Domenico Defelice per Lucianna Argentino con «Le stanze inquiete»
![]() Le stanze inquiete [2^ ed. 2021]
|
|
autori: | Lucianna Argentino |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
LUCIANNA ARGENTINO
LE STANZE INQUIETE
Poesie, Edizioni La Vita Felice, 2016 - Pagg. 104, € 14,00
Chi di noi non è stato mai a un supermercato? Colonne e pile di prodotti allettanti; luci vellutate per non irritare, ma per distendere ed invogliare agli acquisti anche del superfluo, anche dell’inutile; musiche in sottofondo, suadenti e assorbenti; magie di sorrisi e d’altro. Poi, il passaggio alla cassa, dove, quasi sempre, sta seduta una donna bella e fascinosa, dalle mani svelte, dita frenetiche che battono tasti, numeri e luci sui display. Difficile immaginarsi, dietro quella bellezza e quei sorrisi, un’anima assai lontana dall’aridità di quei prodotti e quelle cifre; un’anima che gioisce o si commuove al giornaliero sfilare di tutte quelle persone, ognuna delle quali, più che di prodotti, è carica di vicende qualche volta liete, più spesso drammatiche e tristi.
Lucianna Argentino alla cassa di un supermercato vi ha trascorso più di un decennio, non solo non lasciandosi inaridire, ma traendone insegnamenti di grande umanità.
Le stanze inquiete è un diario di poesia, non solo perché scritto in versi, ma perché ogni brano è un quadro di carne e d’intime pulsioni, di molte sofferenze, di orgogli, frustrazioni, debolezze e miserie. L’Argentino ha la sensibilità di rapportarsi a chi le sta davanti nelle brevi soste, scambiando con loro “messaggi con gli occhi,/le mani e il fiato. Il lampo umido di uno sguardo”, contagiando e lasciandosi contagiare, in un bypassare continuo d’amore. Sensibilità, la sua, che l’ha da “sempre sostenuta - come lei stessa confessa in “Appunti per una est-etica del lavoro” - e in particolare in quegli anni, facendo sì che le centinaia di persone che ogni giorno mi passavano davanti non si trasformassero in una massa informe e indistinta, ma ognuno mantenesse la propria identità perché anch’io mantenessi la mia. È stato un dirci umano, un reciproco riconoscerci nell’umanità, nella fraternità che ci rende uguali al di là di tutti i dati contingenti che ci definiscono”.
Un libro carico di sentimenti, allora, Le stanze inquiete, intimo, esteticamente e formalmente vario, “oscillando (...) tra la prosa e la poesia”, in un linguaggio adattabile, aderente alla vita vera, che non è tutta prosa, come non è tutta poesia. Ogni persona che passa e si sofferma alla cassa, è, per la poetessa, una stanza entro la quale entrare ad esplorare e grimaldelli e chiavi sono le scambievoli parole, gli sguardi, le ferite aperte di ciascuno tra corpo e anima, che si dilatano e distendono.
Dalla sua postazione, gli occhi della cassiera di tanto in tanto perforano le vetrate del supermercato per incontrare la vita che pulsa sulle strade: la mendicante che chiede “sole/e aria nuova”, “uomini/(che) abbattono robinie/e piantano ciliegi da fiore”, il gatto che, “Nell’aiuola del parcheggio”, “si rotola nell’erba in pieno sole”.
Il campionario umano che transita dalla cassa è assai vario: la mamma della ragazza madre; la bambina Martina; l’uomo che racconta del morbo che l’ha colpito; Pamela, che per reazione al diniego del padre di giocare con le bambole, ora ne riempie la stanza; Mauro; Anna della “giornata no”; Rosina la calabrese; “Giuseppe,/un vecchio cieco”; “Pina un metro e cinquanta di acciacchi”; Matilde, che ritiene il non credere una disgrazia; Antonietta, preoccupata che le banane non ricevano ammaccature, se no il figlio non le mangia. L’ elenco sarebbe lungo e ogni soggetto, come ognuno dei quadri, meriterebbe non solo un semplice richiamo, ma un lungo commento. Il passaggio a quella cassa, ogni giorno è convegno di “anime asfittiche/di case da tempo chiuse” e di “anime ariose, anime senza età”. Anime asfittiche sono l’ Antonietta delle banane e il figlio; lo è ancor più la donna sensibile all’animale e non all’uomo, che acquista “del cibo per il cane/del giovane girovago” e non per il poveraccio. Assai di più, per fortuna, le anime ariose, alle quali non possiamo non aggiungere Abele, protagonista di un poemetto che l’ Argentino pubblica nel 2015 con le Edizioni Progetto Cultura. Abele rappresenta tutto il positivo ed il principio della intera creazione, alla cui “origine è il dono, l’amore, non il peccato”. Abele è “il senza voce per eccellenza”, che racconta “le cose dal suo punto di vista, a cui fa da controcanto la voce di Eva”, la madre. Il dettato va via via crescendo di intensità, in un pathos da Genesi. La figura di Caino non è da annoverarsi tutta nell’asfittico; egli è la ragione e la conseguenza del travaglio cosmico e la ricerca umana di ritornare nel primordiale giardino, il voler “combattere con i cherubini per riconquistarlo”, afferma l’Argentino.
Una lunghissima lista di soggetti umani quella che ci presenta la poetessa ne Le stanze inquiete, “ognuno con la sua muta preghiera/o la sua muta bestemmia”; e non mancano tocchi particolari che dimostrano, per esempio, come tutto quel che si vende nei supermercati non sia sempre e solo sofisticato, ma che c’è anche del genuino, se dentro il cespo di lattuga possa continuare a vivere tranquilla una lumaca, che la sensibile cassiera delicatamente raccoglie e depone “tra l’erba dell’aiuola”.
Gli animali! Si fanno quasi tutti apprezzare; Zarina, per esempio, è una cagnetta, fedele e gentile più di tanti umani.
Domenico Defelice
Pomezia Notizie Dicembre 2017