Testimonianza di Maria Carla Baroni per la Maestra Ada Negri

ADA NEGRI Presentazione alla Casa Museo Alda Merini -12 giugno 2014 - Maria Carla Baroni
Ho scelto di presentare Ada Negri per l’affinità sociopolitica che ci unisce, in quanto era stata chiamata la poetessa del Quarto Stato, non perché la consideri la mia maestra. Non ritengo che la poesia possa essere insegnata: è un dono che si riceve in sorte e altre persone possono solo dare suggerimenti per migliorare la forma , il linguaggio (non è poco, in quanto la poesia è anche forma). E’ quello che è successo a me, comunque da parte di persone non certo del passato, ma vive oggi.
Ada Negri nacque a Lodi, tra i vapori umidi e freddi della pianura lombarda, il 3 febbraio 1870 (l’anno della Breccia di Porta Pia, tanto per inquadrare il periodo storico), da padre manovale e madre operaia tessile quando le condizioni di vita e di lavoro per i ceti popolari erano molto peggiori di quelle odierne e i diritti inesistenti.
Il padre morì quando Ada aveva solo un anno e la madre Vittoria moltiplicò i ritmi di lavoro già onimani per riuscire a mantenere la figlia, oltre a se stessa, e a farla studiare, fatto eccezionale per la gente di campagna di quell’epoca, specialmente per una ragazza. Nel 1883 la tredicenne Ada, che aveva mostrato una precoce vivacità intellettuale e passione per la letteratura, fu iscritta alla Scuola Normale Femminile di Lodi, una sorta di istituto magistrale per la formazione dei docenti della scuola elementare. Dopo il diploma, nel 1888, fu nominata insegnante interna presso il collegio femminile “Pietra Santa” di Codogno e l’anno successivo fu assegnata all’istituto elementare di Motta Visconti, nel Milanese.
Mentre insegnava, non ancora ventenne, iniziò a scrivere, soprattutto poesie, che inviò al periodico locale “Fanfulla da Lodi”. La sua fortuna letteraria iniziò quando i suoi versi capitarono in mano al critico Raffello Barbiera, che li fece pubblicare sulla prestigiosa rivista “Illustrazione Italiana” .
Nel 1892 l’editore milanese Treves diede alle stampe la prima raccolta di liriche, Fatalità. Fu un successo clamoroso, imprevedibile; una maestrina ventiduenne di famiglia operaia, che aveva visto il mondo solo dalla portineria di un palazzo nobiliare in cui viveva con la nonna portiera mentre la madre lavorava e pativa in filanda, era letta e apprezzata anche da critici e letterati.
Nel 1893 Giuseppe Zanardelli, ministro della Pubblica Istruzione, le conferì la qualifica di docente ad honorem presso le scuole normali e Ada potè passare a insegnare presso l’istituto superiore “Gaetana Agnesi” di Milano. Si trasferì nel capoluogo lombardo, allora la più vivace città del regno dal punto di vista culturale e politico, e vi conobbe Anna Kuliscioff e Filippo Turati, che proprio nel 1892 aveva dato vita al Partito dei Lavoratori Italiani.
Nel 1894 le fu assegnato il premio “Milli” per la poesia e l’anno seguente uscì la nuova raccolta di liriche Tempeste, che accrebbe la notorietà dell’autrice. Ada lasciò l’insegnamento per dedicarsi interamente alla scrittura e al giornalismo. Collaborò anche con il recente ma già autorevole “Corriere della Sera”.
Nel 1896 si unì in matrimonio a un industriale tessile di Biella, ma l’amore si spense presto e il matrimonio fu infelice. Le nacque una figlia e una seconda, due anni dopo, morì poche settimane dopo il parto. Nel 1913, separatasi dal marito, andò a vivere a Zurigo. Nel 1919 si innamorò perdutamente di un uomo che morì a causa della “Spagnola”, la più virulenta pandemia influenzale della storia dell’Europa contemporanea, che si portò via quaranta milioni di persone in tutto il mondo.
La vita di Ada fu molto intensa, sia dal punto di vista personale, sia a causa del periodo storico in cui visse: due guerre mondiali, i moti sociali a cavallo dei due secoli e il fascismo. Si spense nel sonno nel febbraio 1945.
Oltre alle due raccolte già citate pubblicò molte opere in poesia, che accompagnarono le varie fasi anche psicologiche ed emotive della sua vita (Maternità, Dal profondo, Esilio, Il libro di Mara, I Canti dell’Isola, Vespertina, Il dono, Fons Amoris), virando come contenuto dalla denuncia sociale ai temi esistenziali, dall’amore come passione carnale alla maternità, dalla solitudine all’incertezza del futuro e alla ineluttabilità della morte, alla bellezza della natura e in particolar modo dei fiori. Parallelamente mutò anche il registro stilistico, dai sonori e martellanti endecasillabi e settenari delle prime raccolte ai versi liberi di quelle successive, più consoni a esprimere una sofferta intimità.
Ada scrisse anche in prosa, le raccolte di racconti Le solitarie, Finestre alte, Le strade, Sorelle, e soprattutto il romanzo autobiografico Stella mattutina, considerato da alcuni il suo capolavoro, pubblicato nel 1921, che divenne un vero e proprio best seller dell’Italia fascista. In seguito fu nominata all’ Accademia d’Italia, oltre che per i suoi meriti letterari e il suo successo, perché il regime doveva dimostrare, anche nei confronti dell’estero, di inserirvi almeno una donna e Ada fu preferita a Sibilla Aleramo e ad Amalia Guglielminetti.
Si è molto discusso, soprattutto alla luce della sua origine sociale e delle poesie impegnate delle prime due raccolte, sui riconoscimenti che le furono tributati durante il Ventennio e se Ada Negri sia stata un’intellettuale di regime. Ada accettò i riconoscimenti, ma non aderì all’ideologia fascista, non ebbe mai incarichi ufficiali, non fece attività politica in prima persona (come non l’aveva mai fatta agli albori del socialismo); fu solo e sempre poeta e scrittrice esprimente con sincerità ed efficacia la sua vita interiore nelle sue evoluzioni e non fu mai cassa di risonanza della demagogia pilotata dal regime. A differenza di altri intellettuali di quel periodo, ebbe libertà di scrittura e pubblicazione, sicuramente perché la sua poetica riguardava ormai esclusivamente emozioni e sentimenti individuali e non più aspirazioni collettive.
Tra questa vasta produzione ho scelto, coerentemente con la mia sensibilità e con il pochissimo tempo a disposizione, di concentrarmi sulle prime due raccolte poetiche – Fatalità e Tempeste, nate dalle esperienze di vita della giovanissima Ada e di sua madre, dalle tragiche condizioni di lavoratori e lavoratrici, dalle nascenti lotte operaie.
Ecco allora le invettive contro la borghesia ipocrita e tracotante, sostanzialmente violenta nella sua prevaricazione sulle classi lavoratrici, fossero i servi e le serve delle ricche magioni o gli operai e le operaie delle fabbriche.
Ecco allora i versi drammatici e dolenti sulle inumane condizioni di lavoro nelle fabbriche, nei campi e nelle cave, sugli incidenti invalidanti o addirittura mortali (la mano di una bionda operaia tranciata da un ingranaggio, un operaio sfracellatosi al suolo cadendo da un tetto, un disastroso incendio in una miniera), sullo sgombero forzato di una famiglia morosa, su uno sciopero e sulla sua fine senza aver ottenuto i risultati sperati, sui moti sociali fatti naufragare a suon di fucilate.
L’Ada ventenne è tutta un impeto, forza capace di tutto affrontare, e scrive:
“…ai torturanti guai /opposi l’energia di cento vite./…/ nulla piega il mio fronte e il mio pensiero./ Io son forte, è vero, / io son la quercia che non crolla al vento.”
Quest’ultimo è un endecasillabo perfetto, intenso, vibrante, solenne, che anche da solo merita di assicurare fama alla sua autrice.
E ancora: “Io ti ripudio, o morte. /Amo la fiamma e l’onda/ amo la terra sacra che ai baci si feconda / del sole ammaliator.”
Talora gli operai dei campi, delle cave e delle officine sono visti come atleti, eroi, fisicamente forti e belli, orgogliosi del proprio essere lavoratori e talora, a mio parere in modo assai retorico, vi sono espressioni baluginanti che inneggiano ai luoghi e agli attrezzi di lavoro.
Più spesso, però, e più realisticamente, gli appartenenti alle classi lavoratrici sono rappresentati come “ I vinti”:
“Noi veniam dalle case senza fuoco/dai letti senza pace/ dove il corpo domato a poco a poco/piega, s’arrende, giace.
….Chi ci ha gettato /sulla matrigna terra?...Chi ne opprime e ne atterra? … Pietà! Noi siamo i vinti”.
E Ada intitola l’ultima lirica di Tempesta, che invero a me, più che lirica, appare epica, “La fiumana” , descritta nel corso della poesia come “fiumana dei pezzenti”. Il che richiama alla mente il primo titolo del coevo capolavoro pittorico di Pellizza da Volpedo “ Il quarto stato”, in cui però il popolo è icasticamente rappresentato in fase di avanzata.
Ecco la prima strofa di “Fine di sciopero” :
“Si fissarono in volto, emunti, lividi, /per insonnia, per fame e per dolore,/stanchi di lotta: E l’uno disse, torbido: / A che scopo? Si muore”.
Generalmente la condizione operaia e popolare è solo rappresentata, con accenti ora tragici, ora drammatici, ora dolenti, senza che venga indicata una prospettiva di cambiamento.
Non mancano però lampi di speranza, di lotta, di futuro, come quando, nella poesia “Il passaggio dei feretri” si accenna a “il vessillo a piantar dell’avvenire” e soprattutto nelle due ultime strofe di “Sciopero”, che trascrivo:
“Già splende a oriente il sogno d’oro/de l’avvenire: il maggio/dei redenti e del libero lavoro/, lembo di cielo, sfavillio di raggio:
maggio d’ali e di sol, maggio di fiori, /di baci, di canzoni:/ che vinti non avrà né vincitori,/ che non avrà né servi né padroni”.
Generalmente Ada Negri viene considerata moderna e ancora attuale in quanto ha saputo esprimere in modo sentito e immediato inquietudini proprie degli esseri umani di oggi, oltre che sentimenti, affetti ed emozioni universali, anche se espressi dalle diverse culture in differenti modi.
Io la considero ancora attuale soprattutto per la sua prima produzione poetica, quella di denuncia e di impegno sociale - la meno riuscita per i canoni stilistici odierni –, in quanto oggi è più che mai necessario che la poesia – anche la poesia - anche e soprattutto in Italia – si misuri con le difficoltà e le tragedie che incombono sulla quasi totalità della popolazione mondiale a causa di un modo di produrre che continua, come ai tempi di Ada, a mercificare gli esseri umani, e, ben più di allora, a distruggere territorio e ambiente e a mettere in pericolo la vita sul pianeta.
Anch’io scrivo poesia politica, oltre che con moltissimi altri contenuti, non per atto di volontà, ma per le emozioni che la politica – asse portante della mia vita – genera in me. Alcuni considerano le mie poesie impegnate unicamente manifesti politici, altri – per mia fortuna - vere e belle poesie.
Ve ne leggo un esempio, che non è solo di denuncia ma anche di prospettiva, e lascio a voi giudicare.
RIEMPIAMO LE PIAZZE DI SOGNI INCARNATI
Suole il grande capitale
dislocare officine
quali pedine
sulla scacchiera del mondo
usare esseri umani
come attrezzi da buttare
quando avariati.
Vogliono
comunisti e comuniste
costruire sindacati
solidi perni
nelle fabbriche e nei campi
del mondo intero
da collegare
quali fiamme di torri medievali
di colle in colle
allacciate nella notte
fino a formare
una lunga catena di fuoco
e far mutare il vento della Storia.
Nell’attesa
riempiamo le piazze di sogni incarnati.
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Maria Carla Baroni è nata nel 1940 a Milano, dove vive e opera. Ha frequentato il liceo classico e la Facoltà di Economia all’Università Luigi Bocconi di Milano. Economista ambientalista, è da decenni impegnata nelle varie forme della politica fra cui il movimento delle donne. Negli anni ’70 e ’80 ha pubblicato, in volumi e su riviste specializzate, saggi e articoli inerenti la città e il territorio. Più di recente ha collaborato saltuariamente, per qualche anno, al settimanale La Rinascita della Sinistra.
Scrive poesie fin dall’adolescenza, ma solo in anni recenti ha iniziato a pubblicarle e a farle conoscere.
Suoi testi poetici sono inseriti in vari siti e blog, nella rivista Il Monte Analogo e in diverse antologie, di cui le più significative sono: Milano in versi, una città e i suoi poeti, a cura di Angelo Gaccione (Viennepierre, Milano, 2006); La poesia, il sacro, il sublime, a cura di Adele Desideri (FaraEditore, Rimini, 2009) e Calpestare l’oblio. Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, a cura di Davide Nota e Fabio Orecchini (Cattedrale, Ancona, 2010).
Compare: in Dizionario ragionato degli scrittori italiani del ‘900 (Helicon, Arezzo, 2004); in Rodolfo Tommasi Tendenze di linguaggi (Helicon, 2008); in Letteratura italiana del XXI secolo: primo dizionario orientativo degli scrittori (Helicon, 2010), in Enciclopedia degli Autori italiani (Edizioni Penna d’Autore, Torino, 2010) e in Letteratura Italiana contemporanea: profili letterari (Helicon, 2011).
Con la lirica Millenni di minuti, posta poi in apertura dell’omonimo volume, ha vinto il primo premio per una poesia inedita al premio “Città di Torino” 2004 e con la lirica Non cercatemi (ora contenuta in Mangrovia) il primo premio per la poesia inedita al premio “Città di Aosta” 2008.
Recensioni sono apparse in vari periodici, tra cui La Mosca di Milano.
Ha pubblicato:
Canti del divenire (L’Autore Libri, Firenze, 2002), primo classificato al Premio letterario internazionale “Europa” (Lugano, 2004);
Canti di amore e di lotta (Ibiskos, Empoli, 2003);
Millenni di minuti (Il Filo, Roma, 2005);
Canti d’amore e di lotta (LietoColle, 2008), rieditato come frutto di una notevole maturazione stilistica e dell’ aggiunta di alcuni testi significativi. La raccolta è risultata selezionata al premio Alessandro Tassoni 2008
Mangrovia (LietoColle, 2011).