Alessandra Corbetta per Stefano Vitale con «La saggezza degli ubriachi»
![]() La saggezza degli ubriachi
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autori: | Stefano Vitale |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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https://www.mentisommerse.it/2019/07/08/i-fiordalisi-la-saggezza-degli-ubriachi/
Il titolo della raccolta di Stefano Vitale, La saggezza degli ubriachi (La Vita Felice 2017), sembrerebbe alludere al celeberrimo motto latino “in vino veritas”, riprendendo l’idea, in apparenza ossimorica, per la quale è solo fuori da noi stessi, laddove il raziocinio estremo viene abbandonato e la prepotenza dell’incontrollabile fuoriesce, che è possibile scovare la verità o, di più, accedere alla vera conoscenza delle cose. I versi di Vitale sono in effetti attraversati da un continuo dualismo, che alle volte si fa contrapposizione, altre complementarità, tra luce e ombra, dove, per ognuno dei due elementi, è sempre incluso tutto l’universo semantico a essi riferibile; una raccolta, insomma, che si snoda tra apollineo e dionisiaco come per arrivare a una soluzione, se esiste, perché Vitale preferisce sospendere il giudizio limitandosi a sollevare la questione, a far vedere i fatti dell’uno e dell’altro modo di abbracciare il mondo. E lo fa con un versificare chiaro, lineare, nella metrica e nella scelta dei singoli vocaboli, così da fornire al lettore tutti gli strumenti per potersi muovere nella zona-ponte tra dentro e fuori, tra giorno e notte. Il merito di Vitale è quello di riuscire a investire di tale binomio, su cui l’intera opera si struttura, non solo la dimensione personale e privata del soggetto, ma anche quella dell’io dentro una società reale e concretamente rappresentata nei versi, dove lo sguardo va ad allargarsi.
Vitale, con bravura, conduce un’indagine misurata e lucida sull’inevitabilità del buio, trasponendo il contrasto alla base della raccolta in tutta la sua composizione, scavando in una direzione per far emergere ciò che si annida esattamente nella direzione contraria; un anelito di ricerca armonica e spasmodica, nonostante l’incedere calmo, è il punto di arrivo de La saggezza degli ubriachi, che termina, di certo non a caso, nei Moments musicaux in cui, con ben evidenzia Alfredo Rienzi nella prefazione, si assiste all’innesco musicale in cui si realizza l’osmosi
tra l’onda significante della parola e quella emozionale delle note, come a dire che è solo in qualcosa di molto grande, in cui sussistono rimandi profondi all’infinito, che può annidarsi un tentativo di equilibrio, uno spazio in cui il giorno e la notte possano abitarsi, insieme.
Talvolta è un dettaglio
che sfugge dalle labbra
un pensiero sbilenco
che prende il largo
e ti costringe, maledetto,
a difendere il tuo errore.
Così stai al centro del ring
con gli occhi spalancati
ma dentro e fuori tutto è buio,
buio pesto.
Scegliere la posizione
della giusta distanza
senza mostrare torsioni o disperazione
dinanzi a chi ci serve pietanze avvelenate
evitare l’impatto e la possibile disfatta
è un’arte raffinata.
Non a tutti è dato saper mostrare cecità
diventare muro, insetto, foglia
e volgere gli occhi altrove.
Sempre ritorna l’ansia del combattimento,
il pensiero di andare oltre la soglia
sotto un cielo carico di tempesta
al passo con la dignità offesa
come gli eroi che non s’arrendono
e spendono la vita a raddrizzare
i quadri storti, a costruire il tempo
che nessuno ancora ci ha servito.
Ciondolano
come cani sotto la pioggia
presi dalla vertigine
nel bosco lunare della città
ipnotizzati dalla stravagante sensazione
del vivere e non pensare
nel rondò del camminare
tra il profumo umido dei portici
abitato da relitti d’umanità:
delitto dell’indifferenza o necessaria ingenuità?
Nel balletto di vascelli solitari
si chiude il cielo d’inverno
sui passanti stizziti
per lo sciabordio dei bus.
La finestra sul terrazzo
è aperta sul teatro
di rose e gelsomini
trionfo innocente dell’allegria
di questa inquieta primavera
tremolante e timida carezza
sull’acero rosso di ruggine e di fuoco
sulla fiera idrangea ancora da fiorire
sulle pallide piccole mele
sulle tenere timide ortensie.
Il profumo del rosmarino
è un vortice di luce e mare
che protegge i piccoli bossi
accucciati ai suoi piedi:
il resto è verde in ogni possibile
sfumatura che avvolge l’aria
e ferma il tempo nell’istante
d’un eterno ritorno
forma dell’Essere
incomprensibile e chiarissima
Natura.
Il Finale è una porta aperta
sul riposo della dominante
equilibrio raggiunto, ma precario
del silenzio che scalda i germogli
nel piccolo vaso di orchidee rosa
che portiamo in viaggio.
Verso la foce o verso la sorgente?
Questo non lo sappiamo,
così restiamo sulla via a ricontare i passi
del nostro incerto andare.
(Johannes Brahms, Klavierstücke, Op. 119; Franz Schubert, Sonata
per pianoforte n. 23 in Si bemolle maggiore, D. 960)
