Carlo Di Legge per «Autobiografia del silenzio» di Cinzia Marulli
![]() Autobiografia del silenzio
|
|
autori: | Cinzia Marulli |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
Cara Cinzia, non mi sembra si possa dire molto sulla tua parola “insanguinata”. Parola di silenzio chiama parola di silenzio. Non ho, qui, criteri letterari da utilizzare – quelli mi appartengono poco, comunque – o filosofici. Forse potrei dire “fenomenologici”? Certo v’è, nei tuoi versi e nelle tue descrizioni, non certo di accompagnamento ma di sostanza, la ricerca della narrazione, una chiamata in parola a partecipare, al modo del lettore, delle cose per come devi averle vissute.
Si capisce bene la scelta di “dare voce a tutti i bambini che, come la me di allora, non hanno avuto la forza né il coraggio di parlare” (p. 50). Ciò non toglie che non so chi altri, come te, possa arrivare a dare voce al coraggio; so, peraltro, che spesso è avvenuto e avviene.Il tuo silenzio di tanti anni è il silenzio tuo e, con te, di tutte le vittime (p. 50) di questo mondo strano e spietato. Certo.
Anche di tutti i bambini che sono vittime tra le vittime di questi giorni tremendi, come ascoltiamo e vediamo.
Ma infine scrivi che “la vita ha vinto sulla vita” cioè questo aspetto di vita e d’amore che hai avuto la forza di portare avanti ha prevalso su quell’altro aspetto.
Siccome si tratta di “autobiografia del silenzio”, credo tu abbia ricercato una parola che si avvicinasse il più possibile al silenzio.
Pertanto una parola scarnificata, povera e con ciò efficace, perché il messaggio pervenisse. D’altro canto la parola della poesia – o d’una prosa poetica – è per definizione ciò che più si presta.
Io non so come si possa fare questo a un bambino, a una bambina, o anche a un adulto. A chiunque.
Sono stato costernato nel leggere, e ho partecipato come mi riusciva, in luce e ombra d’ umanità.
Io non so come tu abbia fatto a perdonare, con quale forza.
Arrivare al punto da poter scrivere parole di perdono, come quando dici che l’orco cattivo “non è brutto come ci raccontano”, quando parli di “cicatrici”, o di quella bambina che ha trasformato “/in amore/ il suo dolore osceno” e addirittura “tiene tra le braccia l’uomo nero/lo accarezza e lo perdona/e con lui se stessa…” (p. 47).
Un affettuoso saluto.
Carlo