D. Mega per Silvia Rosa
![]() SoloMinuscolaScrittura
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autori: | Silvia Rosa |
formato: | Libro |
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Silvia Rosa e l’inquietudine in frammenti
In SoloMinuscolaScrittura edita da La Vita Felice, Silvia Rosa raccoglie quarantotto frammenti-confessioni espressi sotto forma di sms (da cui il titolo) che hanno l’aspetto prosastico-virtuale di rivelazioni improvvise e suggestive di stati d’animo.
È un’autobiografia senza fatti, una cronaca di emozioni da trasmettere al lettore, destinatario della comunicazione, in una sorta di dialogo fatto di percezioni sottili, di corrispondenze invisibili e di palpiti sotterranei.
Come i messaggi di testo vaga attraverso l’etere la voce poetica di Silvia Rosa, testimonia quel sentimento di vuoto e di crisi d’identità tipici ormai della nostra condizione di uomini postmoderni, “ricomincia il tarlo dell’assenza, a lavorarmi le ossa di morsi. mi assento da me stessa, quando l’assenza segue il (suo) corso- per pause d’abbandono-.”
La quotidianità di un sms diviene pretesto per riflessioni profonde in cui la poetessa esprime l’inesprimibile, svela l’abisso che è in noi, indaga la soggettività in relazione agli oggetti del mondo e della storia, intraprende un cammino di conoscenza e di devozione verso la scrittura senza riuscire però a placare l’inquietudine “non trovo una parola una che valga la pena di essere ingoiata e resti spina nello stomaco, che punga fogli appesa alle mie vene e sciolta in canto mi addormenti le inquietudini…”; facendo dono di sé giunge a definire una propria ontologia “l’azzurrità è una categoria dello spirito, impraticabile per chi come me ha sangue nero di inquietudini a oscurare la vista [di fantasmi e di ombre.] Eppure c’è desiderio di domesticità, di un amore che rinnovi da capo a piedi, che “frani cielo e terra” e che spettini i pensieri “al calore vivo di un abbraccio”.
Scrive Silvia Rosa “la bellezza è faticosa, sta sempre altrove, qui non è che un esercizio di disciplina da imporsi nella carne” e ancora “non ce la faccio proprio a farcela”, indossa la rinuncia, desidera abitare un’altra forma che sia sua, per appartenere a se stessa e ritrovare in sé la propria dimora, [la mia casa un pensiero di marzapane con un retrogusto di nostalgie infinite].
Una poesia che procede per associazioni di idee e che manifesta nostalgia di fiabe (in questo la Rosa ricorda la Lamarque di Teresino), entusiasmi infantili, ambiguità, da notare l’uso delle parentesi che attivano due livelli di comprensione in termini come sto(p), vol(t)o, (in)cedo, pe(n)santi, a(v)venire.
Rime di gioco, di vita, di noia, già l’incipit recita “qui il sole non decolla, è un disco rotto che mi preme sul costato e schiocca note acide di noia”, si alternano a rime di angoscia: dietro al meraviglioso, alle attese che luccicano e al fiabesco infatti c’è sempre il conflitto drammatico che interviene, scardinando le certezze e abbattendo anima e corpo.
Per fortuna esiste la scrittura, forse, dice Silvia Rosa “l’unico amore possibile, l’unico per gente come noi.” Vengono personificate le parole, “hanno un sapore, un odore, un volto che assomiglia a qualcuno.” Feriscono perfino come un filo di ferro e ci rendono “esclusi, stranieri soli, ognuno sepolto nella sua ombra, col volto bucato d’assenza e il ghigno feroce del rifiuto, l’ennesimo.”
Nella notte l’io poetico veglia, indaga la relazione tra corpo e mondo, “scrivere di notte fa bene all’anima… è un’esperienza dolcissima e feroce” al tempo stesso, un momento di crescita che rivela uno stato di pienezza anche se l’attimo dopo è immediatamente occupato dall’angoscia, che non è da intendersi come timore né come desiderio di fuga dalla propria condizione ma come momento di comprensione della propria finitezza e come tensione all’oltrepassamento verso la totalità delle origini.
Una scrittura seducente dunque e coraggiosa perché svela l’indicibile e manifesta l’eterno conflitto tra vita/speranza da un lato e dubbio/inquietudine dall’altro.
Deborah Mega