La poesia? Non la vuole più nessuno, nemmeno Mondadori... (Il Giornale 14.7.15 Davide Brullo)
14/07/2015 Davide Brullo su il Giornale
Alessandro Zaccuri ha lanciato l’inquieto interrogativo via Avvenire (Mondadori rinuncerà alla «storica collana» di poesia, “Lo specchio”?) dandosi una prima risposta: «alle grandi case editrici la poesia sembra non interessare più». Sono seguiti un rosario di piagnistei. Il problema in realtà non esiste: se Mondadori vuol fare i soldi con i libri fa bene a non pubblicare più i poeti, che notoriamente, in questo Paese dove i poeti proliferano come i funghi dopo l’acquazzone ma la poesia è morta da troppo tempo, non vendono. Il problema, semmai, è capire che il mercato difficilmente va a braccetto con la cultura. Insomma, tutti sanno che per vendere devi pubblicare roba che piace a tutti, cioè robaccia.
Inutile arrampicarsi sugli specchi de “Lo specchio”, dunque; la magagna, d’altronde, esiste da trent’anni, quando Giovanni Raboni, poeta di ben altro spessore rispetto ad Antonio Riccardi, che da Segrate se ne è andato poco fa, era il 25 giugno del 1985, stigmatizzava «la forte diminuzione delle uscite dello “Specchio”», ma soprattutto «la scarsissima presenza, negli attuali programmi della Mondadori, di un lavoro di ricerca e valorizzazione di nuovi autori».
L’unica cosa che nessuno dice, infatti, è che la collana de “Lo specchio” andava chiusa da quel dì. Perché? Perché, come già aveva intuito Raboni, si pubblicano sempre i soliti poeti italiani, gli amici di Segrate: Maurizio Cucchi e Silvio Ramat, Mario Santagostini, Valentino Zeichen e Franco Buffoni e Giancarlo Majorino e Milo De Angelis, il cui ultimo libro, Incontri e agguati, non è assolutamente «uno dei libri più importanti per la letteratura», come vorrebbe, con miele retorico, Pietrangelo Buttafuoco, ma l’ultimo, affannato afflato lirico di un poeta che non trova più la marcia giusta dal 1999, da Biografia sommaria.
E quando non sono i poeti, si fa il favore all’amico scrittore di fama (Vincenzo Cerami) o al senatore con lo sfizio della poesia (Sergio Zavoli). Insomma, “Lo specchio” è la collana poetica più anonima e politicamente corretta del Paese, che pubblica gli autori stranieri più ovvi, ormai dei classici nel loro cantone, dei Nobel o poco ci manca (Philip Levine, Mark Strand, Yves Bonnefoy, Michael Krüger) e quando prova a lanciare dei giovani (lo fece nel 2011, scagliando nelle fauci del mercato quattro plaquette ormai introvabili) è un disastro.
D’altronde, la rinuncia alla poesia è cominciata nel 2010, con la morte del mitologico Almanacco dello specchio, la cui “missione” è stata raccolta, dal 2013, dal piccolo editore Raffaelli (con risultati economici quasi nulli). Ecco, la poesia, la grandissima poesia, è sorta sempre tra le vigne dei piccoli editori, Scheiwiller prima, Crocetti, Raffaelli, La Vita Felice ora.
Fuori dal mercato, al di là della fama, fuori da tutto. Materia povera e pudica, da amare e desiderare. I poeti quando li metti sotto i riflettori perdono la faccia, diventano anchorman, fanno ridere. Se “Lo specchio”, ormai un esercizio delle vanità (specchio specchio delle mie brame dimmi chi è il poeta più bravo del reame), chiude le saracinesche la poesia avrà da guadagnarne.