Margherita Parrelli per Antonio Corona con "Mi troverai vivo"
![]() Mi troverai vivo
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autori: | Antonio Corona |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Ha un respiro biblico l’ultimo e atteso Mi troverai vivo di Antonio Corona. L’attesa è valsa tutta, almeno dal mio punto di vista.
Sono molte le immagini che con forza simbolica chiamano a esercitare un attento sguardo sull’altro, a muoversi verso un risveglio che faccia spazio interiore, che dia solidità ai gesti dell’incontro. La poesia si fa qui parola che testimonia, che divelle il muro del reale per farne emergere il significato profondo di quell’umano che non si trincera nel proprio io.
Non è certo un caso la scelta del numero dodici per l’apertura emblematica della prima e potente lirica. Dodici erano le tribù di Israele, dodici gli apostoli scelti da Gesù, dodici e i suoi multipli ad indicare la pienezza umana.
Il sacrificio che Antonio chiede alle mansuete dodici pecore, che sporche di terra approdano nel nero di città e che, pur spaventate, si ergono a protezione delle sorelle uccise, è un sacrificio che non ha timore di esporsi per solidarietà fino alla perdita della propria vita. E la morte è data loro dal pastore che le accompagna dalla terra alla città, dall’ambiente contadino sporco ma vivo al portone che non si dischiude di un luogo di culto.
Dodici le candele che ardono davanti alle mani incrociate, sperano felicità, sperano che la devozione sia sufficiente a trasformare le lacrime in miracolo, ma che si ritrovano ad essere null’altro che evaporazione nel cerchio d’aria segnato dagli avvoltoi sul cadavere dell’amore, una morte non totale poiché ancora invoca e finché c’è invocazione, c’è una fessura di speranza, viene da pensare alla fine della lettura.
Tra la prima e l’ultima poesia sta lo sviluppo di un pensiero forte, perché intensamente umano nel sentire l’altro, e di una parola iconica che si tiene in equilibrio tra la sospensione, il rimando al non detto e la dichiarazione di una condizione umana mai generica ma sempre connessa ad una specifica identità, a una persona concreta. Versi diretti come “recintati in dodici metri quadri/ condividono uno specchi / per messo volto ciascuno” raffigurano la perdita del diritto a essere persona nella sua interezza che produce l’esperienza del carcere. La desolazione è descritta attraverso dettagli che svelano la loro centralità, nel dettaglio sta la realtà che vive l’individuo: “(…) ora bucano le carte da gioco sul pavimento” anche in “la sedia di plastica è vuota,/ attende in mezzo alla neve”, fino a “sul muro omertoso a morte i reietti”.
Un mondo dolente quello nel quale Antonio entra e ci fa entrare, ma pieno di dignità e consapevolezza del limite della vita, della necessità di dare un senso all’espiazione liberandola dalla condanna, da un giudizio che resta nella superficie dei fatti che accadono. Dietro i fatti l’umano: “(…) mi consuma l’illusione/ di restare vivo/ ma sono già oscurità” e una via che rimanda all’amore e all’origine: “amo l’uomo che respira lento/ guarda il mare e non lo giudica / la foglia che cade dal ram / e s’affida al vuoto per tornare origine”. È proprio questo umano, la sua persistenza che fa dire ad Antonio: mi troverai vivo.
Margherita Parrelli
ottobre 2024