare falsi nazionalismi, era un’identità di anime.
Chiedersi oggi se queste lingue così piccole debbano continuare ad esistere è diventato un problema politico mentre dovrebbe essere considerato un problema insito nel valore della persona che riesce ad essere bilingue o addirittura poliglotta: per ogni lingua sei una persona in più che può comunicare con un mondo in più.
La globalizzazione linguistica potrebbe sembrare un facile metodo comunicativo sebbene quotidianamente abbiamo l’esempio di parlanti uno stesso idioma che si comprendono molto poco, mentre lo sforzo comunicativo che avviene nella trasmissione fra due stranieri innesca un meccanismo di empatia.
Poniamo il caso dell’India attuale: i potenti e ricchi industriali, tutti formatisi un tempo nelle Università inglesi o americane, comunicano in inglese:
E’ un inglese imperialista asettico, senza emozioni, non sono degli occidentali e non desiderano somigliarci, ma parlano una lingua che permette loro potere, quando raccontano di sé non ci dicono nulla mentre l’immigrato ha una storia da raccontarci in una lingua di puro meticciato, inglese-urdu-dialetto locale-italiano e tutte le lingue che nel suo percorso ha incontrato.
Questa lingua è una lingua viva e l’identità, che vi alberga, è un’identità reale. Poniamo il caso del tibetano: certo i poeti esuli in India scrivono in inglese per gridare al mondo il loro “essere senza terra” ma la lingua tibetana permette loro di avere ancora una nazione, una patria.
In qualsiasi luogo vi sia un dialetto, una lingua locale, una lingua antica trasmessa con il latte e le ninne nanne, lì deve esserci un traduttore e il più delle volte il traduttore è lo scrittore stesso che sente l’esigenza di allargare la cerchia i suoi lettori.
Non dobbiamo cadere nell’inganno di pensare che quei versi potessero essere scritti in una lingua nazionale o transnazionale poiché essi non potevano nascere in un suono diverso .
La traduzione è entrare nel verso altrui, è scavarne il significato più profondo, è fare propria una musica linguistica diversa ma quel verso che nasce con quella nota è propria solo della sua lingua materna, dell’origine della sua essenza.
Lucia Gazzino
Articolo sul sito dell’Ass.ne di cultura poetica e altro Pionirs
Lucia Gazzino nata il 13 Dicembre 1959 vive a Udine, sua città di origine, dove oltre a svolgere l’attività di traduttrice, collabora alla stesura di testi per filmati storico – didattici e pubblicità progresso inoltre si occupa di archeologia sperimentale. Scrive nelle sue due lingue materne il Friulano e l’Italiano. Sue poesie sono state tradotte in Inglese e in Tedesco
Pubblicazioni:
Fiori di Papiro, Firenze Libri Editore, Firenze, 1988
La Casa delle Carte – Le cjase des cjartis, Aura Editrice, Udine, 2002
Alter Mundus, LietoColle Editore, Parè CO, 2004
Video Poetico
Viaggiatori senza Valigia, Arte Video – Video Produzioni, Palmanova UD, 2002
Traduzioni:
The New Youth by Pier Paolo Pasolini, con introduzione di Jack Hirschmann – Marimbo Press- CC Marimbo, Berkeley (California –USA), 2005
E’ presente nelle seguenti antologie:
La poesia salverà il mondo, Nuovi Mondi Media, Ozzano dell’Emilia BO, 2003
Avere un nome, Liberodiscrivere Editore, Genova, 2003
Exodus Luca Pensa Editore, Cavallino, LE, 2004
Pace e Libertà, La Comune , Roma, 2004
Il segreto della fragole, Agenda 2005, Lietocolle, Parè CO, 2004
Viadalfreddo, Editoriale Nuovo Friuli Soc. Coop. Udine 2006