«Le stanze inquiete» di Lucianna Argentino su Punto almanacco di poesia (L. Benassi)
![]() Le stanze inquiete [2^ ed. 2021]
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autori: | Lucianna Argentino |
formato: | Libro |
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Lucianna Argentino, Le stanze inquiete, La vita felice edizioni, Milano 2016.
Undici anni passati a lavorare dietro la cassa di un supermercato, seduta di fronte a un sistema che contabilizza le merci che mettono davanti i clienti ed emette uno scontrino: ricevere il denaro, dare il resto, passare al cliente successivo. È questo l’angusto angolo di Lucianna Argentino con il suo Le stanze inquiete, un libro che si propone di raccontare quegli undici anni di lavoro perché non vadano perduti, non svaniscano nel rumore dei rulli che emettono scontrini. Scrive Argentino nella nota Appunti per una est-etica del lavoro che apre il volume: «ho scritto questo libro perché non volevo andasse perduto quanto vissuto durante undici lunghi anni alla cassa di un supermercato. Soprattutto non volevo andasse perduta la memoria, seppur minima, di alcune persone con cui sono venuta in contatto. Un contatto vero, umano, che è andato oltre i gesti e le parole che il mio angusto ruolo richiedevano. Poi c’erano i foglietti di carta che affollavano le tasche del mio camice e la penna sempre a portata di mano per rispondere alla mia vocazione di poesia.» Nel comporre questo libro dai caratteri memoriali, Lucianna Argentino si trova di fronte a un problema formale non semplice: narrare gli scoppi di vita che si manifestano nel tempo di battere una spesa, senza perdere tempo nelle vicende di contorno, senza sprechi verbali, e allo stesso tempo rendere conto del portato emozionale che quegli incontri si trascinano dietro, per non lasciarli nell’oblio. Il risultato sono francobolli di poesia che precipitano nella prosa, con versi lunghi, sistematicamente antilirici, che la poetessa aveva già sperimentato in parte in L’ospite indocile (Passigli, 2012), e che qui vengono messi insieme per costruire tasselli di un grande affresco degli uomini e donne incontrati negli anni. Il risultato è sorprendente: piccoli quadri di un’umanità varia, a metà strada fra una borghesia disfatta, alle prese con il lavoro e le disadorne vicende domestiche, e una povertà di borgata, fatta anche di barboni, stranieri, ladri, semplici uomini e donne rovesciati dalla vita, che si incontrano fra gli scaffali e le casse di un negozio qualsiasi, in una delle zone più popolose e socialmente composite della Capitale, sulla via Tuscolana. I clienti del supermercato diventano, allora, improvvisamente personaggi di un teatro della memoria fatto di amore, solitudine, imbarazzo, arroganza, gentilezza, sofferenza: «mi fa trasparente,/ mi fa tasto zero di questa cassa,/ l’uomo che paga e va via senza uno sguardo,/ senza sapere che c’è un modo più vero/ di stare nella vita. Lo sapeva Giulio,/ quando mi donava mazzetti di margherite/ legati con un filo d’erba, o Jaime che/ mi lasciò una rosa rossa sulla cassa e scappò via./ Lo sa Eugenio che teme io possa fraintendere/ le sue intenzioni quando mi offre un caffè/ o Raffaele che mi portò un bicchiere di vino bianco/ fingendo fosse tè. Ed è bellezza umana e fiori e caffè/ sono aria, sono ossigeno,/ sono la salvezza terrena dell’anima.» Argentino trasforma i clienti, soggetti anonimi da servire, in persone, in soggetti con nomi, vicende, desideri, vissuti. Davanti ogni tasto battuto alla cassa vi sono esistenze, vite che si aprono inconsapevolmente agli occhi della poetessa-cassiera squarciando abissi, aprendo porte, creando consonanze. Lo sforzo di ogni testo è quello di penetrare e riportare alla luce e alla verità questi vissuti, carpiti nel tempo fra la posizione della merce sul nastro e il pagamento del dovuto. Il punto di osservazione è sempre lo stesso, ma ogni testo è l’occasione di un’indagine che coinvolge il cuore, i sensi, un ardore che si nasconde fra i versi annotati su foglietti nascosti nel camice, ma che esplode nell’intimo fino alla commozione: «gli odori mi commuovono, mi raccontano vite/ diversamente vissute. Stimolano le ciglia olfattive/ calcano emozioni, sorprendono la memoria,/ o nauseano l’amigdala ma sempre scavano nicchie di pietà./ Poi c’è Silvia che spruzza del deodorante/ dopo che una barbona è passata alla sua cassa.» Argentino invita tutti a questo banchetto della memoria, chiama tutti con il loro nome, avendo cura di riprodurre fra le pagine del libro disegni e lettere originali, come fa con Silvio «che traccia croci/ sui cofani impolverati delle automobili/ o le disegna sulle banconote/ con cui paga litri e litri di birra» o con il mendicante Mimì che «era un uomo con lo sguardo di fiume/ e dei fiumi aveva la sapienza/ e stava rannicchiato in una bolla d’eterno.» Due personaggi dalla fine tragica, che in questo libro diventano piccoli eroi di un’epica cittadina e comunitaria, cantati con la forza omerica di una poesia vera e incandescente. Argentino, che con Mutamento (Fermenti, 1999) e Verso Penuel (Edizioni dell’Oleandro, 2003) aveva dato prova di una vena religiosa, eticamente schierata, anche questa volta prende posizione con forza e decisione a favore degli ultimi, dei poveri, dei mendicanti, di coloro che rubano perché hanno fame, perché rosi dalla necessità. Prende posizione poetica, anche quando il lavoro, il ruolo, non le hanno concesso di esprimersi. Vi è quasi una richiesta di perdono che emerge in questi versi, che si fa strada nella notte, nelle luci abbaglianti delle strade e delle vetrine alla fine del lavoro, e regala il quadro di una città dove, sotto la patina dell’indifferenza e dell’egoismo, si nascondono cuori che sanno battere e donarsi senza remore: «oltre le porte scorrevoli/ a vegliare il sopire del canto/ nel corpo stanco delle ore/ - ore di veglia ore di allerta -/ c’è una mendicante a chiedere sole/ e aria nuova per la parola convalescente/ nel fondo di una gora turchina./ Parole senza lingua né cittadinanza/ alla vita della pagina s’avvinghia.» Lucianna Argentino offre al lettore una poesia vera, vibrante; ci ricorda soprattutto che l’inquietudine e lo smarrimento possono regalare vera poesia solo quando accorciano le distanze con la vita, per mirare alla luce di un bene cercato e conquistato. (Luca Benassi)