Luciano Aguzzi per Carla Spinella su «Fatti speciali di gente comune»
![]() Fatti speciali di gente comune
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autori: | Carla Spinella |
formato: | Libro |
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Carla Spinella, Fatti speciali di gente comune. Racconti. Milano, La Vita Felice, 2016, pp. 176. Euro 15,00.
Recensione di Luciano Aguzzi
1. L'Autrice.
Dai paratesti di copertina del libro scopriamo subito almeno due cose dell'Autrice: a) È una ex insegnante di italiano e latino nei licei, con una cultura classica e una lunga esperienza letteraria. b) È una poetessa lirica, che ha pubblicato quattro raccolte di poesie in italiano e una in greco-calabro, la lingua minoritaria della Bovesìa, una parte della provincia di Reggio Calabria dove Carla è nata. Come narratrice è al suo esordio (salvo alcuni racconti editi su riviste o antologie).
Ebbene, questi due caratteri li ritroviamo nel libro, che si presenta scritto con una prosa molto pulita, nitida, molto curata nel lessico e nella sintassi, che spesso si muove con un ritmo classico dove il lettore accorto avverte il deposito della lunga esperienza letteraria di Carla. Una prosa che è, anche, spesso, mossa, quasi a prendere il volo, da un'intrinseca poeticità. E qui si sente l'esperienza della poetessa che, anche quando scrive in prosa, non cessa di vedere il mondo, e di pensare, con quell'emotività e quella ricerca dell'essenzialità della lingua, che è propria della poesia.
Il libro è scritto con una lingua piana, di facile lettura. Non ci sono ricercatezze che complicano la comprensione da parte del lettore. Tuttavia non si cade mai nel linguaggio parlato e il registro è mantenuto sempre a un livello più alto, con una ricerca di precisione e di essenzialità che cesella l'uso di ogni termine e la sua collocazione nella frase e nel periodo.
Si potrebbero, a titolo di esempio, leggere molte pagine. Per esigenze di spazio mi limito a un breve passo alle pp. 10-11, proprio all'inizio del libro. Una bambina sta per morire, perché la madre ha «il latte cattivo», come si diceva una volta con linguaggio popolare - ma Carla usa il termine tecnico di "mastite" -, e non si trova il modo di nutrirla. La famiglia - siamo appena dopo il passaggio del fronte, in una zona della Calabria - è sfollata in campagna.
Carla scrive:
«L’indomani, dopo altri dolorosi e fallimentari tentativi, fu inviato al paese vicino un servo esperto di scorciatoie perché trovasse e portasse in campagna una puerpera con molto latte. In quest’azione si condensavano le speranze dei genitori e dei nonni della neonata. L’arrivo della donna, accolta come una salvatrice, non comportò, in realtà, alcun cambiamento, tranne il fatto che ci furono nella grande casa due persone in più.
La bambina deperiva a vista d’occhio, mentre si alternavano inutilmente come possibili nutrici una vacca, un’asina, una capra. Ormai gli sfollati erano una piccola comunità, dato che la famiglia originaria non negava l’accoglienza e la permanenza a nessun parente, anche lontano o addirittura immaginario. E tutti, emotivamente coinvolti nel dolore e nella disperazione dei genitori, suggerivano i rimedi più disparati, ma ogni tentativo risultava vano. Il medico, fatto venire diverse volte a dorso di mulo, aveva potuto guarire la madre, ma, di fronte alla piccola vita che si spegneva a poco a poco, aveva alzato le spalle e allargato le braccia in segno d’impotenza».
È una scena ridotta all'osso, in quanto a brevità, eppure ricca di elementi corali e di particolari scolpiti uno a uno, e ciascuno carico di una tensione emotiva che coinvolge il lettore. E si notino frasi del tipo «un servo esperto di scorciatoie» che, pur sembrando riprese dal linguaggio popolare, contengono, per timbro e costruzione, un'impronta classica.
Ma prima di proseguire con l'esame dei caratteri letterari, torniamo ai paratesti. La prima aletta di copertina ci dice che si tratta di racconti che «sviluppano un romanzo in capitoli». Infatti, soprattutto nella prima parte delle due che compongono il volume, i personaggi sono legati fra di loro e il racconto trova la sua radice nella biografia dell'Autrice che parla della sua famiglia e di sé. Naturalmente non ce ne dà la storia, perché si tratta pur sempre di narrativa dove la verità è mescolata con l'invenzione. E il lettore farebbe male a prendere tutto come verità autobiografica.
Tuttavia, come del resto è tipico della poesia lirica, la base del racconto è la riflessione dell'autrice sulla sua propria esperienza, sugli avvenimenti e sui pensieri, sui sentimenti e sui sogni, sui dolori e sulle speranze. Il racconto particolare, di volta in volta, si intreccia con riflessioni più generali che ne fanno, in qualche modo, degli esempi di una morale, di una filosofia, di valore universale.
Ciò giustifica ampiamente il titolo «Fatti speciali di gente comune». Il libro, infatti, parla di gente comune, realmente esistita o del tutto inventata. Comune, cioè - potremmo dire - non degna di comparire nei libri di storia. Ma anche questa gente comune sa essere protagonista di «fatti speciali» che hanno valore, un grande valore, nella rete delle relazioni familiari, fra amici, fra insegnanti e allievi, e così via.
«Fatti speciali» che testimoniano amore, dedizione, sacrificio, altruismo, speranza, fede, ottimismo e altri tratti del comportamento umano senza i quali la vita sarebbe una misera cosa. Perché, diciamocelo in confidenza, tutto questo incide molto di più sulla nostra vita quotidiana che non le imprese di tanti grandi uomini, che magari entrano nei libri di storia per le guerre e i massacri di cui sono stati i promotori e i responsabili.
La "grande storia" è assente dal libro, salvo qualche raro, marginale e indiretto riferimento, come quando si menzionano i bombardamenti degli alleati in Calabria (1943) o la situazione del liceo scientifico milanese "Salvador Allende" e le lotte studentesche (1974/1975 circa). Assente perché l'autrice preferisce cogliere i suoi personaggi nella realtà dei rapporti e dei sentimenti e nel contatto diretto, rivelandosi diffidente dei discorsi dottrinari, politici e comunque generali. La "gente comune" di cui parla è dentro la storia, ma come chi la subisce senza veramente viverla, perché la propria vera storia è la vita delle persone, delle amicizie, dei legami di famiglia, dei vincoli naturali e volontari creati dalle circostanze, dagli affetti, dalle scelte personali.
È inutile dire che fra questa gente comune capace di fatti speciali Carla Spinella colloca anche se stessa, con le speranze e i propositi di quando era una ragazzina che sognava per sé una vita eroica, piena di grandi imprese. E senza false modestie, sia pure dopo tanti disinganni e delusioni, spera - e lo scrive esplicitamente - che la sua opera di poetessa e di scrittrice, come quella di insegnante che ha coltivato ottimi rapporti con generazioni di allievi, non finisca nell'oblio e nel nulla del tempo futuro.
2. Ottimismo e pessimismo.
Se volessimo riassumere in una sola breve formula il carattere di Carla Spinella, si potrebbe usare un ossimoro e dire che lei è «una ottimista pessimista». Lei stessa, a proposito dell'infanzia, ricorda che fu un periodo in cui si alternavano pessimismo e ottimismo (p. 33). Ma questa alternanza si estende a tutti i periodi della sua vita, almeno come risultano caratterizzati sia nelle raccolte di poesia sia in questo libro di racconti.
In tutta la sua opera, infatti, si nota un pessimismo di fondo che riveste la vita di dolore e, forse, di inutilità. Questo pessimismo è però riscattato dalla speranza, dalla volontà, dal desiderio, che trova i suoi punti di forza nella passione per il bello e per l'arte, in particolare la poesia; e per una vita ricca di empatia, resa degna d'essere vissuta dall'amore. E poi, naturalmente, da quella foscoliana illusione che è la gloria, l'essere ricordati per ciò che di buono si è stati capaci di fare, per il segno che con le proprie opere si è lasciato nel tempo.
Il libro riflette su tutto questo, e ci parla di questo, sia nel racconto degli aspetti pratici, che sono il vivere i giorni, i mesi e gli anni della nostra vita, sia in quelli culturali, professionali e spirituali. E sono qui ripresi molti motivi - né poteva essere altrimenti - che Carla Spinella ha già trattato, in forma diversa, nei suoi libri di poesia. Si può anzi dire che il libro in prosa serve per meglio capire la poesia, e viceversa. E per meglio capire vicende biografiche e riflessioni personali e culturali, che sono il retroterra e l'anima della sua poesia lirica.
Fra i paratesti includiamo le citazioni in esergo, a p. 5, 7 e 101.
Se i paratesti di copertina sono, per tradizione e per contratto, di competenza dell'editore che li usa per presentare e accompagnare il libro e renderlo più gradevole al possibile acquirente, l'esergo, che etimologicamente significa un qualcosa che sta fuori dall'opera, è invece un messaggio, un segnale, che l'autore premette al proprio testo, perché il lettore sia avvertito di un qualche suo carattere di fondo. Si può trattare di un segnale sui contenuti, sull'orientamento ideale o culturale, sullo stile, o altro.
I tre esergo di Carla che troviamo in questo libro riguardano un punto di vista sui rapporti fra la vita e la morte, visti in senso filosofico e soprattutto morale. Come esergo di tutto il libro, cita una frase di Thomas Mann: «Tutto l'eroismo sta nel resistere, nella volontà di vivere e non di morire». A cui fa da accompagnamento e specificazione una frase di William Shakespeare: «La morte è un tabù, ma solo guardandola si capisce qualcosa della vita».
La frase riassume millenni di letteratura nella quale la vita è vista nel suo stretto legame con la morte. Taluni impiegano la vita nel tentativo di dimenticare la morte, che ne abbiano paura o che l'accolgano come un fatto naturale che pone termine a una partita a scacchi. Altri impiegano la vita per prepararsi alla morte, come evento ultimo che darà senso e valore a tutto ciò che è venuto prima, che lo giustificherà o lo condannerà. In ogni caso la morte è un evento che ci precede, che ci accompagna, che ci suggella e che ci seguirà nel proseguire delle generazioni.
La vita ha però un compito, non è una casualità del tutto inutile o fungibile. E Carla ce lo dice con il terzo esergo che apre la seconda parte del libro. È una massima di Elias Canetti: «Guai a noi se non troviamo quelli che dobbiamo custodire, guai a noi se dopo averli trovati li custodiamo male».
Carla ha abbreviato il testo di Canetti, che è preceduto da questa forte affermazione etica: «Noi tutti abbiamo un compito supremo: custodire delle vite con la nostra vita».
Il testo completo è pertanto il seguente, scandito in tre versetti: 1) «Noi tutti abbiamo un compito supremo: custodire delle vite con la nostra vita. 2) Guai a noi se non troviamo quelli che dobbiamo custodire, 3) guai a noi se dopo averli trovati li custodiamo male».
Sembrano tre versetti del Vangelo.
In questa massima sta il carattere etico, fortemente improntato al senso del dovere, della vita di Carla, il senso della sua vocazione all'insegnamento e il senso del suo libro e dei «fatti speciali» di cui ci parla.
3. Struttura del libro.
«Fatti speciali di gente comune» non è un libro divertente, nel senso che contenga pagine umoristiche, comiche, o di gossip, o in altro modo divertenti. Ma è un libro coinvolgente, interessante, e in molte pagine commovente. È dunque anche divertente, per chi si diverte a leggere libri scritti bene e coinvolgenti, che fanno riflettere il lettore sui fondamenti dell'esistenza umana, che contengono un messaggio morale, non moralistico, ma di richiamo ai valori di fondo della vita.
Uno scrittore francese racconta che, da ragazzo, una notte si svegliò sentendo il padre, che dormiva nel letto a fianco, piangere. Alzò la testa e vide che stava leggendo «I Miserabili» di Victor Hugo. Il padre lo accarezzò e gli disse: «Piango, perché è divertente piangere leggendo I Miserabili».
Naturalmente il libro di Carla non trascina in modo vorticoso il lettore come lo fa I Miserabili, che possiamo definire il titano del romanzo melodrammatico, un libro eccessivo in tutto, tanto eccessivo che l'eccesso, che in un romanzo normale è un difetto, nei Miserabili diventa espressione del sublime, del grandioso alla massima potenza.
Al contrario, Carla evita ogni eccesso, ogni ripetizione, ogni prolissità, ogni espediente narrativo che serva ad allungare il brodo, come si dice talvolta. Però riesce, con altri strumenti, a coinvolge ed emozionare il lettore. E a raccontare, in modo poetico, storie vere o verosimili, storie che nei loro dettagli sono veristiche, ma raccontate con un linguaggio che potremmo dire ingentilito, a tratti quasi da favola.
E ciò non per negare quello che la verità ha di crudo, di aspro, di tragico, di avvilente, di brutto, ma per inserire questa verità in un contesto, anche lessicale, che ne mostra pure gli aspetti positivi, in quella continua dialettica fra vita e morte, fra pessimismo e ottimismo, fra inganno e speranza, fra dolori e gratificazioni.
Altri aspetti dello stile di Carla, oltre al classicismo della sintassi e del lessico, nel quale non compaiono mai, salvo in un unico caso, termini cosiddetti volgari del linguaggio parlato, sono il ritmo complessivo del periodare, che ha un suo metro apparentemente spontaneo, ma accuratamente perseguito; la disposizione delle frasi principali e subordinate che crea, con la gradualità semantica degli elementi verbali, dei sostantivi e degli aggettivi, un climax (scala) crescente o decrescente che dà una musicalità interiore alla narrazione; infine l'alternarsi di elementi narrativi riferiti alla natura, alle condizioni climatiche e al sole e alla luna, con quelli riferiti alle vicende umane.
Gli eventi naturali ora fanno da sfondo, ora accompagnano, ora contrastano gli eventi umani. In molti casi la bellezza della natura è evocata come elemento di contrasto e di implicita consolazione di ciò che di triste capita ai protagonisti. Sovente si ha anche l'indicazione temporale, e la mattina e il crepuscolo sembrano essere i momenti migliori della giornata.
Un esempio dell'interagire fra condizione naturale e sentimento dei protagonisti, lo abbiamo già a pag. 10. Amelia, disperata per la figlioletta moribonda, «Andando verso casa guardò il cielo così sereno da sembrare irreale come nella descrizione di una fiaba. "Pare un preannuncio di pace e di vita" si disse, d'improvviso consolata».
Mentre in molti autori l'indifferenza della natura è un elemento negativo che rinforza il pessimismo, nell'opera di Carla è invece un elemento di bellezza che ha una funzione positiva e incoraggia l'ottimismo.
***
Il libro si divide in due parti. La prima contiene otto racconti ambientati in Calabria, salvo gli ultimi due che hanno anche riferimenti a Milano. Sono tutti di carattere autobiografico e rappresentano momenti salienti della formazione della scrittrice e della sua vita fino ai 30/35 anni circa.
Ci parla della sua famiglia di origine, della madre Amelia, della zia Erminia, del fratello Ottavio, delle sorelle Titty e Roberta e di se stessa. E, per pochi cenni, del padre Carmelo, del fratello Gianni e di altri personaggi che si intrecciano con questi.
Gli eventi di maggior rilievo di questi racconti sono la sopravvivenza di Carla, perché è lei la bambina del primo racconto che stava morendo per mancanza di latte a lei adatto. Latte che poi, quasi per miracolo, venne trovato. Il suo sentirsi, fin da ragazzina di cinque anni, chiamata, cioè dotata di vocazione, che in un primo momento credette di trovare nel desiderio di santificarsi, dopo aver letto una biografia di Giovanna d'Arco, ma che poi realizzò meglio nella scrittura e nell'insegnamento, sempre sentiti come una vocazione, non come semplice professione o mestiere o hobby.
Il suo strazio per la morte del fratello minore Ottavio, perito a 18 anni in un incidente stradale. Quella morte, come Carla scrive anche in una poesia de «Il canto dell'assenza», «era solo l'avvio / d'un ciclo di mutilazioni». Con la morte di Ottavio inizia la divisione in due parti dell'anima di Carla: una parte dedicata al dolore, incolmabile e inconsolabile. L'altra parte dedicata alla vita e ai doveri di donna, di madre, di insegnante, di scrittrice, di amica.
Carla (p. 78) scrive che la morte di Ottavio è stata «latente follia» e che anche dopo molti anni continua ad essere «sempre dolore, silenzio e finzione di vita». Ma le «mutilazioni» proseguirono, con altre morti, e spesso a causa di un tumore. Il cancro è un protagonista, feroce e prepotente, delle pagine di Carla. Nel racconto dedicato a una sua allieva, appunto morta di cancro in tempi recenti, e intitolato «Adeno l'alieno - Alessia», Carla scrive queste amare parole, riepilogando la lista di suoi lutti per cancro:
«Ecco, la storia si ripeteva. "La vita non inventa mai nulla di nuovo che sia anche bello: nonna, madre, zia, cognato, sorella, amiche, troppe persone che ho amato - la cui assenza continua a scavare un cratere dentro di me - circuite e sottomesse dalla morte, che mi ha bruciato il cuore a poco a poco". [...] Solo un nemico particolarmente crudele, prima di affondare la pugnalata finale, ti fa il vuoto intorno.
E ora toccava ad Alessia».
Il lettore va però avvertito che il dolore e la morte non sono il tema centrale né occupano molte pagine. Il tema centrale è ciò che queste persone, nonostante tutto e resistendo al dolore e alla morte, hanno saputo fare. Il centro dei racconti sono i «fatti speciali» che la vita ci mostra e le persone che li compiono. Attorno alla protagonista, Carola (alter ego di Carla), si animano personaggi a lei legati da parentela e affetto, le cui vicende formano un romanzo di cui si raccontano solo alcuni episodi, lasciando all'immaginazione del lettore intuire i nessi e le parti taciute.
La seconda parte del libro è più varia e letterariamente composita. Comprende undici racconti, di cui uno diviso in tre pezzi.
Uno, già citato, «Adeno l'alieno» è una specie di elogio in ricordo della sua allieva, che qui chiama Alessia. Due sono sogni e favole allegoriche, il cui significato è in parte scoperto, in parte, come in ogni allegoria o racconto di sogni, va ricercato con un lavoro di immaginazione e di interpretazione. Altri due sono dei bozzetti che possiamo interpretare come apologhi morali.
Due altri sono racconti veri e propri, nel senso di racconti di intreccio, e sostanzialmente sono storie d'amore, una fra adolescenti e l'altra fra persone mature, che parlano anche delle difficoltà di rapporti, e di comprensione, fra maschi e femmine. In questi racconti si può vedere la concezione di Carla sull'amore e il suo ideale di amore puro e di relazioni alla pari fra donne e uomini, con un risvolto anche sociale, di rivendicazione della dignità del mondo al femminile.
Infine, un paio di racconti hanno un contenuta quasi da thriller, dove è la vittima che racconta mentre i criminali restano impuniti. Il tema centrale è però la morale che la vittima, morendo, trae dalla sua morte.
L'ultimo racconto, che si conclude con due poesie, è una specie di sfogo contro l'ingratitudine e il tradimento dell'amicizia, che però porta a una reazione che supera l'abbattimento, perché «anche da un disastro può germinare il fiore della serenità e della gioia» (p. 171). In sostanza, l'aspetto etico e anche pedagogico e, tutto sommato, il trionfo dell'ottimismo, o forse della volontà di essere ottimisti, compare in quasi tutti i racconti.
4. Autobiografismo.
Ho più volte accennato al carattere autobiografico del libro di Carla. Ma se è vero - e lo è senz'altro - che ogni scrittura poetica e narrativa è sempre in qualche modo autobiografica, dobbiamo precisare in che modo lo è il libro di Carla.
Lo è a tre livelli, variamente presenti nei 21 racconti.
1) Il primo livello è quello dell'autobiografia in senso stretto, nella quale gli eventi narrati corrispondono a eventi reali, sia pure con quelle trasformazioni e dislocazioni dovute alle esigenze narrative. Questo è un autobiografismo che ricrea narrativamente la realtà storica, senza allontanarsi dalle sue linee di fondo. Sono autobiografici in questo senso e riferiti alla realtà storica personale e familiare i racconti della prima parte e uno della seconda.
2) Il secondo livello è quello che inserisce in un tessuto narrativo del tutto inventato pensieri, idee, sogni, progetti, aspetti del carattere e altri elementi reali desunti dalla propria autobiografia. Qui si tratta di una specie di autobiografia ideale. Diverse pagine del libro, sia della prima che della seconda parte, hanno questo carattere.
3) Il terzo livello si ha quando elementi reali di se stessi, o di persone che si conoscono e che rientrano quindi nella propria autobiografia, vengono smembrati e attribuiti o riferiti a personaggi inventati. Può darsi il caso che più personaggi, anche completamente diversi fra loro, contengano contemporaneamente, nello stesso testo narrativo, elementi autobiografici dell'autore.
Un'estensione di questo livello riguarda non i fatti reali della propria autobiografia, ma i fatti immaginari, i sentimenti, le paure, che l'autore possiede nel suo immaginario e che trasferisce ai suoi personaggi. Questi fatti immaginari possono essere, e sembrare, anche in netto contrasto con il carattere dell'autore, che, infatti, li ha vissuti solo nell'immaginazione.
C'è tuttavia differenza fra l'attribuire a un personaggio una propria immaginazione, nata indipendentemente da quel personaggio, o l'attribuirgli una immaginazione nata dopo la creazione del personaggio e modellata sul suo profilo. Nel primo caso il profilo del personaggio contiene elementi autobiografici, nel secondo caso ne è invece esente.
Questo terzo livello di autobiografismo mi sembra riscontrabile in alcuni racconti della seconda parte e in particolare negli elementi da thriller di un paio di essi, dove nulla è autobiografico, salvo, probabilmente, la paura di restare vittima di un assassinio e le conseguenze immaginate.
Elementi autobiografici sono contenuti anche nella varia simbologia calata all'interno dei racconti. Un solo esempio basterà a capirci. Nel libro, come nelle poesie, ricorre più volte il termine «farfalla», che l'autrice riferisce a se stessa o ad altre donne oppure alle farfalle reali, ma sempre come allusione e simbolo di giovinezza, di bellezza, di libertà, di sogni e ideali.
Mentre il termine «anello» è simbolo sia di amore sia di impedimento alla libertà, quando non si tratta di vero amore. Così a pag. 52 leggiamo:
«"Vuoi sposarmi?" e la sua voce tremò di commossa speranza. Ma lei, costernata e recalcitrante, rossa in viso, disse agitata: "No, no, non lo voglio. Per tutta la vita ho odiato gli anelli: mi è sempre sembrato che trasformassero una donna in una farfalla senz’ali"».
Questa citazione ci introduce in un altro aspetto del carattere di Carla, che consiste nella coesistenza - e permanenza - in lei - ragazza di buona famiglia, molto educata e ubbidiente, ligia ai propri doveri, molto legata alla famiglia e così via - di un atteggiamento di devozione e abnegazione che rasenta la sottomissione, e insieme di un atteggiamento di ribellione e di testarda fedeltà a se stessa.
Fra le citazioni possibile che testimoniano l'atteggiamento indipendente di Carla mi piace la seguente:
«Ripensava anche a una frase di Martin Luther King: "Dobbiamo imparare a vivere insieme come fratelli. Diversamente moriremo come imbecilli". Era un’affermazione condivisibile, soprattutto da lei che, forse cristiana più che cattolica, cercava di mettere in pratica il Vangelo, sentendosi spesso fuori tempo e luogo, in un’epoca e in una Nazione in cui le azioni erano guidate da principi molto diversi da quelli evangelici». (pp. 82-83).
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Spero d'essere riuscito a evidenziare i meriti del libro di Carla e il suo carattere anomalo e fuori dai generi letterari più frequentati dalla narrativa italiana, che poi ricalcano quasi sempre i modelli ormai sperimentati da lungo tempo.
Non è nemmeno un libro di memorie personali, nel senso di bilancio della propria vita, come spesso fanno i narratori che esordiscono in età matura; e tanto meno è un libro provinciale, da strapaese ritardato, o un libro di bella prosa fine a se stesso.
È un libro personale, personalissimo, che contiene molte cose e molti spunti di altre sottintese, dove i lettori possono trovare sia ciò che si aspettano da lei, sia ciò che, forse, non si aspettano, perché il ventaglio dell'immaginazione e della narrazione è più ampio di quello vissuto nella vita quotidiana.
Per tutti questi motivo auguro a Carla e al suo libro il successo che si meritano.
[Luciano Aguzzi, dicembre 2016]