Maria Teresa Marcialis per Valentina Neri con "Folliame"
![]() Folliame
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autori: | Valentina Neri |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Maria Teresa Marcialis
20 luglio 2016 – Presentazione di Valentina Neri, Folliame, La Vita Felice, Milano 2016
Sono molto lieta di presentare questo Follia1me di Valentina Neri. E' il secondo suo libro di poesie che presento; ho presentato il primo, Voli inVersi, circa un anno fa, e mi piace che, in un intervallo così breve, in tempi di twitt e di SMS in cui il dire è costretto in poche parole, meglio se abbreviate, e le comunicazioni si restringono sempre più in comunicazioni di servizio e seguono il modello usa e getta, qualcuno ricorra alla poesia per esprimere se stesso e le proprie emozioni: stavo per dire “usa” la poesia ma la poesia non si “usa” e tanto meno si getta.
Folliame è già stato presentato varie volte. Sono già state dette molte cose, in merito, e, del resto, la prefazione di Claudio Damiani costituisce una guida egregia del libro. È già stato detto tutto e non mi rimane molto da dire; oltretutto, come mi capita spesso di notare in queste occasioni, è difficile presentare un libro di poesie: la poesia sta lì, con le sue parole, con le sue metafore che non vanno spiegate intellettualisticamente, vanno godute per quello che sono, per il loro suono, per la loro armonia, per la loro icasticità, per l'intensità d'esperienza che racchiudono, per i grumi di realtà che contengono: e sono quelle parole, quelle precise, specifiche parole che fanno la poesia e non possono essere sostituite, pena la dissoluzione della poesia stessa. La poesia va detta, non va spiegata; è nella sua superficie, nella sua superficialità che risiede la sua bellezza o comunque, più neutramente – se non si vogliono usare parole troppo impegnative – risiede la sua specificità: e si sa che non c'è niente di più profondo di ciò che è superficiale. Non ho la pretesa di penetrare nella sua superficialità, di esaurirne la pienezza; proverò comunque a dire qualcosa.
Muovo dal titolo che, come sempre nelle cose di Valentina, non è casuale ma ha una pregnanza che lo rende quasi un compendio del libro, costituendone in qualche modo la chiave, racchiudendone in una parola il “senso”: così è stato per il libro del 2015, Voli inVersi; così è per questo volume intitolato Folliame.
Folliame, dunque: parola coniata da Valentina, che non si trova nel vocabolario e pour cause; parola ambigua per i molti significati che contiene, per i molti punti di vista da cui può essere considerata e per questo in grado di esprimere una gamma di sentimenti e l'intensità di un'esperienza che non si lascia imprigionare nelle parole del linguaggio consueto ma ha bisogno di parole nuove. Folliame per assonanza richiama Fogliame, le foglie di un albero, la freschezza di un bosco; ma richiama anche i fogli, le pagine di un libro, i fogli – come si diceva nell'Ottocento per indicare sonate da salotto sottratte al loro contesto - Fogli d'album. Folliame è tutto questo: ha la freschezza del fogliame e la compiutezza frammentaria dei fogli d'album. Ma, evidentemente non è solo questo.
Il riferimento più immediato di Folliame è Follia: il volume allora potrebbe essere una sorta di raccolta di Follie, detto peraltro in modo leggero, quotidiano, disinvolto, come se fosse una cosa da nulla, non impegnativo: un insieme di cascami, di residui di tessuti pregiati, un insieme di cascami di parole. Ed è proprio la leggerezza della denominazione Folliame, a conferire alla Follia un significato in qualche modo liberatorio
Follia, come si sa, è termine complesso che indica molte cose anche disparate, non positive. Folle è il pazzo in tutte le gamme: è il dissennato; folle è lo sconsiderato; folle è l'esaltato, e folle è ciò che gira a vuoto senza produrre nulla, come un motore in folle: folle è sempre chi non ha strutture intellettuali consolidate, che non usa categorie logiche, che tracima da schemi definiti, che non si inserisce in realtà precostituite, che non dà luogo a risultati utili. E, come dice Valentina Neri, la follia non solo è patrimonio di qualcuno ma è patrimonio di tutti sì che
«Ognuno veglia timoroso/ sulla soglia della propria follia/pronta a traboccare»;
ma la follia di cui parla Valentina ha un significato positivo, è altro dalla dissennatezza; lo dice lei stessa nella poesia Peccati (quarta di copertina) in cui opera una sorta di renversement della tavola dei peccati, dei sette peccati capitali e che termina con la affermazione
«perciò invidio la libertà dei folli».
Follia diventa quindi liberazione dalle costrizioni ipocrite di una società malata, dai pregiudizi, da tutte quelle strettoie che imprigionano in gabbie, che impediscono la realizzazione di sé, come persona, come donna; è voglia di trasgressione, non di una trasgressione fine a se stessa ma trasgressione, appunto, da costrizioni indotte dall'esterno che impediscono, come dice il Peer Gynt di Ibsen, di essere «se stessi», in tutta la pienezza del proprio essere e del proprio io, inteso come totalità di ragione (spirito, anima, quello che volete) e corpo, totalità nella quale il corpo non è, platonicamente, la «prigione dell'anima» non è guscio che racchiude un contenuto un frutto, ma è frutto esso stesso, ha una valenza autonoma. E nelle poesie di Valentina il corpo è il segno della propria identità, è il segno della nostra umanità e della nostra soggettività (Nancy).
E allora forse Folliame può esser letto come la descrizione (ma non è descrizione perché questo è un libro di poesia e la poesia non descrive, dice) della progressiva realizzazione di sé, che è anche passaggio da un mondo in dissoluzione a un mondo 'altro', il mondo in qualche modo utopico della felicità. Non è un cammino facile, questo, che implica timori e incertezze: nella poesia Limiti e Illimiti si dice il
«Timore di uscire da rette linee/affrontando alternità di spazi erranti»
e in Acqua si dice di incertezza, di
«[...] forme dissolute/ incerte tra nutrire e demolire»;
ma è un percorso che va affrontato; il «fondo di futuro ineuclideo» (Mappa) va posto come meta da raggiungere.
Di questo percorso vengono indicate le tappe con gli stessi titoli che scandiscono le parti del libro, Relittuario, Inesistenze, Il Domatore: da una realtà in disfacimento della quale rimangono solo residui, alla dissoluzione totale di questa realtà, alla scoperta di un mondo nuovo: di un brave new world: come dice il Prospero della Tempesta di Shakespeare, un mondo che viene costruito dal nulla con materiali bruti, fino alla prefetta realizzazione, mediante uno mezzo: l'amore; il mondo nuovo la cui costruzione è affidata all'esplosione di un amore inteso e rappresentato in tutte le sue gamme che, senza infingimenti, approdano alla carnalità, all'erotismo puro. Carnalità, erotismo, certo; ma in funzione della realizzazione di sé come donna, in tutta la sua femminilità. Non è tanto l'erotismo, infatti, che affascina, né lo svestirsi dell'ipocrisia (che pure ci sono), quanto la manifestazione della femminilità in tutte le sue articolazioni, fino al masochismo, in una passione che è un darsi senza limiti, totalmente e con generosità.
Non mi fermo sulle caratteristiche di questa femminilità, in questa sede non mi interessa; Claudio Damiani, nella sua prefazione, parla, di scorcio, di “sadomasochismo” e talvolta si ha l'impressione che l'amore nel quale si realizza la femminilità, sia un po' sadomaso: c'è una poesia il cui titolo è già indicativo, Violami, si parla, nel libro di frustini (Il Domatore), di fustigazioni, di schiavizzazioni, (Preghiera dell'abbandono), di Padrone ecc.; del resto l'aver dato all'ultima sezione del libro, quella della realizzazione di sé il titolo di Domatore è già indicativo della particolare curvatura di questa femminilità. Ma, appunto, non è questo quello che mi interessa.
A interessarmi è invece la femminilità come conquista, la femminilità che diventa meta di un divenire, di una evoluzione che finalmente si può esprimere, e che qui si manifesta. E basta, al proposito, confrontare la poesia Sposine (della II parte, Inesistenze) con le poesie dell'ultima parte, Il Domatore, per cogliere questo “esplodere” della femminilità nel mondo nuovo. Non viene esibita, questa femminilità, né viene argomentata con toni femministi ma viene detta con i toni, con le parole della poesia e pertanto è resa sensibile, tangibile, coglibile immediatamente: perché il bello si coglie immediatamente, senza concetto, come diceva qualcuno.
Nella sua prefazione Claudio Damiani ha individuato la specificità di Folliame nella sua “trama” e lo ha considerato come un poema o un romanzo, collegandolo alla vocazione di Valentina scrittrice di romanzi, con riferimento al suo romanzo, unico finora, intitolato Le donne di Balthus (2013), che nel titolo richiama un pittore così caro a Valentina la quale, anche in questo Folliame, ne ha riprodotto in copertina un quadro, Thérèse che sogna, e col quale, al di là di questo, ha una profonda sintonia. La trama muove da «astratti furori, desiderio di sparire, allucinazioni, perversioni» - sono parole di Damiani – per arrivare, «attraverso l'amore, alla nascita del mondo, all'esistere, alla felicità». Sono evidentemente d'accordo – come appare del resto da quanto ho detto prima - sull'individuazione di una linea, di un filo rosso che raccoglie e connette le varie poesie; e sono anche d'accordo – e come non esserlo? - nell'individuare il ruolo dell'amore nella realizzazione della meta di questo evoluzione. Questo percorso – la trama - costituisce in qualche modo, il senso e la forma di Folame nel quale sono collocate, direi imprigionate, le esperienze e le parole che le esprimono. Ma la poesia non è organizzazione di esperienze, non è un teorema di geometria, né un ragionamento filosofico e neppure un romanzo; la poesia è altro; la poesia – come tentavo di dire prima – si limita a dire le esperienze, ma “si limita” non è, se si passa la ripetizione, limitativo: per dire le esperienze bisogna entrarci dentro; come diceva Virginia Woolf in un racconto intitolato Il diario di Joan Martyn, bisogna
«entrar dentro le nostre sensazioni e studiarle»
Valentina Neri [forse] fa questo nelle sue poesie: entra nelle sue sensazioni, e non tanto per studiarle quanto per scandagliarle e le esprime certo ma attraverso «i sotterfugi» dei suoi versi. Folliame ha una dedica che dice
«a coloro che ho amato e che amo/ tra i sotterfugi di questi versi»
Sono parole che sembrano così in contrasto con la totale libertà, senza infingimenti e ipocrisie, con cui vengono dette le esperienze erotiche nell'ultima parte – Il Domatore – del libro; non è così: esse, in qualche modo, esprimono quello che i versi sono per Valentina, costituiscono la sua concezione estetica: la poesia come modo di dire occultando, come modo di esprimere i propri sentimenti ma intensificandoli senza espanderli, senza farli esondare, con garbo, con grazia, con pudore. Entrare nelle sensazioni quindi ed esprimerle ricorrendo al 'sotterfugio' del verso: questa la specificità delle poesie di Folliame. “Sotterfugio” significa molte cose, anche negative; qui usare il sotterfugio significa usare un linguaggio nuovo o piegare il linguaggio quotidiano a nuovi usi, anche stravolgendo grammatica e sintassi, o significa inventare un nuovo linguaggio. Un solo esempio: a p. 48, nella poesia Assenza:
«E mentre gioco con gli avanzi dei tuoi rammenti/godo in attesa di offrirti il mio fremito» (p.46)
in cui “rammenti” viene fatto derivare da “rammentare”, e bisognerebbe dire viene “inventato” dalla radice di rammentare, ma è più icastico di “memorie”, di “ricordi”: è un “sotterfugio” che sottrae al ricordo la sua staticità di sostantivo per caricarlo dell'atto del rammentare che si contrappone o si coniuga (dipende dal punto di vista), o comunque riempie di significato il fremito del verso seguente, esprimendo una comunicazione profonda, di emozioni, non di dati. Ma si possono fare molti altri esempi: come lo stesso titolo Folliame o i titoli Relittuario, o Illimiti o Smemorie; e ancora il ricorso così frequente all'Ossimoro, sì che proprio l'ossimoro potrebbe intendersi come la chiave di lettura – almeno fino a un certo livello – del libro. E ancora, i “sotterfugi” nei quali si nascondono sentimenti ed emozioni, sono le metafore, il carattere proprio della poesia come ci ha insegnato Aristotele; il trasferimento di significato, “il dare a una cosa il nome che appartiene a un'altra cosa” (come si dice nella Poetica, 21, 1457 b 7). Le metafore di Valentina sono metafore insolite e non, tratte dal linguaggio quotidiano e non. E dominano per così dire clamorosamente l'ultima parte di Folliame in cui diventano i titoli e i riferimenti delle diverse poesie. Trasferimento di significato, certo, ma questi titoli sono qualcosa in più: la parola nuova diventa la cosa, a significare il carattere “carnale”, starei per dire “materiale”, dell'amore di Valentina: un amore che chiama per così dire e fa suoi tutti gli aspetti della realtà, da quelli inanimati a quelli animati; dai primi elementi agli esseri viventi, agli umani, e tutti li utilizza, questi aspetti, non solo per esprimere tutte le sue sfumature, tutte le gamme in cui si articola, ma perché nel suo amore tutti sono compresi, e nel suo amore si raggiungesse una sorta di comunione con la natura. Si va allora dall'Acqua, Aria, Fuoco, Fuoco, Terra, ai minerali, ai marmi, ai metalli, per giungere poi agli organi di senso, alle diverse sensibilità che li contraddistinguono e alle diverse sfumature che le diverse sensibilità danno all'amore, fino ad arrivare alla casa, agli spazi. E' come se tutti gli aspetti della realtà convergessero nelle poesie di Valentina, e in qualche modo la aiutassero a esprimere la pienezza del suo amore, un amore totale, per tutto: sotterfugi, appunto, nei quali – come dice nella dedica - si è occultato ma insieme si è svelato, nella poesia, il suo amore per coloro che ha amato e che ama.
E, direi, che questo non è il risvolto meno interessante della indubbia vocazione poetica di Valentina Neri e di questo libro di poesie.
Maria Teresa Marcialis
20 luglio 2016 – Presentazione di Valentina Neri, Folliame, La Vita Felice, Milano 2016
Sono molto lieta di presentare questo Follia1me di Valentina Neri. E' il secondo suo libro di poesie che presento; ho presentato il primo, Voli inVersi, circa un anno fa, e mi piace che, in un intervallo così breve, in tempi di twitt e di SMS in cui il dire è costretto in poche parole, meglio se abbreviate, e le comunicazioni si restringono sempre più in comunicazioni di servizio e seguono il modello usa e getta, qualcuno ricorra alla poesia per esprimere se stesso e le proprie emozioni: stavo per dire “usa” la poesia ma la poesia non si “usa” e tanto meno si getta.
Folliame è già stato presentato varie volte. Sono già state dette molte cose, in merito, e, del resto, la prefazione di Claudio Damiani costituisce una guida egregia del libro. È già stato detto tutto e non mi rimane molto da dire; oltretutto, come mi capita spesso di notare in queste occasioni, è difficile presentare un libro di poesie: la poesia sta lì, con le sue parole, con le sue metafore che non vanno spiegate intellettualisticamente, vanno godute per quello che sono, per il loro suono, per la loro armonia, per la loro icasticità, per l'intensità d'esperienza che racchiudono, per i grumi di realtà che contengono: e sono quelle parole, quelle precise, specifiche parole che fanno la poesia e non possono essere sostituite, pena la dissoluzione della poesia stessa. La poesia va detta, non va spiegata; è nella sua superficie, nella sua superficialità che risiede la sua bellezza o comunque, più neutramente – se non si vogliono usare parole troppo impegnative – risiede la sua specificità: e si sa che non c'è niente di più profondo di ciò che è superficiale. Non ho la pretesa di penetrare nella sua superficialità, di esaurirne la pienezza; proverò comunque a dire qualcosa.
Muovo dal titolo che, come sempre nelle cose di Valentina, non è casuale ma ha una pregnanza che lo rende quasi un compendio del libro, costituendone in qualche modo la chiave, racchiudendone in una parola il “senso”: così è stato per il libro del 2015, Voli inVersi; così è per questo volume intitolato Folliame.
Folliame, dunque: parola coniata da Valentina, che non si trova nel vocabolario e pour cause; parola ambigua per i molti significati che contiene, per i molti punti di vista da cui può essere considerata e per questo in grado di esprimere una gamma di sentimenti e l'intensità di un'esperienza che non si lascia imprigionare nelle parole del linguaggio consueto ma ha bisogno di parole nuove. Folliame per assonanza richiama Fogliame, le foglie di un albero, la freschezza di un bosco; ma richiama anche i fogli, le pagine di un libro, i fogli – come si diceva nell'Ottocento per indicare sonate da salotto sottratte al loro contesto - Fogli d'album. Folliame è tutto questo: ha la freschezza del fogliame e la compiutezza frammentaria dei fogli d'album. Ma, evidentemente non è solo questo.
Il riferimento più immediato di Folliame è Follia: il volume allora potrebbe essere una sorta di raccolta di Follie, detto peraltro in modo leggero, quotidiano, disinvolto, come se fosse una cosa da nulla, non impegnativo: un insieme di cascami, di residui di tessuti pregiati, un insieme di cascami di parole. Ed è proprio la leggerezza della denominazione Folliame, a conferire alla Follia un significato in qualche modo liberatorio
Follia, come si sa, è termine complesso che indica molte cose anche disparate, non positive. Folle è il pazzo in tutte le gamme: è il dissennato; folle è lo sconsiderato; folle è l'esaltato, e folle è ciò che gira a vuoto senza produrre nulla, come un motore in folle: folle è sempre chi non ha strutture intellettuali consolidate, che non usa categorie logiche, che tracima da schemi definiti, che non si inserisce in realtà precostituite, che non dà luogo a risultati utili. E, come dice Valentina Neri, la follia non solo è patrimonio di qualcuno ma è patrimonio di tutti sì che
«Ognuno veglia timoroso/ sulla soglia della propria follia/pronta a traboccare»;
ma la follia di cui parla Valentina ha un significato positivo, è altro dalla dissennatezza; lo dice lei stessa nella poesia Peccati (quarta di copertina) in cui opera una sorta di renversement della tavola dei peccati, dei sette peccati capitali e che termina con la affermazione
«perciò invidio la libertà dei folli».
Follia diventa quindi liberazione dalle costrizioni ipocrite di una società malata, dai pregiudizi, da tutte quelle strettoie che imprigionano in gabbie, che impediscono la realizzazione di sé, come persona, come donna; è voglia di trasgressione, non di una trasgressione fine a se stessa ma trasgressione, appunto, da costrizioni indotte dall'esterno che impediscono, come dice il Peer Gynt di Ibsen, di essere «se stessi», in tutta la pienezza del proprio essere e del proprio io, inteso come totalità di ragione (spirito, anima, quello che volete) e corpo, totalità nella quale il corpo non è, platonicamente, la «prigione dell'anima» non è guscio che racchiude un contenuto un frutto, ma è frutto esso stesso, ha una valenza autonoma. E nelle poesie di Valentina il corpo è il segno della propria identità, è il segno della nostra umanità e della nostra soggettività (Nancy).
E allora forse Folliame può esser letto come la descrizione (ma non è descrizione perché questo è un libro di poesia e la poesia non descrive, dice) della progressiva realizzazione di sé, che è anche passaggio da un mondo in dissoluzione a un mondo 'altro', il mondo in qualche modo utopico della felicità. Non è un cammino facile, questo, che implica timori e incertezze: nella poesia Limiti e Illimiti si dice il
«Timore di uscire da rette linee/affrontando alternità di spazi erranti»
e in Acqua si dice di incertezza, di
«[...] forme dissolute/ incerte tra nutrire e demolire»;
ma è un percorso che va affrontato; il «fondo di futuro ineuclideo» (Mappa) va posto come meta da raggiungere.
Di questo percorso vengono indicate le tappe con gli stessi titoli che scandiscono le parti del libro, Relittuario, Inesistenze, Il Domatore: da una realtà in disfacimento della quale rimangono solo residui, alla dissoluzione totale di questa realtà, alla scoperta di un mondo nuovo: di un brave new world: come dice il Prospero della Tempesta di Shakespeare, un mondo che viene costruito dal nulla con materiali bruti, fino alla prefetta realizzazione, mediante uno mezzo: l'amore; il mondo nuovo la cui costruzione è affidata all'esplosione di un amore inteso e rappresentato in tutte le sue gamme che, senza infingimenti, approdano alla carnalità, all'erotismo puro. Carnalità, erotismo, certo; ma in funzione della realizzazione di sé come donna, in tutta la sua femminilità. Non è tanto l'erotismo, infatti, che affascina, né lo svestirsi dell'ipocrisia (che pure ci sono), quanto la manifestazione della femminilità in tutte le sue articolazioni, fino al masochismo, in una passione che è un darsi senza limiti, totalmente e con generosità.
Non mi fermo sulle caratteristiche di questa femminilità, in questa sede non mi interessa; Claudio Damiani, nella sua prefazione, parla, di scorcio, di “sadomasochismo” e talvolta si ha l'impressione che l'amore nel quale si realizza la femminilità, sia un po' sadomaso: c'è una poesia il cui titolo è già indicativo, Violami, si parla, nel libro di frustini (Il Domatore), di fustigazioni, di schiavizzazioni, (Preghiera dell'abbandono), di Padrone ecc.; del resto l'aver dato all'ultima sezione del libro, quella della realizzazione di sé il titolo di Domatore è già indicativo della particolare curvatura di questa femminilità. Ma, appunto, non è questo quello che mi interessa.
A interessarmi è invece la femminilità come conquista, la femminilità che diventa meta di un divenire, di una evoluzione che finalmente si può esprimere, e che qui si manifesta. E basta, al proposito, confrontare la poesia Sposine (della II parte, Inesistenze) con le poesie dell'ultima parte, Il Domatore, per cogliere questo “esplodere” della femminilità nel mondo nuovo. Non viene esibita, questa femminilità, né viene argomentata con toni femministi ma viene detta con i toni, con le parole della poesia e pertanto è resa sensibile, tangibile, coglibile immediatamente: perché il bello si coglie immediatamente, senza concetto, come diceva qualcuno.
Nella sua prefazione Claudio Damiani ha individuato la specificità di Folliame nella sua “trama” e lo ha considerato come un poema o un romanzo, collegandolo alla vocazione di Valentina scrittrice di romanzi, con riferimento al suo romanzo, unico finora, intitolato Le donne di Balthus (2013), che nel titolo richiama un pittore così caro a Valentina la quale, anche in questo Folliame, ne ha riprodotto in copertina un quadro, Thérèse che sogna, e col quale, al di là di questo, ha una profonda sintonia. La trama muove da «astratti furori, desiderio di sparire, allucinazioni, perversioni» - sono parole di Damiani – per arrivare, «attraverso l'amore, alla nascita del mondo, all'esistere, alla felicità». Sono evidentemente d'accordo – come appare del resto da quanto ho detto prima - sull'individuazione di una linea, di un filo rosso che raccoglie e connette le varie poesie; e sono anche d'accordo – e come non esserlo? - nell'individuare il ruolo dell'amore nella realizzazione della meta di questo evoluzione. Questo percorso – la trama - costituisce in qualche modo, il senso e la forma di Folame nel quale sono collocate, direi imprigionate, le esperienze e le parole che le esprimono. Ma la poesia non è organizzazione di esperienze, non è un teorema di geometria, né un ragionamento filosofico e neppure un romanzo; la poesia è altro; la poesia – come tentavo di dire prima – si limita a dire le esperienze, ma “si limita” non è, se si passa la ripetizione, limitativo: per dire le esperienze bisogna entrarci dentro; come diceva Virginia Woolf in un racconto intitolato Il diario di Joan Martyn, bisogna
«entrar dentro le nostre sensazioni e studiarle»
Valentina Neri [forse] fa questo nelle sue poesie: entra nelle sue sensazioni, e non tanto per studiarle quanto per scandagliarle e le esprime certo ma attraverso «i sotterfugi» dei suoi versi. Folliame ha una dedica che dice
«a coloro che ho amato e che amo/ tra i sotterfugi di questi versi»
Sono parole che sembrano così in contrasto con la totale libertà, senza infingimenti e ipocrisie, con cui vengono dette le esperienze erotiche nell'ultima parte – Il Domatore – del libro; non è così: esse, in qualche modo, esprimono quello che i versi sono per Valentina, costituiscono la sua concezione estetica: la poesia come modo di dire occultando, come modo di esprimere i propri sentimenti ma intensificandoli senza espanderli, senza farli esondare, con garbo, con grazia, con pudore. Entrare nelle sensazioni quindi ed esprimerle ricorrendo al 'sotterfugio' del verso: questa la specificità delle poesie di Folliame. “Sotterfugio” significa molte cose, anche negative; qui usare il sotterfugio significa usare un linguaggio nuovo o piegare il linguaggio quotidiano a nuovi usi, anche stravolgendo grammatica e sintassi, o significa inventare un nuovo linguaggio. Un solo esempio: a p. 48, nella poesia Assenza:
«E mentre gioco con gli avanzi dei tuoi rammenti/godo in attesa di offrirti il mio fremito» (p.46)
in cui “rammenti” viene fatto derivare da “rammentare”, e bisognerebbe dire viene “inventato” dalla radice di rammentare, ma è più icastico di “memorie”, di “ricordi”: è un “sotterfugio” che sottrae al ricordo la sua staticità di sostantivo per caricarlo dell'atto del rammentare che si contrappone o si coniuga (dipende dal punto di vista), o comunque riempie di significato il fremito del verso seguente, esprimendo una comunicazione profonda, di emozioni, non di dati. Ma si possono fare molti altri esempi: come lo stesso titolo Folliame o i titoli Relittuario, o Illimiti o Smemorie; e ancora il ricorso così frequente all'Ossimoro, sì che proprio l'ossimoro potrebbe intendersi come la chiave di lettura – almeno fino a un certo livello – del libro. E ancora, i “sotterfugi” nei quali si nascondono sentimenti ed emozioni, sono le metafore, il carattere proprio della poesia come ci ha insegnato Aristotele; il trasferimento di significato, “il dare a una cosa il nome che appartiene a un'altra cosa” (come si dice nella Poetica, 21, 1457 b 7). Le metafore di Valentina sono metafore insolite e non, tratte dal linguaggio quotidiano e non. E dominano per così dire clamorosamente l'ultima parte di Folliame in cui diventano i titoli e i riferimenti delle diverse poesie. Trasferimento di significato, certo, ma questi titoli sono qualcosa in più: la parola nuova diventa la cosa, a significare il carattere “carnale”, starei per dire “materiale”, dell'amore di Valentina: un amore che chiama per così dire e fa suoi tutti gli aspetti della realtà, da quelli inanimati a quelli animati; dai primi elementi agli esseri viventi, agli umani, e tutti li utilizza, questi aspetti, non solo per esprimere tutte le sue sfumature, tutte le gamme in cui si articola, ma perché nel suo amore tutti sono compresi, e nel suo amore si raggiungesse una sorta di comunione con la natura. Si va allora dall'Acqua, Aria, Fuoco, Fuoco, Terra, ai minerali, ai marmi, ai metalli, per giungere poi agli organi di senso, alle diverse sensibilità che li contraddistinguono e alle diverse sfumature che le diverse sensibilità danno all'amore, fino ad arrivare alla casa, agli spazi. E' come se tutti gli aspetti della realtà convergessero nelle poesie di Valentina, e in qualche modo la aiutassero a esprimere la pienezza del suo amore, un amore totale, per tutto: sotterfugi, appunto, nei quali – come dice nella dedica - si è occultato ma insieme si è svelato, nella poesia, il suo amore per coloro che ha amato e che ama.
E, direi, che questo non è il risvolto meno interessante della indubbia vocazione poetica di Valentina Neri e di questo libro di poesie.