Melania Panico per Manuela Minelli
Femmine che mai vorreste come amiche
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autori: | Manuela Minelli |
formato: | Libro |
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Nei primi trent’anni del Novecento, Antonin Artaud teorizzava una nuova forma di teatro: il “teatro della crudeltà”,ovvero un teatro che, puntando a creare una “metafisica della parola”, sovvertisse l’idea di spettacolo tradizionale, che comprendesse varie forme di linguaggio, per una verità totale. Col tempo il testo aveva cominciato ad esercitare una tirannia sullo spettacolo e in contrapposizione a questo, Artaud voleva spezzare questa soggezione.
Ma la parola crudeltà deve essere intesa in senso lato, non letteralmente. Del resto che cos'è la crudeltà in termini filosofici? Lo stesso Artaud parla di crudeltà come “rigore”, “ applicazione e decisione implacabile”, “determinazione irreversibile”, “sottomissione alla necessità”. Non è altro che una rottura con il senso usuale del linguaggio.
Nel saggio “Il teatro e il suo doppio”, Artaud dice: «Il teatro deve farsi uguale alla vita, non alla vita individuale, a quell'aspetto individuale della vita in cui trionfano i caratteri, ma a una sorta di vita liberata, che spazza via l'individualità umana e in cui l'uomo non è più che un riflesso».
In definitiva, secondo il sistema artaudiano, l’evento in sé diventa sottomesso alla necessità, al di là di qualsiasi norma. È la vita con i suoi intrecci non sistematici.
Anche se questo non andò mai veramente in porto, la visione dello studioso ha influenzato molto anche gli ambiti del cinema e della letteratura.
E veniamo dunque al libro in questione “Femmine che mai vorreste come amiche”. La crudeltà non è cattiveria e quello che ci interessa in questa sede è analizzare il linguaggio “crudo”, realistico, ravvisabile già ad una prima lettura, soprattutto di alcuni racconti in cui la violenza dei comportamenti sembra quasi gratuita. Ma le femmine che mai vorreste come amiche, in realtà sono donne ferite, sono donne che continuamente hanno subito e che probabilmente non riuscirebbero a risolvere le ferite se non ferendosi loro stesse. Gala punta ai quaranta chili e una volta raggiunta la meta, non si accontenta, vuole andare oltre fino alla fine. Le due “amichette” del racconto, forse hanno qualcosa da nascondere l’una all’altra ma il gesto finale è un gesto di pietosa amicizia. La signora Marisa cerca costantemente qualcosa che difficilmente potrà ritrovare: il suo senno e alla fine decide che l’unico modo per ritrovarlo è cercare di raggiungere il marito, ovunque sia.
Ciò che colpisce nei racconti di Manuela Minelli è la presentazione dell’evento in sé, che è quasi sempre quello della morte, evento crudo ma anche necessario, emblematico. Tutto questo è accompagnato da un lessico e da una struttura sintattica omogenea e rigorosa, da una forte scansione ritmica. In definitiva i racconti della Minelli appaiono come affreschi di contemporaneità, seppure nella loro crudezza, necessari.