Annamaria Ferramosca per Gianfranco Isetta con «L'acerbo dei ricordi»
![]() L’acerbo dei ricordi
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autori: | Gianfranco Isetta |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Nota di lettura di Annamaria Ferramosca
L'inganno rivelato delle luci
Questo ultimo libro di poesia di Gianfranco Isetta ha un inizio epifanico: è una rondine a preconizzare l'essenza di questo canto, in cui costante sarà la suggestione data dal fondersi delle due dimensioni di pensiero poetico e natura. Il dettato infatti si crea e procede come per una misteriosa spinta all'unisono, proveniente dal mondo esterno e insieme dalla profonda interiorità del poeta.
L'uso del settenario è proposto per avviare un ritmo sacrale alla scrittura, dove visioni e metafore raggiungono spesso esiti ipnotici. E l'autore ne è consapevole, dichiarando “l'insignificanza del suono” e paragonando “il senso del viaggio a un sobbalzo”, proprio come può accadere in poesia.
Ma procedendo nella lettura dei testi appare subito chiaro l'intento – metapoetico - di Isetta: ricercare i segreti meccanismi della parola poetica, la sua origine, il suo dispiegarsi, il suo fine. E questo disegno, nel farsi evidente, esige un respiro più disteso, da cui consegue, sul versante formale, la scelta oculata anche dell'endecasillabo.
Gianfranco Isetta attraversa dunque un suo personalissimo territorio di immagini e suoni, dove prevalgono scene di essenze e movimenti dalla natura, per inseguire con tenacia la sempre indefinibile poesia e lo fa anche in umiltà, esponendo i dubbi sulla propria capacità di “rintracciare il cielo”.
Così la ricerca di luce, come in un ansioso triste cammino, si ostina ad esplorare varie vie di possibili svelamenti, ma l'autore sperimenta che luce-bosco-sole-nuvole-alba, fino al confine dell'orizzonte, non sono che “inganno di luci”, e dunque non gli resta che accogliere il senso di solitudine che pervade il mondo. E vi è una specie di pazienza ieratica in questa accettazione, come quella di un antico filosofo greco, che resta fermo sui bordi dell'inconoscibile.
Pure accade che si apra una scena cittadina reale, ambientata nella sua Milano, dove il poeta dice delle foglie che non possono che accettare il destino di staccarsi dal ramo in autunno, rammemorando i noti versi ungarettiani. È questa una scrittura che predilige i toni e il respiro della classicità, con riferimenti al mare e alla sua epica, alle voci-silenzio degli alberi, e infine anche all'amore. Quest'ultima dimensione, nei suoi gesti e fulgidi colori, è offerta in molte composizioni come l'unica, forse, capace di sfiorare lo svelamento, di certo la possibilità di riconoscersi profondamente umano nell'incontro con l'amata, nella gioia del comune sentire.
E l'ossessione speculativa sul poiein, intrisa di forza immaginifica, prosegue lungo le scene dell'avvicendarsi delle stagioni, dove le infinite vibrazioni della natura lasciano intatto uno sfondo di consapevolezza sul senso della nostra caducità, sulla corsa impietosa del tempo.
La sapienza poetica di Isetta è nel cogliere la misteriosa fusione tra cose visibili e invisibili, tra mondo e tensione del pensiero verso il senso, tra sacro e ricerca del contatto umano, percezione della natura e dei suoi messaggi, proiettati verso quel “mondo senza pena”, che resterà universale nostro sogno.
giugno 2024