Anteprima poesia: L'ufficio del personale di Francesco Lorusso
![]() L'ufficio del personale
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autori: | Francesco Lorusso |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Questo nuovo libro di Francesco Lorusso fa della metafora e della paronomasia le armi linguistiche con cui sorprendere sempre il lettore, mettendogli davanti agli occhi, con una sola lettura, non uno ma due libri di poesie.
Il ‘primo’ è quello rivelato da un chiaro lessico attinto alla sfera sociale, che costruisce lo sconsolato registro di un lavoro disamato e di una disidentificazione patita nello spazio opprimente di una società insignificante e violenta. Poi, però, anche attraverso sublimi spostamenti logici e formali delle parole – come nel caso dei sintagmi «consensi vietati», «contatto scaduto», «ciclo in risalita» – si accede a un ‘secondo libro’, sia pur nello spazio di una breve e preziosissima raccolta: qui si racconta lo sfacelo personale, scandito dalle ore di un ufficio laico e disperato, lungo i cui rintocchi i sentimenti si raggelano e i sogni svaniscono.
Un libro che scende nel fondo di una rivelazione drammatica: quella di una scomparsa del soggetto (e della sua realtà più inviolabile e irriducibile) sotto i colpi dell’assedio soffocante di una post-realtà virtuale e antiumana, senza origine e senza scopo.
dalla prefazione di Daniele M. Pegorari
un poeta veramente “appartato”, un poeta che in solitudine, lavorando sui materiali di un quotidiano asfittico e perciò inabitabile, è arrivato chissà come a pestare parole nel mortaio della poesia. [...] Azioni fulminee, smarrimenti dell’anima che impetrano il dono di una voce, strategie di avvicinamento alla verità attraverso concentrazioni di immagini che si dissolvono ancor prima di affiorare sulle labbra. Hanno preso corpo così un senso della parola e un “sentimento del tempo” che hanno cominciato ad insinuarsi in una realtà oggettiva nella quale si stenta a cogliere con la sola ragione ciò che avvicina e distanzia le cose, una realtà che è al di là della stessa lingua per cui l’io, alla fine, può anche uscirne malconcio se non addirittura frantumato. Ma è pur vero che per i poeti del nostro tempo la realtà non basta.
dalla postfazione di Vittorino Curci
Nelle affannose corse del mattino
Nelle affannose corse del mattino
l’ultimo Stato sta smarrendo nel pallore
il bronzo conquistato sulle prospettive
dei corrimano eleganti della rivoluzione.
Oramai non arrivano più le farfalle
per noi solo occhi chiusi verso il sole
sulla strada dove la segnaletica lontana
ha posto le ali dei suoi consensi vietati.
Riconosco solo il sudore sciupato
Riconosco solo il sudore sciupato
con il progetto di un lavoro
che prosciuga gli obbiettivi.
Senza sfamare la bocca ai sogni
domani ricomincio il turno
che sfarina tutti i miei giorni
Ricordami chi siamo, rientrando,
se ti lego a uno schermo piatto
per difenderci da un contatto scaduto.
Come gli addobbi feriti
Come gli addobbi feriti
si oltrepassa la serata insieme
per tremare nascosti nella luce
ci rimane un ridere rasoterra
uno stare nella pioggia continua
distribuendo male le stagioni dell’oggi.
La divisa sempre appena stirata sulla sedia
da una madre sveglia ancora come prima
che pone tra il caffellatte l’ultimo zucchero.
Il profilo precario porta la fatica
Il profilo precario porta la fatica
all’aria aperta di questi giorni
col pane masticato nei mercati
per la solitudine della tua schiena
che attraversa la volta senza portanza
degli ampi locali troppo illuminati.