di Anita Piscazzi
Salvatore Contessini, La cruna, La Vita Felice, Milano 2018, pp.100
L’essere altrove è la condizione di chi nella costrizione della cruna esistenziale non ci sta e preferisce il silenzio e la sparizione misteriosa in luoghi lontani e immaginifici dove spesso questa assenza si traduce in un oracolo di accadimenti e di messaggi che ci recuperano e ci risanano: “Sono nel dove ignoto/ di un deserto/ intorno un orizzonte/ senza emergenze verticali./ […] in un silenzio vuoto di vento/ che cerca padiglioni per l’ascolto”. È in questo altrove spirituale che ci porta Salvatore Contessini con la sua ultima fatica poetica La cruna per i tipi La Vita Felice di Milano con una nota introduttiva di Piero Marelli.
Ma quel “silenzio vuoto” non è un’assenza, un meno è piuttosto un allontanamento dal troppo rumore, dall’insanabile dissonanza poetica è una pienezza necessaria e creativa fatta di percorsi fuori schema, di pensieri liberi e di anime che vanno e che cercano risposte: “Dove sei?/ In una precessione di solstizi/ A fare?/ Viaggi sul secondo che precede/ E come?/ Con la reminiscenza venuta in superficie/ e la funzione di osservare”.
Interrogativi che rimangono sospesi e che abitano uno spazio fertile di simboli, di percezioni, di riti e di destino che Contessini dispone a mo’ di sacrificio su un altare “in cerca di camino in cui eruttare” dove il tempo è rarefatto ed egli stesso è antimateria: “Non rischio più di cadere se mi guardo/ in rifrazioni verticali sconosciute/ solo mi astengo dal presente/ […] Trovo le particelle assenti di materia/ mendaci risultati interroganti/ le riflessioni spoglie di luce/ un’entità da meditare a fondo”.
Contessini ritrova in quegli spazi di consistenza invisibile il respiro primordiale che lo scioglie dalla notte orfica trasformandolo in una sottile creatura eterica che rintraccia il candore della sua esistenza: “Torno là dove tutto è nato/ in una terra che non è la mia/ al giorno che pieno di paura/ ho pianto col bruciore del respiro”.
Questa raccolta è il bilancio creativo dell’esistenza del poeta, una sorta di madrigale senza suono fatto di buio, di luce, di rinvenimenti, di ferite e di smentite: “Così mi voto al nuovo/ quale crisalide solare/ osservatore senza vista/ del mare che mi arriva in sogno”. Chi potrà mai passare dalla cruna dell’esistenza? L’autore come il custode del silenzio e cartomante del dubbio ci rivela, infine, il suo disagio lasciando al lettore il responso: “Non sono più uno di voi/ perché non lo sono mai stato,/ non sono più quello che sono/ perché mai riuscito./ Tutti abbiamo la cruna stretta/ e il passaggio improponibile di cima”.