«La casa delle fate» di Cinzia Marulli (anteprima)
![]() La casa delle fate
|
|
autori: | Cinzia Marulli |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
CINZIA MARULLI, Da “ La casa delle fate” in uscita il 10 marzo 2017 per presentazione ufficiale il 22.3.17 a Milano durante il Festival Casa Museo Alda Merini (21-23 marzo) in via Magolfa 32 presso la Casa delle Arti - Spazio Alda Merini.
Silloge vincitrice del Premio di Poesia Casa Museo Alda Merini 1^ edizione.
Si ferma il tempo
nel percorso che m’avvicina
in questo luogo risiedi
qui – dove la vita passa nell’attesa.
Il candore della tua pelle m’accarezza
quella pelle tornata bambina
ora che invochi me
come fossi io tua madre.
*
l’inverno
nel volto antico delle bambine
sono tutte sedute – quasi in circolo –
sulle rughe della loro vita
gli occhi aperti che cercano
attenzioni
aspettano i visitatori – i figli indaffarati
il cuore grande dei nipoti
mangiano i dolci
portati per convenienza
vorrebbero volare come ballerine
ma hanno bisogno di aiuto
anche per bere un sorso d’acqua
ognuna a raccontare la propria storia
a nascondere i dolori
sono belle tutte insieme
sono belle e tristi le bambine
e la Signora Morte neanche si nasconde
mentre le guarda
per decidere chi portare via per prima.
*
C’erano anche i giorni belli
nella casa delle fate
i giorni dove il sole entrava dalle finestre
e i sorrisi delle bambine diventavano perfino
veri
anche le ossa smettevano di dolere
e i ricordi sembravano quasi inutili
erano i giorni delle visite
delle passeggiate corte un metro
delle pastarelle
e dei “mangiane poche che altrimenti ti fanno male”
ma tu lo sai che a ottant’anni non ti importa del
diabete
ti vuoi bere la vita, tutta quella che ti rimane
e goderti ogni cosa
che poi si torna a letto, in mezzo all’urina che esce
dall’incerata.
*
Giace così la fatacon lo sguardo fisso al soffitto
la notte – tutta – è tempo eterno
e non c’è voce o carezza che lambisca le lenzuola.
È silenzio.
Forse è meglio il sonno, quello vero
che quest’anima giovane è prigioniera
e mentre l’urina dilaga non c’è più la forza di girarsi
girarsi soltanto
su quel lato che apre la vista al sogno.
Ma il tempo, quel tempo che sembra infinito
lascia il posto al chiarore del mattino
si sentono i primi rumori, la casa si sveglia
arrivano le signorine, si cambia il letto,
s’asciuga l’incerata.
Finalmente il bagno e il pettine a rimettere in ordine le cose
la sedia con le ruote grandi
e di nuovo in sala tutte assieme
la colazione col tè e le fette biscottate
quelle secche che impastano la bocca.
Poi quella maledetta televisione che ciarla
come fossero tutte sceme le fate
come se non avessero passato la vita a salire le scale.
Arriva il pranzo con l’antipasto di pasticche
che fanno gli occhi tristi
e il purè di patate mollo come le giornate tutte uguali.
La minestrina a cena e poi di nuovo a letto
e la fata con gli occhi aperti fissi al soffitto
e la notte – tutta – è tempo eterno.
Eppure, eppure. Una carezza, solo una carezza.
*
Eppure questo cielo grigiomi sembra pieno di sole
non è l’acqua della pioggia
a bagnarmi le costole
ma il colore acre della tua assenza
perfino il cigolio della sedia a rotelle
è una musica cara
che abbraccia il ricordo.
Mi piacerebbe toccare la tua anima
accarezzarla di crema
come la pelle
calda e rosa che cedeva alle mie cure
questa tua anima
che vorrei guardare negli occhi
e ascoltarne la voce.
Ma tutto tace
e questo silenzio
è un filo trasparente che ondeggia nel vuoto
e non ci sono piedi da poterne stare in bilico
ma forse è precipitando
che c’è la pace
in quel dolore che c’è
e che ci deve essere.
Nota dell’autrice
Per circa due anni ho portato avanti un laboratorio di poesia all’interno di una casa di riposo per donne anziane. Un’esperienza che mi ha fatto conoscere da vicino la condizione della terza età, forse quella meno privilegiata, più afflitta da problemi fisici e di malattia. Le case di riposo sono luoghi dove esistono situazioni di solitudine se non addirittura di abbandono da parte di figli e parenti lontani, ma anche di figli costretti a causa degli impegni lavorativi a “ricoverare” i propri genitori non più autosufficienti o totalmente invalidi. Sono situazioni complesse, ingiudicabili, che evidenziano una condizione difficile che andrebbe gestita con grande umanità. L’idea di questo laboratorio è nata spontanea dopo un breve ricovero di mia madre presso una di queste strutture, ricovero al quale sono dovuta ricorrere perché nessuna clinica riabilitativa pubblica aveva accettato di curarla a seguito di una frattura gravissima. In questo luogo, che mia madre stessa chiamò “la casa delle fate”, ho potuto offrirle una riabilitazione che l’ha portata a camminare di nuovo, piccoli passi, ma dall’enorme significato per una persona che si ritrova a vivere con un corpo morto e alla quale sono preclusi i più piccoli e umili gesti della quotidianità.
Pur essendo un luogo estraneo era comunque una struttura buona perché consentiva alle famiglie di rimanere accanto ai propri anziani, di collaborare fattivamente nella gestione e di rimanere anche a dormire insieme a loro. Durante le mie visite ho iniziato, quasi per gioco, a leggere alle signore ospiti delle poesie. Si è aperto un mondo. La loro risposta è stata eccezionale. Mi attendevano ogni giorno pronte ad ascoltare i testi che avevo preparato per loro per poi lasciarsi andare ai ricordi, alle chiacchiere e perfino alle risate.
Il risultato nel tempo è che tutte avevano trovato un nuovo stimolo alla vita, si sentivano partecipi e attive di qualcosa che potevano fare nonostante la loro condizione fisica. Ovviamente il livello culturale era molto vario, ma non c’era una competizione di bravura e di conoscenza. La poesia le aveva rese nuovamente vive e loro erano felici.
Ho continuato questo laboratorio anche dopo la morte di mia madre, che sopraggiunse a causa dei suoi problemi cardiaci, e sono stata costretta a terminarlo perché la struttura chiuse non avendo ricevuto più i finanziamenti necessari. Fu una cosa molto triste. Era un luogo che funzionava. Era la casa delle fate.
Ho scritto questa raccolta per ricordare, perché penso che occuparsi dei nostri anziani sia un dovere ma anche e soprattutto un diritto e come tale deve essere riconosciuto e sostenuto.
Non è un libro di denuncia e tanto meno vuole essere autobiografico, ma ha l’intento pretenzioso di parlare di qualcosa che in genere è taciuto: la vecchiaia. Credo che ci riguardi tutti ed è importante prendere coscienza di questa condizione perché quello che c’è da migliorare si può migliorare, a volte veramente con poco.
Perché dunque la poesia? Perché è il mio linguaggio, Perché scava nell’oltre e nelle coscienze. Perché, come ha scritto Borges ne L’invenzione della Poesia, non esiste argomento precluso per essa. Perché credo fermamente che la poesia possa cambiare le cose e le mie fate me lo hanno dimostrato. Una cosa inutile come la poesia è stata di un’utilità incredibile davanti al cedere della vita.
E Anna, Maria, Giovanna, Francesca, Vincenzina, Luisa, Anna Rita, Rosalba e Ludovica me lo hanno provato con i lori occhi tornati a splendere, sia pure adagiati su una sedia a rotelle e lontani dalle loro case.
Dedico, dunque, questi miei scritti a tutti noi che diventeremo vecchi e alle nostre famiglie affinché si ricordino che l’amore è importante e, sul finire della vita, diventa assolutamente necessario.