D. Santoro su Piazza
![]() Del sognato
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autori: | Raffaele Piazza |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Daniele Santoro su \"Del sognato\" di Raffaele Piazza
Raffaele Piazza, Del sognato, La Vita Felice, Milano 2009
Hanno una grazia, una levità queste nuove poesie di Raffaele Piazza che compongono la raccolta Del Sognato. Libro che, in ogni sua trama, respira di giovinezza, estate, bellezza e nostalgia del suo sfiorire, pregna qual è di «conca / d’alba», «di estive fragole», «di sponde azzurre» e «meraviglia / delle nuvole / tra le costellazioni». Un inno alla vita e allo stupor mundi. Un canto che palpita di natura e di sentimenti umani autentici, di amore e amicizia («Tornano, giocano con parola di abete / e rondini gli amici»). Una poesia pregna di solarità eppure intrisa di ombre, attraversata da strati di nebbia, di malinconia delicata se in essa pure «si avverte aleggiare - scrive Gabriela Fantato nella nota critica - una solitudine profonda, alimentata anche dalla nostalgia proprio per quella gioia “semplice” e quel piacere della carne che, nominati spesso, in questa poesia, risultano più invocati che posseduti dai protagonisti». Risiede in questo binomio la forza della poesia di Piazza, concreta e al contempo onirica (finanche virtuale) in cui protagonista di «questo spazio / scenico di vita» è sempre l’io e il suo universo interiore che “agisce” tra persistenza della memoria e presa diretta del reale, del proprio presente. Ne è emblema il mito adolescenziale di Alessia, paradigma esemplare di una giovinezza spensierata e sempiterna, quasi assoluta nell’immaginario; una figura che presenta ora i tratti, nel bagliore del sogno e «nel trasmigrare dei pensieri», di un angelo della modernità, mediatore tra l’uomo e il mondo, o piuttosto di una musa protettrice (non è un caso che Alessia significhi proprio “colei che protegge” dal verbo greco aléxein). Sicché tale figura femminile - che anima la seconda parte della raccolta - converte il libro in un canzoniere amoroso, in un diario privato per le occorrenze di date, di «pagine squadernate» e «foglie di memoria» di cui l’opera è come costellata; l’energia di Alessia è tale da superare «la tinta / dei mattini», è «icona […] ad attraversarmi, a stendere / le mani, a compormi il sudario», «a misurare il grado della gioia», a «regalarmi una goccia del tuo fiume / pari a reliquia» (si noti come il linguaggio trasudi di erotismo anche sacro, mistico). Una poesia però, quella di Piazza, tutt’altro che ripiegata esclusivamente sull’Io, lirica o fuori del tempo, bensì pure attenta al quotidiano e rivolta a un mondo globalizzato, tecnologico, massmediatico (email, files, monitor, sms, «dischetti da ascoltare e visualizzare» sono solo alcune delle voci settoriali che non è raro incontrare nel libro). Una poesia attenta, osservatrice «di questo postmoderno occidentale» di cui protagoniste sono le «baby sitter», le «belle dell’Est», le «ragazze con la spesa» e «le polacche le ucraine / nell’Italia dell’euro». Immagini, dunque, che attestano lo sguardo diligente del poeta, pronto a lasciarsi rapire dalla «bellezza di un evento», ad emozionarsi nell’atto di «recuperare un fiore / di conchiglia, una stella marina, / un ippocampo». Protagonista, dunque, la natura con il suo cielo azzurro e il mare che assurgono a macrometafore rispettivamente del sogno e della vita con la loro fascinazione e complessità (vale la pena ricordare che Piazza è originario di Napoli e l’appartenenza geografica a questa meditterraneità - che spiega peraltro il titolo della prima sezione del libro - è tutt’altro che trascurabile). Non meraviglia allora la presenza di luoghi familiari all’autore partenopeo; i «vicoli di Napoli», Mergellina, il Parco Virgiliano, Santa Chiara, Lacco Ameno; luoghi che, solo apparentemente, confinano la poesia entro gli spazi di una localis dimensio per diventare invece “rispecchiamenti” del sé, luoghi sintonici dell’anima.
Interessante è nondimeno il livello formale di tale poesia, attentamente studiato in funzione della resa comunicativa: sorprende certo nitore di immagini cui non è esente l’impreziosirsi di un’aggettivazione raffinata come in questi versi: «il mare / foglio di carta velina verde / resistentissimo» o la «capanna di gioia sulla roccia / azzurra»; sorprende la padronanza degli straniamenti e dei cortocircuiti analogici, sovente affidati ad apertura di testo, come «Dietro persiane d’isola», «Le siepi sono sul sogno / d’inverno alle porte» o nel testo La passeggiata nel bosco dove l’incipit «si sale sul bosco, albero» dà l’avvio, dopo un breve inserto dialogico, al «film» della memoria, alla descrizione di un connubio erotico che mescola, quasi alcioniamente, i corpi alla natura: «gli aghi di pino ma poi / è prato, è il dio, l’angelo, il piacere, l’essenza / negli orgasmi» (si noti la forza del verso centrale e la velocità con cui si realizza tale unio). Sorprende inoltre la capacità nel Nostro di comporre quadri paesistici di delicata bellezza seppure per frammenti, scorci in cui ambientare i protagonisti e le diverse occasioni del canto: «la selenica / luminaria», gli «albereti / al confine degli indumenti nei sogni», «la foglia della magnolia», «la piantina di fragola / la noce». E poi la capacità con cui Piazza anima le immagini per mezzo di suggestivi enjambement: «testi / di telefonate da brivido di pesca», «i desideri senza spine / e gli innamoramenti, le loro tracce nella / sabbia»; di accorte allitterazioni che tramano giochi sonori («il presagio di un pomeriggio passato», «mistico mattino») o di bisticci («Maree e mare giocano a nascondino nella casa» o «al mondo alla fine / del mondo»). Espedienti che attestano, da una parte, la padronanza del mezzo espressivo, dall’altra, la frequentazione alta e compartecipe della poesia del Novecento; penso, per fare qualche esempio, alla solarità del corregionale Gatto; a Sereni che apertamente echeggia nel citato «armeggiare con gli umani strumenti»; all’incipit eliotiano di The Waste Land che sembra improntare il verso «Aprile in verde esce di scena», posto ad apertura di libro.
Daniele Santoro