Mauro Liggi scrive su «Insolvenze» di Francesco Cagnetta.
24.09.2024
![]() Insolvenze
|
|
autori: | Francesco Cagnetta |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
Insolvenze di Francesco Cagnetta (1982), La vita felice 2024, è un viaggio nello smarrimento di una generazione, la mia, la nostra, in cui emerge tutta la tragedia di un passato a cui obbedire e che non promette se non un futuro e un presente di spaesamento.
È un cammino di inciampi, di incompiuti, di domande inevase, alla ricerca di un senso inafferrabile, uno scopo che sfugge tra i pensieri, soldati in una guerra non dichiarata, subita e definitiva.
Anche la famiglia diventa luogo di legami, colpe, espiazioni, smarrimento, tentativo maldestro di riparo, di certezze che evaporano, nella falsa illusione di badare a noi stessi.
Eterni prigionieri di un dialogo senza ritorno, Cagnetta canta la frustrazione di un quarantenne, frustrazione di un vuoto genitoriale su cui l’autore ritorna in vari passaggi come una condanna, un destino, un tentativo fallito di avanzare in un tempo nemico, sfidarne l’inanità, compiersi nel dare e non morire del non ricevere.
È l’incompiuto la cifra della silloge, la colpa di sopravvivere questo tempo, il sottrarsi quotidiano di significati e significanti, la ricerca di un’alterità che indichi, sia prossima e consolatoria, dove non c’è consolazione e la prossimità sono muri innalzati tra monadi che si muovono nel mondo ciascuno perso nelle proprie mancanze.
Questo tempo di mezzo è schiacciato tra un’infanzia richiamata ed invocata e la morte che incombe fin dalla nascita (Scegliere di crepare/così come si è/con le mani intasca/in una ferita più grande), di sé stessi e di chi ti circonda, un gioca a perdere dove spariscono affetti, un gioco che aspetta arrivi il tuo turno sputati interi dalla terra.
Il poetare della silloge e nudo, vero, scarno, senza infingimenti, potente. Citando Fortini («La poesia non muta nulla. / Nulla è sicuro ma scrivi») sembra che l’aggrapparsi alla poesia non sia salvezza ma solo l’unico modo per restare a galla, sospeso, in bilico su un filo sottilissimo tra il fallimento e il resistere. Nella solitudine ontologica Cagnetta osserva il disastro, impotente, rovinoso e ce lo restituisce in forma sublime senza nessuna missione se non quella di specchiarci nel nostra sconfitta.
Mi lego alla vita e scrivo poesie
per grado di profondità
uso la trivella – al posto della penna –
per forare ogni velo della pelle
e cadere
e tornare ancora a galla
e incidere ogni singola parola
e sbattere la lingua su strati
di versi stranieri.
Io la penna, io l’occhio
sospeso
e deluso.
Piano terra.
Meno uno.