Deborah Mega per Eliza Macadan
![]() Il cane borghese
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autori: | Eliza Macadan |
formato: | Libro |
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IL CANE BORGHESE DI ELIZA MACADAN, ED. LA VITA FELICE
Fin dalle prime pagine, dai primi versi, incisivi e lucidi come didascalie di fotogrammi in successione, ci si rende conto della qualità dell’offerta. Eliza Macadan, poetessa e giornalista romena, ne “Il cane borghese” edito da La Vita Felice, ne dà prova esauriente.
La silloge è introdotta da una riflessione indicativa che apre il percorso poetico, “mi collego / al tic tac muto / del mio tempo” e che pone l’accento sulla parola “tempo”, prova inconfutabile della nostra esistenza. Si tratta di poesia intimista, capace di ricerca interiore, di nostalgia ma anche di sguardi migranti su paesi lontani.
Attraverso immagini concrete l’autrice coglie temi esistenziali, racconta l’immanenza dei fenomeni, cerca e trova un senso per un altro giorno da vivere, si pone domande, formula congetture. Ciascuna poesia, riflesso del quotidiano, è un concentrato di ritmo ed emozione, esperienza e riflessività così che nello spazio di pochi versi apre un mondo mentre ci s’interroga sul senso dell’esistere, partendo dalle situazioni e dagli eventi più comuni.
Poesia del quotidiano dunque, feriale, nel cui minimalismo però si possono intravedere gli slanci lirici, il prodigio dell’esistenza e la consapevolezza che il vero miracolo è la vita stessa nel suo manifestarsi ed evolversi.
La leggerezza e la semplicità espressiva non devono trarre in inganno: la poetessa sente le cose tanto da esserne parte, con occhi attenti al mondo e lucidità di visione, coglie il tempo presente e lo intreccia alle riflessioni e ai ricordi. Difficile vivere in questo mondo, di cui si presagisce la fine: a proteggerci occorrono il potere degli amuleti “Lasciami madre / il tuo smeraldo fortunato / per uscire salva / da questa fine del mondo” e “la benedizione dei padri assenti”. Anche le parole sono ormai “secche vuote e smagliate” e, se in alcuni casi morbide e fluenti, comunque “crescono innaffiate / dal cianuro di novembre”. Più volte nel corso della silloge affiora il timore di non avere sufficienti giorni per amare e per volare. Nessuno si salverà dal dolore, dalla morte, dalla “fine del mondo”, l’uomo, però deve resistere alla routine, ripristinare il contatto col quotidiano perché il senso scaturisca ogni giorno in qualsiasi circostanza, anche apparentemente banale.
Nutrendosi di vissuto ed esperienza, la poesia diviene conferma di sé e denuncia di una quotidianità comune e condivisa fatta di gesti, speranze, attese, delusioni.
Il poeta dunque non può tacere: deve fornire la sua interpretazione del mondo, frugare nelle parole “senza un codice di procedura”, esprimere la propria disperazione attraverso l’incanto della scrittura, l’unica capace di rendere la nostra permanenza più lieve e tollerabile.
Deborah Mega