A. G. Marigo per Luciana Moretto
![]() La memoria non ha palpebre
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autori: | Luciana Moretto |
formato: | Libro |
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A Luciana Moretto per La memoria non ha palpebre
Cara Luciana, la lettura di La memoria non ha palpebre mi ha accompagnata in un viaggio a rebour, testimoniandomi lo snodarsi di quel filo rosso - E’ a certe ore, in certi giorni/ che così all’improvviso/ dall’altro capo del filo,/ quanto basta a farsi prossima/ all’orecchio, mi sussurra dentro/ la voce ultima di una sera// - che, presenza costante nella tua raccolta, si dirige all’incontro di ricordo e afflizione per una vicenda umana che oltrepassa la morte, prendendo consistenza nel presente poiché, se ciò che nel tempo di prima era nella dimensione di luce-ombra della relazione, oggi si conferma nei modi dell’attraversamento pieno, totale, di conoscenza della condizione umana e nel privilegio di un rapporto familiare intenso, perché vissuto nelle declinazioni vere e autentiche dell’affettività.
Partita dalle pagine del tuo libro, incontro il passato non affatto morto, direi intatto, se non integro: verso di me si muove, affiorato dalle pagine ingiallite dei testi scolastici delle edizioni Loescher – il mio tempo remoto e vicino – un ex libris delicato e potente nei tratti del disegno e dei caratteri tipografici: riporta la figura di un omino agé che cerca di ingoiare una clessidra. Sotto, la frase di uno storico del cinquecento – Bernardino Corio – “È bello doppo il morire vivere anchora”: qui, condensato nell’immagine di Crono-Saturno, nelle poche parole adeguate a un logo, si manifesta il tema centrale della tua poesia che sottolinea, come l’ex libris, l’immortalità generata dalla memoria storica che conserva dettagli atmosfere volti gesti che - se perduti perché il Tempo inghiotte ogni cosa, la Morte ci flette sconfinandoci nei territori gelidi della perdita o della sottrazione - restano intatti nei piani dell’anima, accessibili all’alfabeto della metafisica cui la persona che resta ha accesso, se portatrice di un sentire che riunisce la vicenda personale e il destino umano.
Tangibile traccia, nondimeno
difficile da confessare, una soltanto,
e di antica data: un quaderno a copertina nera
mezzo strappata “Riassunti dell’Iliade”
in bella scrittura sulla prima
pagina – reliquia dei tempi
del collegio che tengo in bella vista
per bisogno di compagnia
per ricerca di vicinanza
per seguire quel filo sempre
più accorciato che ha te dall’altro capo.
Qui è un continuo incontro e la perdita resta al margine, sull’estrema propaggine della congestione della vita – E i tanti luoghi che avevi abitato// i più vari, i più diversamente/ ubicati… la sequela eccitante/ di tutti i traslochi – e io sempre dietro,… -, poiché ciò che di essa rimane è il sentimento materico per le cadenze del tempo, i respiri dell’agire e dell’umanità implicata nelle vicinanze, nelle lontananze che pure si sciolgono se – Sto in ascolto/ come al suono di una voce lontana// - o – Per contro è a primavera che l’anima/ aggraziata prende fiato nell’eterno/ ritorno del cuculo,… / -.
Così, se dolore c’è, è sommesso, avvolto da una luce di penombra che scaturisce non dalle sole immagini, ma dalla scelta delle parole funzionali a questa tua prova che ci consegna non il libro del lutto, ma il libro delle presenze, che si disvelano di più accolta pregnanza nascendo esse in quel territorio mistico che sta tra le regioni della morte e quelle vivide della vita e si offrono come forze salvifiche.
A. Gloria Marigo