Tutte le anime di Nadia Tueni (G. M. Reale)

Nel 1934 a Beirut fu aperta la prima scuola per l’istruzione femminile e tra il 1950 e il 1975 una generazione di donne si affermò nell’ambito della poesia e della narrativa in lingua francese, la lingua che il periodo di dominazione culturale e politica della Francia in Libano aveva reso obbligatoria nelle scuole, nei tribunali, ma che aveva trovato anche una pervasiva diffusione sociale. La colonizzazione francese fu solo un altro giro della complessa matassa che ha fatto scrivere a Gibran Khalil Gibran “Vous avez votre Liban et j’ai le mien”. Il Libano storicamente è stato attraversato da più lingue, ciò ne ha determinato la vocazione poliglotta: dalla lingua di Canaan, all’aramaico, all’arabo, al francese, all’inglese. Nella convivenza delle ultime tre lingue convergono e si annodano politica, religione e, non ultimo, anche quello che qualcuno ha definito il vento dell’esilio, che ha disseminato milioni di libanesi sul pianeta. Plurilinguismo e pluralità di confessioni religiose sono caratteristiche radicate nell’anima storica di questa terra, in modo tale che il senso di appartenenza è l’insieme di una moltitudine di appartenenze diverse, che non si frantuma nondimeno, e mantiene un’unicità che i versi di Nadia Tueni dedicati a Beirut, rendono come le parole non possono:
Qu’elle soit religieuse, ou qu’elle soit sorcière,
ou qu’elle soit les deux, ou qu’elle soit charnière,
du portail de la mer ou des grilles du levant,
qu’elle soit adorée ou qu’elle soit maudite,
qu’elle soit sanguinaire, ou qu’elle soit d’eau bénite,
qu’elle soit innocente ou qu’elle soit meurtrière,
en étant phénicienne, arabe, ou roturière,
en étant levantine aux multiples vertiges,
comme ces fleurs étranges fragiles sur leurs tiges,
Beyrouth est en Orient le dernier sanctuaire,
où l’homme peut toujours s’habiller de lumière.1
La premessa consente di comprendere come per un poeta libanese la scelta della lingua in cui scrivere -il francese nel caso dell’autrice cui è dedicato questo numero della rubrica- è stata ed è espressione inscindibile della moltitudine delle appartenenze stratificatesi nel corso della storia e che hanno formato l’identità del Paese. Il fatto che si elegga una lingua ad essere veicolo della propria essenza artistica è testimonianza non di una discontinuità dell’essere, non di un riassemblaggio di identità, ma di scelta consapevole, meditata, avvertita nei suoi molteplici pro e contro, che altro non sono che gli immancabili giudizi e le analisi – letterarie nel nostro caso, ma più spesso squisitamente politiche - che tale scelta genera; che altro non sono che la necessità da parte dello stesso autore di auto investigare, quasi euristicamente, le ragioni della propria scelta, quando non di difenderla e spiegarla.
Tahar Ben Jelloun è un rappresentante di una letteratura francofona maghrebina di qualità, come per la parte orientale lo sono state Nadia Tueni e Andrée Chédid ad esempio. Certamente la scelta di una lingua di espressione letteraria è profondamente radicata nell’essere, poiché la letteratura e persino il modo di fare letteratura è manifestazione della propria cultura. E’ innegabile che alle strutture di una lingua corrisponde una struttura del pensiero. Può capitare che lingue e strutture culturali diverse si fondano in qualcosa di nuovo, come ha cercato di spiegare Nadia Tueni, che in Ecrire en français afferma:
Souvent on a […] dit […]que « j’écrivais l’arabe en français ». Et
c’est un petit peu vrai, parce que dans la construction de ma phrase, très
souvent, on retrouve le rythme et la musicalité de la phrase arabe.
In Nadia Tueni (1935-1983), figlia di un diplomatico libanese di religione drusa, in realtà le due anime -l’araba e la francese- convivono strettamente dal momento che la madre era francese, ciò nonostante essa sente il bisogno di giustificare la sua francofonia e lo fa in una trasmissione radiofonica francese di Radio Liban, in un intervento intitolato significativamente "Ecrire l'arabe en français":
Ecrivant en français, je ne m'en [sens] pas moins libanaise, arabe, rattachée à un
arrière-pays dont je pense que ma poésie est la projection.2
L’espressione arrière-pays (entroterra) riferita al Libano, porta a supporre, tuttavia, che l’anima francese in lei se non predominante sia almeno molto importante. Respinge però con decisione l’accusa di essere un’apatride, cioé un’apolide:
Dans quelle mesure le fait d'utiliser parallèlement à la langue de leur pays
une langue étrangère pour fixer une réalité politique, rend-elle ces poètes
apatrides ?3
Ufficialmente entra nel mondo della poesia nel ’63, dopo la morte della figlia Nayla, con la raccolta "Les Textes blonds"(pubblicata a Beirut 1963). Il filo onnipresente è Nayla, consustanziata ovunque si volga la sua parola poetica, ma celata dietro a un riserbo dei sentimenti che sgorga direttamente dalla religione drusa familiare. La seconda raccolta, "L'Age d'écume"(1965), la immette nel circuito dei media, ma è nel 1967 che si apre per lei il mondo del giornalismo, quando diventa redattrice letteraria del giornale libanese Le Jour e collaboratrice di diverse testate arabe. Tra le collaborazioni più significative c’è quella con la rivista Shi'ir.
Nel giugno del 1967, con la devastante guerra arabo-israeliana, vissuto individuale e collettivo si fondono nell’opera Juin et les Mécréantes, in cui vengono messe in scena quattro donne e altrettante quattro anime: Dâhoun l’Ebrea, Tidimir la Cristiana, Sabba la Musulmana e Sioun la Drusa:
Oh mes quatre amours
mes quatre appartenances...
Quatre femmes, un même arrière-pays...
Tidmir la Chrétienne
Sabba la Musulmane
Dâhoun la Juive
Sioun la Druze
Le quattro donne a livello archetipo rendono la moltitudine delle appartenenze della sua terra. L’Académie française la premia per i Poèmes pour une histoire, è il ’73: l’engagement è un obbligo per gli intellettuali francesi, per Nadia Tueni una foce cui l’indirizza la sua storia e la storia del suo popolo, il vento dell’esilio e la ricerca delle radici, la morte sfrangiata in solitudini esistenziali, il tempo in caduta:
Ils sont morts à plusieurs
sans se toucher
sans fleur à l'oreille
sans faire exprès
une voix tombe: c'est le bruit du jour sur le pavé.
Crois-tu que la terre s'habitue à tourner?
Pour plus de précision ils sont morts à plusieurs
par besoin de mourir
comme on ferme une porte lorsque le vent se lève
ou que la mer vous rentre par la bouche...
Alors
ils sont bien morts ensemble
c'est-à-dire chacun seul comme ils avaient vécu.
Poi il Libano è scosso da una nuova guerra, quella del 1975, occasione per una nuova raccolta:“Liban: vingt poèmes pour un amour”, pubblicata nel ‘79. Si tratta di una geografia in versi del Libano, le sue città, i luoghi, le donne, gli uomini, gli odori, le idee, gli umori, le sabbie e i deserti. Un orizzonte geografico che intesse le vie nascoste della mitologia del cuore:
Il fut un Liban des jardins,
comme il est une saison douce
Il 1982 è l’anno di Archives sentimentales d'une guerre au Liban, l’ultima silloge prima della morte. Il passo d’addio che soffia sui suoi versi fin dalla prima raccolta, si pone adesso sul crinale tra la malattia fisica, la sua, e la malattia storica della sua terra, da sempre terra di troppe genti e di nessuna, dove le guerre hanno seminato città morte metafore di morti pensieri, dove minaccioso si stende il tempo anonimo del crepuscolo.
Terre de trop de gens et Terre de personne,
je vous offre ces villes-mortes de vos pensées,
ces crépuscules troués de métal anonyme,
et moi pour éponger la vraie sueur du temps.
Giusi Maria Reale
(articolo apparso sulla rivista VERIFICHE, Mendrisio, Canton Ticino)
2 Nadia Tuen, «Ecrire l'arabe en français», Programmes français de Radio Liban 1975 in La prose, Oeuvres complètes. p. 68.
3Nadia Tueni, «La poésie libanaise de langue française», p. 60.