Achille Chillà su INCROCI per Gaetano Giuseppe Magro con «Assenza di segnale»
07.02.2021
![]() Assenza di segnale
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autori: | Gaetano Giuseppe Magro |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Recensione su INCROCI di Achille Chillà
Gaetano Giuseppe Magro
ASSENZA DI SEGNALE
La Vita Felice editore, Milano, 2020
Su INCROCI, rivista semestrale di letteratura edita da Mario Adda Editore, è appena comparsa la recensione di Achille Chillà, suggerita dal poeta Lino Angiuli, sull’ultima mia opera poetica “Assenza di segnale”. E’ un tentativo lucido di lettura magistrale, capace di interpretare una poesia linguisticamente complessa e sofisticata, che lambisce il limite del non-senso metafisico, creato dai limiti fisici. Mi auguro che questa recensione, ad opera di un addetto ai lavori, possa aiutare la mia causa intrapresa più di 15 anni fa, di sdoganare il mondo microscopico cellulare verso la porta maestra della poesia maiuscola. Contaminazione di linguaggi per un randagismo che possa dar linfa al mondo clandestino della poesia: scrivere e leggere poesia in questo momento storico non può che evocare gli incontri clandestini dei cristiani nelle catacombe per evitare le persecuzioni dell’antico impero romano. Tra l’Essere ed il Nulla Sartriano s’incunea felicemente la poesia della bio-poesia. [G.G. Magro]
“In seguito alla caduta dei pensieri dogmatici e all’esaurimento dell’esperienza delle Avanguardie, il laboratorio poetico ha imboccato la via di un’esplorazione, spesso col timone dello sperimentalismo, di nuove declinazioni del poiein in relazione alle mutevolissime e ineffabili forme della società liquida. Gli intellettuali del Sud hanno dovuto cimentarsi con gli irrisolti nodi di una disidentificazione dai modelli culturali precedenti sotto i colpi dei cambiamenti intervenuti a partire dagli anni Sessanta. Un possibile risarcimento è nel perimetro d’azione individuale del poeta. Qual è il nesso possibile tra la vita quotidiana e lavorativa e la scrittura? Gaetano Giuseppe Magro, classe 1966, è Professore Ordinario di Anatomia Patologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia di Catania. Un uomo di scienza (medica) cerca nelle movenze del verso e nelle pieghe delle parole un’oltranza creativa proprio a partire dalla diuturna prossimità con la dimensione medica e con la malattia. La cassetta degli attrezzi del poetare si arricchisce di nuova e inedita strumentazione. Le due dimensioni trovano vicendevole sussidiarietà, e l’integrità del medico-autore non è inficiata da alcuna ambiguità. Il panorama letterario nazionale, peraltro, ha annoverato e annovera medici inclini alla scrittura e alla riflessione letterarie, come, per citarne solo alcuni di gran levatura, Carlo Levi e Cesare Ruffato.
Assenza di segnale, titolo del volume, è la condizione in cui uno strumento televisivo o comunque tecnologico non riceve alcun segnale e non può a sua volta trasmettere immagini e suoni. È una metafora necessariamente negativa? Oppure la mancanza consente inedite scoperte espressive?
Il primo elemento che risalta nel susseguirsi delle liriche attiene all’impiego delle parole di area scientifica in de- e ri-semantizzazione letteraria: una sintomatologia del reale si evince da ‹‹i tumori del grecale›› (p. 9) a‹‹le inspiegabili febbricole dello scirocco›› (p. 9) all’‹‹immedicabile stitichezza delle forme forbite›› (p. 10) approdando alla felicissima definizione ‹‹la parola è un ormone tanto disperato / che circola impudentemente›› (p. 15). La densità espressiva e il continuo sovrapporsi di linguaggi e significati ora espliciti ora sibillini è il tratto distintivo del verso di Magro: se ‹‹i grilli›› sono ‹‹inappellabili imperatori sul filo sclerotico della vanità›› e ‹‹i papaveri rossi in ischemia››, allora l’anatomia dell’occhio come ‹‹vana (…) significazione delle superbe ammaccature mucosali›› (p. 10) registra la propria limitatezza al cospetto del dispiegarsi delle forme dell’esistente.
Alla diagnosi non segue alcuna terapia bensì lo svelamento della crisi in corso. La condizione esistenziale metaforizzata nel segnale assente è ribadita nella forza di espressioni come ‹‹un enorme ammanco frontale di dove eravamo e non siamo più››, ‹‹e di noi, cellule di ventura, non resterà che un giro in aria / di compasso›› (p. 11). La denuncia dell’inconsistenza effimera dell’umano è affidata alla misura infinitesimale della cellula che racchiude nel suo ristretto domicilio spazio-temporale il senso inafferrabile della vita. L’occhio aduso alla lente microscopica non trova sollievo nell’indagine del sempre più piccolo ma sgomento sull’orlo di un salto di quota al di sopra dell’umano: ‹‹vorrei farti vedere al microscopio / dove iniziano le malattie, nelle cellule che non sanno né di bene né di male›› (p. 27).
La penna di Magro non elude la denuncia delle storture del nostro tempo. Gli strali in versi si levano contro ‹‹il privilegio di pochi per l’ingiustizia di molti›› (p. 24), stigmatizzano ‹‹l’opulenza piena degli oggetti›› (p. 20) e ‹‹la storia dei potenti penitenti d’esser nani›› (p. 59). La scrittura irrobustisce la propria struttura aprendo le ali della coscienza critica e rompendo così i confini angusti del lirismo autoreferenziale.
Sulla desolante constatazione del nulla misterioso che circonda l’umanità (‹‹l’uomo è l’ernia crurale del vuoto›› (p. 36)) s’innestano spiragli umanissimi come l’amore: ‹‹la carne è gioia tissutale / che funziona bene se incontra altra carne / amami, dunque, a combinazioni crescenti / sei tutta la carne / che non ho avuto / nella vita che mi è davanti (p. 38)››. Il poeta si posiziona sul greto del tratto di fiume storico che attraversa, ne osserva la complessità e ne avverte tutto l’enigma. La ricomposizione della propria coscienza si compie col superamento della concezione binaria dell’essere: il proprio sentire di uomo filtrato attraverso i manuali di anatomia e la pratica di laboratorio incontra senza urti e frizioni l’urgenza di dar voce in versi al proprio alfabeto interiore. L’integrità delle parti trova in uno stile corposo e ricco di effetti polisemici, sinestesie e giochi di parola privi di frivolezza espressiva il segno di una tessitura ben fissata sulle movenze del pensiero e della percezione del mondo; dinamiche simili alla libertà cinetica di un cavallo che scarta, sgroppa, corre: il lettore lo segue e constata con meraviglia che la parola e il verso non ne imbrigliano il furore ma ne ispessiscono le coloriture e le valenze.
Achille Chillà