Alfonso Lentini per «Storie dal giardino» di Francesca Ruth Brandes
![]() Storie dal giardino
|
|
autori: | Francesca Ruth Brandes |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
Francesca Ruth Brandes
Storie dal giardino (poesie)
Edizioni La Vita Felice, 2017
Se le cose non sono mai come sembrano, il giardino che Francesca Brandes disegna in questo libro nominandolo come terreno dal quale germogliano i suoi versi, non è certo parádeisos, come vorrebbe il tradizionale simbolismo legato a questo nome, non è cioè luogo di delizie, anzi non è neppure un “luogo” se con questa parola si intende uno spazio statico e circoscritto. Eppure è un giardino concreto e reale, “angolo di sorprese lagunari, un po’ nascosto dietro le facciate dei palazzi”; solo che è una zona mobile, una specie di tappeto volante sul quale prende posto “un brulichio di eventi” simile alle trame di un arazzo di Wanda Casaril, maestra della fiber art, alle quali in un certo senso i versi di Brandes si ispirano. In questo luogo instabile e di transito, fitto di filamenti e intrecci sotterranei, il poeta si fa specchio, stempera la sua voce in altre voci e cede la propria a una piccola folla di cose e persone.
Come già in altri libri – si veda in particolare “Canto a più grida” (Venezia, 2005) – la poesia di questa importante autrice ebrea veneziana prende la direzione della coralità polifonica e traccia in punta di matita storie in apparenza secondarie, vicende invisibili come quelle dei piccoli migranti che Brandes incontra e descrive con parole secche, quasi ungarettiane, libere dal “poetichese” di maniera, dunque assolutamente umane; parole talora tinte di allusioni bibliche, come la “folle” fiducia nelle anonime mani che vorrebbero salvare ad uno ad uno questi bambini dalle acque (mani che “mi affidano un Mosè / un Mosé dopo l’altro”) o velate di tinte fiabesche (“Ho avuto vita partorendo / fiore dell’allegria…”), ma sempre ancorate alla tensione del racconto (“Ti racconto una storia inevitabile”) e all’ansia della denuncia (“Ciò che turba / è il silenzio dei giusti…”).
Eventi “immensi e minuscoli”, che intercettano la più drammatica attualità, quella dei migranti e il conseguente difficile problema dell’accoglienza, danno vita a una sorta di Spoon River dei nostri tempi, più lieve e sfumata, eppure altrettanto densa di congestioni, richiami morali, risvolti sentimentali, attenzione verso gli ultimi. Su tutti risaltano i versi indimenticabili di una poesia dedicata a Moussa, il bambino che, non avendo casa, indossa uno sopra l’altro tutti i suoi indumenti: “Moussa dove sei / ti porti la casa appresso / dove sei oggi / tanto solo / che vorrei abbracciarti”, dove la semplice soppressione della punteggiatura mette al riparo le parole da ogni rischio retorico e restituisce ad esse una potenza espressiva e una pietas che altrimenti si sarebbero perdute.
Ma “Storie dal giardino” è anche altro. Mette in scena, armonicamente coniugandoli, coralità e mondo interiore dell’autrice, tocca vertici di intensità espressiva che sfociano nella poesia pura: “poi magica / di un sortilegio affine / alla musica / è la foglia.”
Talvolta l’io soggettivo filtra e compare marcando i componimenti di allusioni, accenna a diversi itinerari intimi, episodi di vita (una lirica è dedicata ad esempio a Elio Jodice, artista col quale l’autrice ha intrattenuto un rapporto amicale e culturale), fino al punto che alcuni versi fanno pensare a piccoli autoritratti: “Rigorosa per scelta, / duellante (…) Vorrei rispondere a tono / mosca lieve e pericolosa…”; “Solo i pesci vivi mi dici / nuotano controcorrente.”
Ma il giardino non è solo uno spazio mobile, è fatto di vegetazione, alberi, foglie, terra e questo libro ne è pieno. Oltre ad essere luogo di transito diventa anche persistenza, “nido”, ideale spazio di accoglienza. Possibilità di mettere radici. Punto di ri/partenza.
Così la raccolta sfocia in un sentore di speranza. Gracile, incerta, “folle”, ma decisiva speranza che in tempi in cui tutto sembra precipitare nel buco nero delle tragedie storiche, si pone come un tasto dissonante, indica una caparbia controtendenza o un punto di vista altro, come del resto è bene che avvenga nella migliore poesia.
Alfonso Lentini