Giacomo Cerrai su Imperfetta Ellisse per «Vitae» di Maria Pia Quintavalla
25.09.2017
![]() Vitae
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autori: | Maria Pia Quintavalla |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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"Racconti", dice la copertina di questo libro. Sì, certo, racconti, narrazioni, usiamo per una volta questo termine depredato dalla politica, riportandolo alla sua originaria innocenza. Ma anche poesia sempre presente, che affiora in ogni frase, come le risorgive che si incontrano nella pianura padana. E poi Vitae, dice il titolo, con una pluralità che già arricchisce, poiché la narrazione è di una voce solitaria ma che racconta di sé e di altri e altro, di vissuti susseguenti e paralleli. E quindi racconti, sì, ma nei quali la mera componente finzionale è minoritaria, delegata quasi del tutto alla funzione poetica della scrittura, all'estetica e alla retorica di essa (siano entrambi i termini sine iniuria), che Maria Pia padroneggia da par suo, incorniciando perfettamente il fatto. Il quale è sempre, qui e altrove nel suo lavoro, qualcosa di memorabile, nel senso originale del termine, quel che deve essere consegnato ad una forma, un oggetto portatore non tanto di rimpianti quanto di valore. L'opera di Quintavalla è quasi sempre una resa dei conti e una dialettica accesa con il proprio materiale biografico, con le proprie vite, per dirla con parole sue. Questo mi pare avvenga in maniera molto più accentuata che rispetto ad altri scrittori. Ma tutto ciò non è mai autobiografismo, c'è sempre una distanza che Maria Pia frappone tra il dato e la sua meditata elaborazione poetica, basta leggere China o I compianti per averne un'idea (v. QUI ), a proposito dei quali scrivevo che pareva "una lotta feroce, non facile, a tratti eroica, sul fronte almeno doppio dell'affollarsi del materiale poetico e del linguaggio necessario per ridurlo alla ragione, sempre in bilico tra tracimazione e condensazione, tra il bisogno di "narrare" totalmente il fatto o il ricordo di esso, e quello di ridurlo alla sua essenza poetica, decantandolo". Va da sé che questo libro non può avere né la tensione drammatica né la compattezza formale di quelli. Va però letto nel senso che dicevo prima, di affettuoso e partecipato repertorio di persone, luoghi, eventi e esperienze lavorative che hanno avuto un ruolo formativo nell'arte di Maria Pia, che sono in qualche modo lei. Un dipanarsi di storie con la loro verità, anche quando più sembrano essere inventate. Questo avviene ad esempio nei primi brani della prima parte, intitolata appunto Storie, "una romanzata storia che di vero contiene tanto, e autobiografica", scrive la stessa autrice. E' interessante notare che se di vero contengono tanto, ma non tutto, è perché in Quintavalla la poesia non può evitare di esercitare la sua funzione, il suo peso specifico sulla materia prosastica (una cosa tanto più evidente, come vedremo, nell'ultima sezione del libro) e insieme innervare il suo indubbio talento di narratrice. E' per questo che sono - non è paradossale - intrinsecamente veri (e molto belli), sia quando Maria Pia parla dei suoi amori attraverso l'Italia (Nord-Sud) o del suo conquistare e vivere il lavoro (Mi piace lavorare) o del suo essere madre "capofamiglia a sé stessa" (La terribile età) o, ancora, la disillusione di una relazione (Era stato un amico), in terza persona ma che non può che essere la sua.
C'è naturalmente, in questi racconti, una vena malinconica, un come eravamo, soprattutto quando Maria Pia ricorda un periodo irripetibile, una temperie, i suoi incontri con personaggi della cultura e della letteratura, una Milano che non era solo da bere ma anche da respirare, da nutrirsene artisticamente, e terreno di lotta quotidiana per una donna che doveva trovare la sua strada da sola. Un serie di ritratti (è il titolo della seconda parte), tutti molto vividi e belli (Sicari, Campana, Zanzotto, Porta) che restituiscono bene umanità ed atmosfera ed anche il perché di un divenire artistico e intellettuale. E' difficile sottrarsi all'impressione, come lettore, di uno sguardo rivolto all'indietro, di un recupero e restauro di materiali dolorosi da lasciare o no all'oblio. Se è un libro rivolto al passato, e forse un libro che potrebbe apparire episodico, va però ricordato, con Paul Ricoeur, che c'è una responsabilità (tanto più in un autore) su cosa ricordare e cosa dimenticare, perché non si può ricordare tutto. E anzi c'è anche un problema di interiorizzazione, di silenzio, qualcosa cioè che si decide di tacere. E questo oblio selettivo è proprio del raccontare, è peculiare della narrazione. Ma anche, aggiunge, del perdono, cosa che - mi permetto di chiosare - è quanto mai importante quando si fanno i conti, anche per via artistica, con le proprie vitae.
E proprio l'ultima parte del libro, intitolata Da China in prosa è il recupero più significativo, sebbene quantitativamente minoritario. Che è sia recupero di materiali poematici sia un dietro le quinte che torna utile a chiunque abbia apprezzato come me China alla sua uscita nel 2010 per i tipi di Effigie. Si tratta, come spiega Maria Pia stessa di "una sezione da China in prosa, prima che il poeta Franco Loi mi convincesse che era metro e poesia, e a riscriverla in China". Già questo processo transitivo prosa/poesia (e forse di nuovo prosa, con qualche intervento, suppongo) è interessante in sé e seguendolo ci si rende conto di quanto Loi avesse ragione, poiché il peso specifico della poesia a cui alludevo già in queste righe è palese, e non potrebbe essere altrimenti. Ma con questa sezione si torna anche in qualche modo alle origini, si ristabilisce una archeologia e un ordine delle cose in quella copiosa sorgente di ispirazione che è la famiglia, la casa, la madre (China), le radici anche dolorose e complesse che a suo tempo chiamai autobiologia o anche il lessico familiare di Maria Pia.
Nata prima, molto prima dei Compianti, come lei mi scrisse, China, posta proprio in fondo, a sigillo del libro, immagino voglia chiudere - qui - un cerchio, scegliendo, come dicevamo, che cosa responsabilmente consegnare alla memoria o all'oblio. (g. cerrai)
Maria Pia Quintavalla - Vitae - Ed. La Vita Felice, 2017
MI PIACE LAVORARE
Mi piace lavorare, ehm... sì certo che mi piace lavorare, anzi si può dire, io dico, che non ho fatto altro nella vita, sai quando s'intende che hai cominciato a diciott'anni... eh sì, giù di lì, in quell'età della vita in cui gli altri vanno solo a ballare, in giro a divertirsi, pomiciare.
Invece, eccoti qui: con la divisa da maestra. Con trenta bambini piccoli da accudire, istruire, intanto fioccano le riunioni, gli extra, non hai più tempo per vivere per studiare, allora che fai, ecco: abbandoni l'università, anzi fai finta che è inevitabile che lo fai da convinta, e per anni, chi ti ha più visto agli esami? continua qui la lettura