A. Canzian per Silvia Rosa su Genealogia imperfetta
![]() Genealogia imperfetta
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autori: | Silvia Rosa |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Genealogia imperfetta è un libriccino di poesie appena uscito (ottobre 2014) per i tipi de La vita felice. La sua autrice, Silvia Rosa, è una ragazza molto giovane di Torino che in queste pagine traccia un percorso femminile (come tra l’altro dice in bandella l’amica Gabriella Musetti, di cui avevo recensito il libro qui) ma senza alcuna insegna femminile, composto cioè da tematiche che quasi a caso si identificano nel tema. Perchè, se in altri libri ho inteso una corrente precisa data da un’intenzione ancor più precisa, in Silvia Rosa vedo l’attenzione concentrata su concetti quali un’infanzia simbolica (il fiabismo dei primi testi), i ritorni e le assenze, gli amori e le rabbie, la madre, che restano capisaldi non solo della donna ma dell’essere umano in genere.
Dicevo una ragazza giovane perchè la poesia, al pari di alcune sette religiose, non identifica la giovinezza o la senilità con l’età anagrafica quanto con i passi compiuti nel percorso. Silvia con tutta evidenza muove i suoi primi e secondi e terzi passi in un percorso non facile che avvicina testi di una bellezza eccelsa ad altri decisamente molto più deboli, lottando lei stessa tra un intimismo invadente (e lo riconosce) e un tentativo tra l’altro riuscitissimo di oggettivare la parola nella quale lei stessa ci sta stretta.
Ne è la prova il frequente reiterare all’interno dei versi (come se fosse ventre il mondo, come se non fosse / la tua voce come se non restassi come se non) e il testo madre di questa lotta interiore, intima, dell’autrice: Ascolta, ecco, anch’io ti parlo degli oggetti / ti racconto che in questa stanza c’era un letto. E ne è la prova la qualità dei testi che si eleva sopra le pagine del libro quando l’autrice parla di temi che lei stessa affronta con una punta di acredine e criticità: la donna, la sua sessualità (Non mi piace sentirmi sotto esame / le domandine d’approvazione finali / del tipo cara sei venuta, vero? / ma perché, scusa, andavo / verso una precisa destinazione?).
In realtà a me pare che sia proprio in questi testi che il percorso di Silvia Rosa acquisisce un’identità e una voce maggiormente netta e precisa, adulta, capace di gambe forti. Perchè in questi argomenti non si parla (quasi) mai del proprio (piccolo) mondo ma si intende il rapporto universale tra uomo e donna, si intende l’amore e la mancanza, il bisogno umano degli altri. Così l’autrice riesce a disegnare una mappa dei sentimenti anche dove probabilmente non lo vuole, credo sviata dal tema (più facile) dell’amore stesso che in chiusura del libro acquisisce volente o nolente connotati cupi ma più docili. Due termini infatti chiudono il percorso di questa Genealogia imperfetta e sono madre e perdono (che pur avvicinati ad altri quali sutura, tomba, insulti e pianto, appaiono più forti), laddove non c’è comunque nulla da perdonare e la madre alla fin fine appare solo come un (amaro) ricovero tra il fiabesco e l’onirico (per tornare all’inizio del libro) per una donna che ha semplicemente percorso alcuni passi e li ha sofferti e ne è maturata. Perchè questa, purtroppo, è la vita.
Una poesia bella e che funziona pur nelle sue imperfezioni che dicono una giovinezza con buone promesse pur in ambiti non semplici. Perchè, come dice la cara Gabriella Musetti a introduzione di questo libro, la poesia disvela quanto affida alla parola: è esposizione intima, senza riserve o calcoli, scelta di «scavare/ la radice del corpo». È insieme un atto di umiltà e di coraggio mostrare la nudità dei propri luoghi nascosti. Soprattutto è fiducia nella parola, nel suo potere di cura, di dare quiete e risonanza insieme. Marca un cammino, disperde i «troppi fantasmi di vento» per giungere al «punto di sole tra le ombre», quel luogo illuminato del bosco fitto dove la luce chiara che filtra tra i rami mostra una immagine nuova e viva delle cose, come ha bene indicato la filosofa María Zambrano. Il bosco è il luogo topico dei racconti di fiabe e di avventure, luogo di smarrimenti e di crescita. Questo percorso poetico di Silvia Rosa mette in scena una ricerca di autonomia interiore, di libertà, capace di attraversare il mito e i territori più remoti del sentire, nella indagine di una Genealogia imperfetta che si affaccia al tema complesso del femminile, metamorfosi e incrocio di possibilità in divenire. I sogni, i ritorni, le rabbie, le fantasie, gli amori, gli errori, le assenze, i silenzi («come se dopo ogni parola/ sparisse una porzione di corpo»), si legano a uno sguardo nuovo, alla maturazione di una forza acquisita nel distacco e nel dolore accolti come difficile prova superata. Il distacco dai padri assenti, dai maestri muti, dagli amanti «che non sanno amare», anche dalla nostalgia atroce di quando «tutto era madre», sebbene questo pensiero, scrive, riveli «il centro esatto di me».