A. Cati su Pecora
![]() Nel tempo della madre. Epicedio
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autori: | Elio Pecora |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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di Andrea Cati
articolo pubblicato su Quotidiano d’Abruzzo
Elio Pecora, nel tempo della madre
di Andrea Cati

Tra i temi più cari alla poesia di tutti i tempi, quello dedicato alla madre appare certamente cruciale. Se non altro basta ricordare le ultime poesie del secondo novecento come “Ballata delle madri” – “Mi domando che madri avete avuto…” – e “Supplica a mia madre” – “Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore…” – del compianto Pasolini. Tra passione civile e profondo legame d’amore, Pier Paolo Pasolini è stato forse l’ultimo grande poeta italiano del novecento ad ispirarsi al tema della madre. Un amico del poeta di Casarsa è stato Elio Pecora. Il suo ultimo volume “Nel tempo della madre”, da poco pubblicato dall’editrice La vita felice di Milano, è dedicato al tema sopracitato tanto caro all’amico Pasolini. Si tratta di un poemetto nel quale la figura materna è ritratta da diverse angolature: c’è il tempo che inesorabilmente accresce gli anni e invecchia, rendendo una “minima storia”, che risulta “un secolo per l’anagrafe”, tutta compiuta “ieri soltanto”; lo scavo nelle proprie origini, svolto con l’abituale ritmo conciso e mai ridondante di Pecora, all’insegna del recupero della storia famigliare e di quella “bambina” dal “corpo slanciato” che un giorno sarebbe diventata madre e “compagna/ nell’aspro amato viaggio” del poeta di Sant’Arsenio; la relazione di un figlio che si fa padre di una donna che, arrivata a cent’anni, “balbetta: non lasciatemi sola!”, curata da un uomo-poeta che “non s’allontana” dalla “badante moldava”. Se il registro tematico di tale poemetto sembra attraversare esclusivamente, ad una prima lettura, la commovente relazione con la madre morente, la trama carsica che attraversa l’intero volume riguarda l’inarrestabile defluire del tempo che conduce “verso quel niente del niente/ che chiamiamo morte”. E per Pecora, a differenza del Pasolini civile che “usa” la madre per rivolgersi alla nazione, il tema della madre è “verticale”, ovvero assume una profondità tale da “trasfigurare” il vissuto personale e storicamente delimitato, in domanda filosofica di stampo esistenzialista: quale senso ha vivere per poi “sfiorire”(Leopardi docet)?
Che n’è di quella di un tempo?
Dov’è mai stata? ma quando?
A sera chiamava la luna
chiara, assorta sugli orti.
Che n’è dei piedi leggeri?
che dei capelli intrecciati?
L’arco dei denti nel bicchiere,
ecchimosi sugli avambracci,
livido il cranio, le dita
palpano il fazzoletto, le pupille velate
non di riso o di pianto.