Fernando della Posta per Marco Colletti con «La Materia non esiste»
![]() La materia non esiste
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autori: | Marco Colletti |
formato: | Libro |
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Marco Colletti, nel suo libro di poesie La materia non esiste (La Vita Felice 2024, prefazione di Annelisa Alleva), traccia la mappa di un’adesione completa a un ribaltamento radicale dei punti di vista dominanti nell’approccio all’esistenza.
La ribellione alla hybris di una cultura basata su secoli e secoli di credenze, riti e prassi conoscitive - più o meno stratificati - è totale.
Colletti, sgombrando il campo della sua opera da ogni alone mistico e da ogni adesione religiosa, fonda il suo afflato poetico sugli ultimi principi della fisica, e in special modo su quelli della meccanica quantistica.
Con l’astuto artificio della traslazione alla nostra realtà sensibile del livello subatomico, quel livello in cui la materia perde qualsiasi caratterizzazione, l’autore trova un luogo letterario in cui tempo e spazio coesistono, un luogo letterario dove poter condurre un’esistenza “parallela come/un’astrazione algebrica”, il luogo dove quel desiderio di essere avvolti da una silenziosa deflagrazione delle strutture del tempo è pienamente soddisfatto.
In questa nuova dimensione la realtà è sbugiardata nel suo abbaglio-inganno. Sbugiardata è la sua maschera, fatta di “migliaia di specchianti particelle” e di “coriandoli confusi di conoscenza”. Ci troviamo in “quello spazio che solo ci appartiene” ove rintracciare il perduto “stupore primordiale”; il luogo dove possiamo sentire che tutto “è inspiegabilmente/compresente, nell’ogni istante/che è già passato e già futuro”; la dimensione ove gli atomi “hanno il vuoto/dentro” e “ci regalano la materia/leggera e non come appare”, liberandoci da quel “peso tutto interiore” - come dice nella prefazione Annelisa Alleva - che quello stesso abbaglio-inganno crea dentro di noi.
È facile rintracciare topos letterari e filosofici celebri come l’infinito leopardiano o gli infiniti mondi nell’infinito spazio di Giordano Bruno. Ed esattamente come loro, l’infinito rintracciato nella fisica quantistica da Colletti diventa il posto in cui trovare riparo da una realtà limitata che offre soluzioni e interpretazioni deludenti e altrettanto limitate e limitanti. Realtà che, a quanto pare, e non a caso, Colletti sembra descrivere richiamando ossessivamente il celebre atomo opaco del male del X agosto pascoliano, come, per esempio, a pag. 24: “piccole scaglie pietrificate di dolore”; o a pag. 25: “vita che resta/sospesa in un cristallo bruciato dal sole”; a pag. 33: “corolle orlate di male”; a pag. 35 “E gli altri sensi i suoi pianeti mortiferi”; a pag 69: “l’avido terracqueo”, ecc…
E proprio con il Pascoli il nostro sembra avere le maggiori affinità. I temi cari al poeta romagnolo toccati da Colletti ne La materia non esiste sono molteplici: in primis la poetica del fanciullino, delle piccole cose e il nido familiare.
Colletti dimostra, inoltre, come una comunicazione veramente sincera tra gli uomini sia impossibile. Se infatti già i nostri strumenti di conoscenza producono interpretazioni distorte essendo messi a fuoco sotto obiettivi vani, anche gli strumenti della comunicazione deformano a loro volta i messaggi veicolati. Perciò, lo sguardo è “cieco, cucito da palpebre invisibili/e folte ciglia forestali”, ed è impossibile, quindi, trovare l’anima degli altri nei loro occhi, checché ne dica la vulgata. Come bambini che giocano alla pignatta ci agitiamo con dei bastoni in mano credendo che basti vagolare con le braccia nel vuoto delle nostre sensazioni e delle nostre credenze per penetrare nelle vaste verità che ci restano nascoste.
Soggiogati così dalle sole possibilità cognitive raggiungibili dai sensi - e consciamente o inconsciamente impauriti dalla vastità del vuoto che scopriamo - ricreiamo il mondo a nostra immagine riconfermando quelle stesse credenze che finora ci hanno fatto sentire al sicuro: “occhi buoni occhi cattivi. È così/che si dice”. Ma non ci troviamo di fronte ad altro se non a “Un’assolata muraglia di presunzione”, nient’altro che un vicolo cieco in una città mostruosa e oscura fatta di cunicoli, antri e gallerie scavata sotto la caverna platonica.
Ma l’arte, esattamente come questo luogo letterario individuato da Colletti, può venirci in soccorso. Sebbene oggi anche gli artisti vengano mercificati e dileggiati sul palcoscenico dell’intrattenimento, come possiamo intuire a pag. 52, l’arte può riscattare dal rifiuto del mondo, dal giudizio “dell’altra letteratura”, dal giudizio di quelli che non l’amano “perché suda sangue trovare l’universo/nelle ali di un’ape”. Allo stesso modo, può salvare l’ammirare un capolavoro pittorico del barocco romano: “le calde nuvole che/avvolgono epifanie di santi/immacolati, il rubino dei manti/che schioccano al vento/le speranze degli umili,/inginocchiati negli interstizi/del reale” (allusione alla Madonna dei Pellegrini del Caravaggio?) sono “giganti/di salvezza al grido muto,/della sofferenza che non ha/più parola”, nessuna parola se non, appunto, una poesia.
La metrica di Colletti è libera, ogni poesia, però, sembra avere un andamento spezzato, quasi come una serie di raffinati essay compiuti e unitari ma volutamente privati di fluidità interna. La conclusione delle frasi spessissimo non coincide con la fine del verso, così come sono ricorrenti gli enjambement. Grandissimo è l’uso di figure retoriche che contaminano tra loro i significati e i campi semantici: grande uso si fa della sinestesia, della metonimia, dell’analogia e della metafora. Uno stile che sembra funzionale proprio a quell’intento del poeta, l’intento principale di questo libro, di voler fondare una nuova cosmogonia a partire dalle evidenze scientifiche, individuando nello spazio subatomico della meccanica quantistica - spazio in cui, ricordiamolo, tutto si confonde e si contamina - il luogo letterario della liberazione dalle angustie della quotidianità; come a voler rappresentare, sapendo scegliere accuratamente gli strumenti più adatti messi a disposizione dalla poesia, quella “dolce nenia” che in questa pacifica dimensione della rarefazione ci accompagna, quell’ “implacabile che placa” che prosciuga ogni forza del pensiero e che ci trascina nella gioia di una liberazione graduale dalle angosce di un’esistenza vessata dagli andamenti ondivaghi di una materia fluttuante e transitoria, facendoci scoprire confortevolmente la verità ultima dell'inconsistenza sua e dei suoi tormenti.
***
Se lo specchio avesse un’ala,
forse un angelo la spezzerebbe
e dentro mi scruterei muto, dentro
l’onda del tempo che mi trapassa.
Tutto sento che è inspiegabilmente
compresente, nell’ogni istante
che è già passato e già futuro.
È il nulla che avanza? Quello
degli atomi che hanno il vuoto
dentro, che ci regalano la materia
leggera e non come appare.
Questo viaggio nel nulla mascherato
di visioni, questo viso che è
e non è, quella sospensione
tra le pieghe delle rocce, dei fiori,
del sangue, che è l’anima. Io penso
e al contempo mi distolgo.
*
Il canto della pioggia
Le scaglie di nuvole si diradano
in un incantevole silenzio, fatto
di rombi di automobili e passi
fruscianti di un’incauta umanità
vagabondante. Sotto la pioggia
che ci protegge nella distanza
gli uni dagli altri, si viaggia lenti
come il pensiero dei vecchi,
ammassato dei ricordi, delle pause
della vita. A volte, frettolosi,
ci si bagna svelando il monito
del mondo a rallentare, a non andare.
Rimanere. Tra le onde delle gocce,
nel silenzio che si cela tra la velocità
dell’una e dell’altra, nello spazio
angusto della loro cantica,
della loro fragile intermittenza.
La pioggia è l’oceano che si dirada
e ci cade addosso, regalandoci
l’intravedere, oltre le migliaia
di specchianti particelle, quello spazio
che solo ci appartiene. L’abbaglio
del vero che si nasconde tra
i riflessi, lo stupore primordiale
di fronte al fulmine della realtà
e dei suoi inganni specchio,
coriandoli confusi di conoscenza.
*
Non ho più parole per descrivere
il frammento che sento in ogni luogo
mi trovi. Volti e le loro voci che
si sfaldano come pagliuzze aguzze,
i vetri infranti e le mille schegge
aleggiare come velenose libellule.
C’è un nitore elegante in tutto
questo e forse un dono. Perché
non a tutti è dato di vedere la realtà
così com’è, con la sua potenza
caotica con cui Dio l’ha creata.
La tracotanza di volerlo ordinare
questo creato immenso, quasi
a voler contare le gocce di tutti
gli oceani e dargli un nome.
Alle gocce che sono un tutt’uno
indistinto nel mare, a quelle gocce
che sommergono relitti. È forse
questa la gioia che mi è donata:
affogare plasmandomi.
*
Ora, nell’erba che muore, lo canto
storto questo verso di amore,
come l’aquila che strappa la preda,
come il vento che sferza lo sguardo
che si chiude. Parlo, per non vedere
l’urlo delle sirene, che si fanno scheletri
sulle rocce del mare. Vinte nel loro canto
dalla tracotanza dei marinai: noi,
che uccidiamo il sogno della musica
e il gorgoglio delle arpe sulle onde.
Sui volti le macchie indelebili
degli spruzzi del sangue dall’oceano,
remando infaticati le polene della storia,
verso confini già solcati, a ripetere
destini senza mai ricordi. Immemore,
me ne lavo per ripetere l’errore.
*
Non c’è finzione più bella che
immaginarsi il paradiso. Nubi,
musica di arpe, quella giusta
dose di luce che conforta gli
occhi. Ma in verità dovremmo
immaginare un luogo ce non
abbia gli attributi rassicuranti
di questa realtà. Dovremmo
immaginare un luogo che non
esiste. Allora forse capiremmo
che il paradiso è qui.
Marco Colletti vive e lavora a Roma. Laureatosi in Lettere all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (con la tesi L’immaginario affettivo nelle Familiares del Petrarca, Relatore Prof. Asor Rosa), si occupa da sempre di poesia, critica letteraria, con approccio ermeneutico-antropologico, e di arte contemporanea in qualità di curatore e artista digitale. Le sue opere digitali sono poesie visive e le sue poesie visioni. Organizza eventi e convegni letterari ed è redattore della rivista “Formafluens International Literay Magazine”. Suoi contributi critici sono presenti sulle riviste “Laboratori Poesia” e “Il Mangiaparole”. È art director e illustratore per aziende e case editrici internazionali nel settore dell’illustrazione per l’infanzia.