Aky Vetere per S. Contessini
![]() Dialoghi con l'altro mondo
|
|
autori: | Salvatore Contessini |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
Dialoghi con l’altro mondo, di Salvatore Contessini
Caro Salvatore, non ho ceduto al desiderio di scriverti subito, perché volevo soffermarmi con attenzione su alcuni punti del tuo scritto che ho trovato interessanti da commentare, eventualmente insieme. Permettimi quindi di fare alcune considerazioni sopra un tema tutt’altro che semplice, per porre in luce quegli spunti di riflessione così vicini alla tradizione Orfica degli antichi. Sono profumi pagani che risalgono ai pitagorici e si volgono in avanti per accompagnare non solo i grandi autori epici come Omero e Virgilio, ma anche grandi filosofi come Seneca. Faccio riferimento al tema del suicidio così vicino all’ethos stoico, il cui significato parla al lettore non solo in termini di vita e morte, ma anche di giudizio. Gli autori che tratti sono tutti nello stato di trapassati ed entrano transitoriamente nel ruolo di attori di un’opera nella quale si inserisce un’altra figura che, in veste di spettatore-lettore, si aggiunge ai due dialoganti in una sorta di gioco a tre. Ma una dialettica a tre può essere vista non solo come paradosso, ma anche come compromesso utile per inserire una terza figura (il lettore) ed arrivare ad un giudizio finale mai raggiunto nella dialettica antica, dove l’agone tra interrogante ed interrogato, finiva per porre un esasperato ed inutile confronto fra le parti. L’opera invece carica il tema della morte ed in particolare quello del suicidio sullo spettatore che, attraverso il pathos recuperato dalla tragedia antica greca, trasferisce il giudizio in ambito pubblico perché, la morte del singolo è la morte di tutti. Questo aspetto per me è stato importante per capire come nella tua opera la retorica teatrale abbia offerto allo spettatore-lettore un ruolo determinante ai fini del giudizio; un giudizio che originando dal pathos si configura prima con la fede, poi con l’ethos. Ecco perché nella migliore tradizione stoica, l’ethos si accompagna alla fede, altrimenti il gesto del suicidio rimane qualcosa di non comprensibile. Solo la fede può dare ragione a un gesto estremo come il suicidio e solo nell’impostazione scenica, il suicidio dell’autore (come dicevo), è la morte di tutti. Ma c’è ancora di più. Per i greci antichi, lo stato si configura come il tempo eterno che avoca a sé l’essere eterno, ragione di angoscia perché ignoto ( mi pare sia Tiresia che dice ad Ulisse “Meglio essere straniero nella propria terra che Re nell’Ade”); il ruolo invece investe una dimensione terrena che come lo spazio è misurabile e avoca a sé il concetto dell’avere e si cala hic et nunc nella storia. Ruolo e stato sono quindi necessari perché l’essere operi nella storia In questa commedia, l’interrogato per necessità (dialettica) torna indietro da uno stato, cioè da un modo di essere che è in quanto tale, per rivestire il ruolo che l’autore (l’interrogante) gli assegna per tutto lo spazio legato alla pièce. I poeti richiamati dall’aldilà si trovano ora in una nuova dimensione, insolita per chi ha cercato nella morte l’agognato eterno riposo. Il trasferimento dallo stato di trapassato, al ruolo di attore diventa un appello in vita per una nuova vita che, come in un tranfert, applica quella funzione (se)mantica di richiamo dei lemmi che hanno interrotto l’esistenza e quindi di richiamo delle cause che l’hanno procurata. Esorcizzare taumaturgicamente il filo che la cesoia delle parche ha interrotto, significa utilizzare la domanda come voce oracolare che riporta alla vita e dare ancora una volta corpo alla parola che è stata interrotta. Lo scopo è proprio quello di ricucire lo strappo logico sequenziale tra Fede ed Ethos attraverso l’artificio retorico della dialettica. Questo aspetto si incontra al centro di ogni dialogo dove le voci chiasmano osmoticamente con versi che tu stesso vedi originati da una sorta di sdoppiamento dell’autore. Questo artifizio retorico, come tu aggiungi, inchiodano il pensiero all’essere e nel pensiero avviluppati ci si allontana verso un dove che non si conosce. È questa la fede che costruisce la liason tra vita e morte. A questo punto è la stessa parola dei poeti che esorcizza la morte, la chiama per nome e taumaturgicamente la guarisce dal thauma. È, se vogliamo da un punto di vista mistico-liturgico, un chiasma tra orfismo e stoicismo che riporta il potere taumaturgico del canto del gallo tanto ricordato nel Fedone da Socrate il quale, prima di morire, ricorda a Critone il valore taumaturgico e quindi fideistico del canto che annuncia nella morte una nuova alba. Vita e morte, con le riflessioni legate al dolore, alla solitudine, sono guardate come maschere apotropaiche che dialogano nella fede con le forze salvifiche in espressioni anche estreme come la stessa morte.
Aky Vetere