Succede oggi 22/10/13 - P.M. Fasanotti per I sommersi e i dannati
![]() I sommersi e i dannati
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autori: | Filippo Maria Battaglia |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Un libro sui “dimenticati” della letteratura - Delitti della memoria - articolo di Pier Mario Fasanotti su "Succede oggi" 22 ottobre 13 per “I sommersi e i dannati” - articolo pubblicato il 20.10.13 su Libero
Un libro sui “dimenticati” della letteratura
Delitti della memoria
Filippo Maria Battaglia ha dedicato il denso e informatissimo “I sommersi e i dannati” a importanti narratori italiani del Novecento quasi del tutto scomparsi dalle librerie. Scrittori famosi ma spesso vittime di ideologismi esasperati e di mode editoriali. Come Arpino, Cassola, Cancogni, Papini...
Per fortuna ci sono le bancarelle. Per fortuna ci sono siti internet come Ibs e Amazon (e altri, suppongo) ove trovare e acquistare libri che nelle librerie sono assenti da anni. Non parlo di archeologia libraria, ma di autori che sono entrati nel dimenticatoio dopo essere stati apprezzati e poi colpevolmente dimenticati. Qualcuno esce dal limbo in quanto rilanciato da qualche casa editrice, solitamente di piccole e medie dimensioni, oppure dalla Adelphi che, per esempio, ci ha riproposto Curzio Malaparte e, ormai anni fa, ha approfittato della disattenzione, o pigrizia, dei dirigenti della Mondadori, e ha rilanciato, con un successo commerciale più che notevole i romanzi di Georges Simenon, quei roman roman (come li chiamava l’autore) che non hanno il commissario Maigret come protagonista. E altri verranno, si mormora nella sede dell’editrice che fa capo a Roberto Calasso. Accennavo alle bancarelle perché stamane, in una pigra e soffocante mattina romana, ho trovato (a 5 euro) un bellissimo saggio che molti anni fa ho prestato e mai più recuperato: Il lungo viaggio attraverso il fascismo di Ruggero Zangrandi, Feltrinelli editore (anno 1962). Chissà perché nessuno l’ha mai ripubblicato.
Parlando invece di narrativa, è da far nostro lo sdegno di Filippo Maria Battaglia, giovane e abile giornalista e saggista, che per le edizioni Otto/Novecento ha appena pubblicato un libricino denso e informatissimo intitolato I sommersi e i dannati (118 pagine, 12 euro). L’autore premette che nella sua opera ci sono inevitabili omissioni. Tra queste due nomi mi sono venuti in mente: Giuseppe Berto, Alberto Ongaro e Carlo Castellaneta. Pazienza. L’importante è l’aver attratto l’attenzione su alcuni narratori introvabili o quasi nelle librerie. Per esempio Giovanni Arpino, che pur godette di grande fama (premio Strega 1964 con L’ombra delle colline). Arpino, piemontese nato per caso a Pola, è stato oggetto di critiche similari a quelle mosse a molti altri. Ossia prosa leggibile, lontana dallo sperimentalismo e dal fumismo di traballanti avanguardie. Il risultato, come scrive Battaglia, è stato «un cortocircuito della memoria». Lo stesso Arpino probabilmente se lo aspettava, tanto è vero che un giorno dichiarò: «Alcuni critici mi rimproverano di costruire delle trame troppo semplici. Non mi sembra vero. Sono vicende dell’uomo di oggi che è inutile complicare con delle domande in più; già la storia di per sé è un nodo esistenziale da sciogliere e quindi va seguita nei suoi particolari». Anche lui è stato vittima «dell’ideologismo esasperato degli anni 60 e 70», ovverossia è rimasto «schiacciato dalle mode editoriali rifiutando di rincorrerle o di adattarvisi». Eppure Arpino ha scritto romanzi che sarebbe un delitto culturale dimenticare: La suora giovane, Gli anni del giudizio, Una nuvola d’ira, Azzurro tenebra.
E a proposito di quella semplicità stilistica che è parsa a molti come equivalente a sciatteria, uno degli esempi più noti di scrittore via via ostracizzato è Carlo Cassola, i cui libri sono in gran parte finiti nel tritacarne del “circuito metà prezzo”. Pesa sulle sue spalle ancora l’accusa feroce d’essere un “novello Liala” lanciata dal Gruppo ’63 (ne facevano parte Umberto Eco, Antonio Porta, Angelo Guglielmi, Elio Pagliarani, Nanni Balestrini, Renato Barilli ed Edoardo Sanguineti). Gli inquisitori delle belle lettere volevano rottamare quella che ai loro occhi risultava essere soltanto “letteratura dei sentimenti”: già questa formulazione d’accusa è intrinsecamente idiota. Verso Cassola ebbe parole dure Cesare Pavese, che parlò sprezzantemente di «noiosetta letteratura da rivista che non interessa a nessuno». Nel 1960 Cassola vinse lo Strega con La ragazza di Bube. Che divenne successivamente film.
Pasolini non fu da meno quando gli rimproverò d’aver ucciso «il corpo ideologico del Realismo». Storse il naso, dinanzi al racconto lungo Fausto e Anna, anche Palmiro Togliatti. Cassola fu messo sul banco degli imputati per “lesa Resistenza” o, addirittura, per “visione democristiana” della guerra partigiana. Insomma si doveva essere rossi fino al midollo, e quindi faziosi, per ottenere il placet del clima critico di allora, così ottuso e opprimente. Per fortuna la Mondadori ha lanciato il “Meridiano” Cassola, collezione di scritti curata da Alba Andreini (2007), la quale, per fortuna, mette in dubbio la «musa della semplicità» dell’autore romano, parlando piuttosto di «chiarezza espositiva e abilità linguistica». Nel decennio Sessanta erano statue sacre romanzi come il Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio e Uomini e no di Elio Vittorini. Filippo Maria Battaglia fa ironicamente notare che il Meridiano dedicato a Cassola termina proprio col romanzo Paura e tristezza.
Che dire poi di Manlio Cancogni? «Probabilmente – scrive Battaglia – il più grande narratore italiano vivente». Anche alcuni dei suoi libri pubblicati una decina di anni fa sono introvabili. Più che meritoria quindi l’azione di recupero che stanno facendo alcune piccole case editrici come Diabasis, Elliot e Le Lettere. Il suo La linea del Tomori fu definito da Cesare Garboli «un registro esistenziale». Cancogni, che fu notissimo giornalista d’inchiesta dell’Europeo e dell’Espresso (famose le sue indagini sulla “capitale corrotta”), scrisse ai suoi inizi uno dei più bei racconti del dopoguerra, Azorin e Mirò che fu, «forse senza volerlo – annota Battaglia – il manifestao di una poetica, di un modo unico e vero di adesione alla realtà». Si occupò anche di sport (come del resto Arpino): «Tutto sommato – disse una volta – mi dà più piacere vedere una partita di Maradona, col suo spirito istintivo e indomabile, che leggere un libro di qualche autorevole scrittore». Cancogni, se si prende il suo memorialistico Scervellati (2003), affrontò il tema del conflitto generato dalla seconda guerra mondiale, da «disobbediente della coscienza» e da «sofferto antipatriota».
Tra i dimenticati piace ricordare anche Giovanni Papini, che appartenne alla generazione del primo Novecento. Noto come autore di Un uomo finito, storia di un irrequieto giovane che dalla biblioteca si sporge per abbracciare una sorta di nichilismo, Papini da agnostico e bestemmiatore si convertì al cattolicesimo. Il suo Storia di Cristo ebbe un formidabile successo in tutto il mondo. L’opera sarà citata come livre de chevet da papa Benedetto XVI. Cercatela, se avete fortuna.