Cesare Pavese e l’amore di Luciana Benotto
Luoghi, personaggi, fatti e leggende

Il Pavese romanziere, poeta, traduttore dall’inglese, saggista e maestro del nuovo realismo degli anni Trenta e poi del Neorealismo postbellico, lo conoscono tutti; non tutti però sanno del suo privato e dei suoi problemi d’amore che lo portarono persino ad essere condannato al confino a Brancaleone Calabro, dopo che in casa gli venne trovata una lettera che Altiero Spinelli, noto antifascista, scriveva a Tina Pizzardo (iscritta anch’ella al PCI), con la quale l’uomo aveva una relazione. Probabilmente una delle ragioni per cui lo scrittore accettò di fornire il suo indirizzo per lo scambio epistolare tra i due, era perché anch’egli si era innamorato di lei due anni prima, senza però essere ricambiato.
E qui emerge il Pavese uomo, un uomo bisognoso di affetto fin dall’infanzia. Sua madre Consolina, era una giovane vedova dal carattere autoritario che aveva già perso i primi tre figli e che, cagionevole di salute, subito dopo la nascita del piccolo Cesare lo aveva affidato a delle balie. Senza padre e allevato da estranee, divenne un bambino introverso e alla costante ricerca di amicizia e amore. Diciassettenne si innamorò di una cantante ballerina di varietà, e per lei si buscò una pleurite attendendola invano per ore sotto la pioggia; poi si innamorò, come detto, della Pizzardo, un’insegnante di matematica che lo stimava per la sua cultura ma che per lui provava solo una sincera amicizia.

Un altro amore entrò successivamente nella sua vita: Fernanda Pivano, all’epoca un’universitaria iscritta alla facoltà di Lettere, che era stata sua allieva al liceo D’Azeglio, e alla quale il 26 luglio del ’40 chiese di sposarlo, ricevendone un rifiuto, rifiuto che però non rovinò l’affettuosa amicizia tra i due, infatti Fernanda continuò a rimanere la sua confidente per cinque anni, tanto che lo scrittore il 10 luglio del ’45 rinnovò la proposta matrimoniale per la quale ebbe un nuovo no.
Un anno e mezzo più tardi la freccia di Cupido lo colpì ancora. In quel periodo si trovava a Roma, perché aveva avuto l’incarico di potenziare la sede dell’Einaudi nella capitale. Lontano da Torino divenne ancor più malinconico, e il desiderio di creare un nido familiare lo spinse ad innamorarsi di Bianca Garufi, una segretaria di redazione. Per lei provò una forte passione che lo fece alquanto soffrire portandolo sempre più verso uno stato depressivo, tanto che alla fine di quell’anno scrisse laconico nel suo diario: “Anche questa è finita. Le colline, Torino, Roma. Bruciato quattro donne… Sei solo. Hai due volte sfiorato il suicidio quest’anno.”
Tornato a Torino l’attività narrativa continuò comunque febbrile, e lo portò a vincere il Premio Salento; poi nel ’49 fu a Milano e alla fine dell’anno nuovamente a Roma, dove in casa di amici conobbe l’attraente Constance Dowling, un’attrice americana che aveva recitato con Vittorio Gassman e Raf Vallore in “Riso amaro”, e qui il suo cuore tornò a sperare, ma non osò dichiararsi, tanto che quando lasciò la capitale se ne pentì. Ma l’occasione gli si ripresentò un poco più tardi, quando l’attrice andò a Torino per prendersi una pausa dal lavoro e i due si rincontrarono e lei lo convinse a seguirla in vacanza a Cervinia.

Quell’invito illuse Cesare, perché in realtà Constance aveva in corso una storia con l’attore Andrea Checchi. Nemmeno la vincita del Premio Strega, nel giugno del ’50, al cui ritiro avrebbe voluto essere accompagnato da Constance, e invece lo accompagnò Doris, la sorella dell’attrice, riuscì a risollevargli il morale. La Dowling, dopo la parentesi italiana, tornò negli Stati Uniti lasciando Pavese nel più grande sconforto, ciò nonostante lui le dedicò il suo ultimo romanzo “La luna e i falò”.
Deluso, amareggiato e sofferente per quell’ulteriore amore mancato, quell’estate trascorse alcuni giorni a Bocca di Magra, una località nello spezzino, meta alla moda di molti intellettuali, dove ebbe una brevissima storia con Romilda Bollati, l’allora diciottenne sorella dell’omonimo editore, che però fu solo un palliativo al dolore per il mancato legame con Constance, che per lui era tutto il bene e tutto il male possibile, e a cui dedicherà “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, una raccolta di dieci poesie inedite (otto in italiano e due in inglese) trovate casualmente tra le sue carte dopo la morte, e pubblicate nel 1951da Einaudi.
Cesare, di fatto, depresso e col cuore straziato, decise di suicidarsi senza clamore, con dieci bustine di sonnifero, nel silenzio di una camera dell’albergo Roma a Torino (e il nome dell’albergo forse non è casuale), e volle lasciare questo mondo con un’ultima immagine: lo sguardo della donna inutilmente amata, che sarebbe morta anch’essa suicida col sonnifero, diciannove anni più tardi. Forse certe esperienze lasciano il segno.
Quelle poesie sono riproposte oggi dalle edizioni La Vita Felice in un agile volumetto di 56 pagine al prezzo di € 5,70.