Doris Emilia Bragagnini per Irene Sabetta con «Nella cenere dei giochi »
![]() Nella cenere dei giochi
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autori: | Irene Sabetta |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Una chiave di lettura Irene Sabetta ce la fornisce con la citazione di Samuel Beckett in esergo: “Forse le cose si svolsero in tutt’altro modo, ma che importa, la maniera in cui si svolgono le cose, dal momento che si svolgono? E tutte quelle labbra che mi avevano baciato, quei cuori che mi avevano amato (è col cuore che si ama, vero, o mi confondo con un’altra cosa?), quelle mani che avevano giocato con le mie e quegli spiriti che erano stati sul punto di possedermi!”
Nella pagina successiva, immediatamente prima di affacciarsi all’intera silloge, ad accogliere il lettore due versi fulminanti, dove presente, passato e futuro, coesistono, restano sostanzialmente intrecciati in una presa di coscienza ipotetica:
nessuno conosce
il passato che lo aspetta
C’è una promessa in questi due versi, un invito a percorrere un arco temporale che saprà completarsi sulle ultime parole della raccolta. Entrati nel vivo della silloge, portandoci nel folto di una costante ricerca, attraverso il dialogo frastagliato con i suoi ricordi, l’autrice ci precede e avanza seguendo una libertà immaginifica molto personale. Non vocaboli estremamente ricercati o stranianti, è sulle concatenazioni, sull’alternanza dei passaggi che si è calati nell’evidenza di una forma consapevole che sa vorticare liberamente, senza perdere mai il controllo. Gli avvenimenti, le descrizioni che si succedono, assumono e cambiano continuamente sembianza, le atmosfere e le suggestioni s’intervallano, sfumano compenetrandosi, il reale e il surreale si rincorrono. All’esposizione di un fatto dato come avvenuto, segue quella dell’impatto su emozioni e sentimenti esperiti, il tentativo di afferrarli nella loro impalpabilità per distinguerne i significati. Irene Sabetta porta lo sguardo al particolare, lo interroga, lo persegue in modo così ravvicinato che il contesto sfuma di verso in verso, di dettaglio in dettaglio come con zoomate repentine. Il senso viene a tratti lambito e a tratti dipanato, grazie a un serrato contrappunto interiore. L’autrice dimostrando fiducia nell’onestà della parola, non piega il proprio flusso descrittivo e di coscienza ad un uso più semplice e diretto, facilitando le cose al lettore. Piuttosto lo munisce di una certa carica di curiosità fin dalle prime battute, lo fa complice in un’avventura da percorrere fino alla fine. È non abbandonando ma abbandonandosi alla fluidità del tragitto che l’intero si rivelerà nella sua completezza. Ogni testo sembra occupare una collocazione precisa, tutto scorre nella migliore delle consequenzialità, si avverte la regia di un’ispirata cognizione. Nel libro gli elementi sfiorati, indagati, accarezzati in diverse epoche sono molti: l’infanzia, la bisnonna, la guerra, i parenti, la madre, il padre, la sorella, il fortissimo rapporto madre figlia, l’università, la malattia, la città, la campagna, prati, fiori, fontane, il sogno, gli alberi, le figlie, gli affetti, stanze e cassetti, le riflessioni, il dolore e la gioia, tutta una vita che si ricompone guardando a ritroso. Funzionale (e molto bello) nell’ambito, l’inserto del miniracconto “Iris” nella prima sezione, mandato quasi privo di punteggiatura, spingendo il ritmo a velocità sostenuta, a perdifiato, tutta una diramazione di eventi, età e personaggi, elementi che s’incontrano in una salda volontà di raccordo, di testimonianza.
“Le parole partoriscono immagini incalzanti, plastiche: Come sequenza di un film. Non hai tempo di respirare, ma riconosci alcune scene perché ti appartengono, appartengono a tutti, perché è la vita che si rappresenta.” Maria Benedetta Cerro dall’introduzione.
“siamo stati abitanti
ora dobbiamo essere visitatori”
Con queste parole, in conclusione, nell’ultima pagina della raccolta, Irene Sabetta si rivolge ancora al lettore come a salutarlo, svelando l’intenzionalità di un’opera che ha tenacemente cercato le coordinate per racchiudere e trattenere per sempre, le pagine salienti della propria vita e quella dei propri cari, “ai miei morti e ai miei vivi” della dedica. Nella maturità di sguardo, “nella cenere dei giochi”.
***
A Zeta
Apro scatole
nel verso libero
e mi verso addosso
passata di moda
annodata all’ancora
del mattino seguente
il corteo del morto
di fame che mi
attanaglia la bocca
dello stomaco di capra
e del fegato d’oca:
ex modelle ex mogli
di ex calciatori che
tornano alla ribalta
dell’isola delle capre e delle oche.
Non faccio altro
dal lunedì alla domenica
mi svesto e mi rivesto
caffè dopo caffè
senza zucchero né compagnia
seduta al bar di casa mia
sperduta, magari, tra le montagne
verdi della canzone
e quelle tristi di mio fratello
che chiama senza chiedere aiuto
e mi manda alla pazzia
dei matti senza arte né parte.
Né parte né resa
si dilegua soltanto
incatenato al verso libero
che scorre ma non fluisce
che cura ma non guarisce
fino all’ultimo treno
fino all’ultima lettera
da scrivere e cancellare.
*
Ordalia
T’accendi d’ormoni a centinaia
la fiamma t’attraversa
di rabbia e d’abbandono.
Eravamo la regina eravamo
la mamma e la figlia
io ero il ferito tu il cane l’ambulanza
io ero il prato tu la mucca la fontana.
Facciamo che eravamo facciamo
la merenda il compleanno il girotondo…
cascò il mondo
Senza mano, non mi dare più la mano,
non toccarmi mentre supero il recinto,
non guardarmi
che rimesto nella cenere dei giochi
per trovare un po’ d’ombretto.
Alla larga, l’onda lunga dell’istante
estendibile all’esterno
si rapprende in un ruvido bozzolo intricato
un gomitolo di fil di ferro
un grumo di sangue cruento
successione di scossoni
non più fiume
ciclo
non più flusso.
*
Me
Astraggo dall’io
per essere me stessa.
Myself. Sono mia
ma non mi voglio.
Identità di carta velina.
Non fate caso alla foto.
È uscita male.
tutti noi siamo usciti male,
perfetti come pensiamo di essere,
imperfetti come siamo.
Colpa di Amleto!
Colpa del fotografo,
dell’anima perplessa,
della smorfia di dolore
sul lettino in sala parto.
Colpa della formula dimenticata,
di questa cosa che deve essere
continuata…
*
All’immaginazione preventiva
Se camminassi sulle parole
la tua poesia reggerebbe il peso.
Potrei usarla
per raschiare il fondo d’acciaio
o per piantare
chiodi alle pareti.
Potrei costruire città
o giardini accoglienti
impastando i tuoi versi
a calce viva.
Finalmente parole utili.
Se costruissi una scala d’avverbi
potrei salire fino all’ultimo gradino
e seguire la curva di luce.
Vedrei lontano
gli alberi cadere nella foresta
e saprei cosa fare.
Domani sarebbe adesso.
***
Nel 2018 la casa editrice LietoColle ha scelto alcune sue poesie per l’Antologia iPoet. Nello stesso anno ha pubblicato la plaquette Inconcludendo, ed. EscaMontage e un saggio sullo studio di Francis Bacon nell’opera collettanea Residenze e resistenze creative, LuoghInteriori edizioni. Nel 2020, è uscita la raccolta Il mondo visto da vicino, Il Convivio ed. con la prefazione di Beppe Sebaste. Nel 2021 la sua raccolta inedita Nella cenere dei giochi si è classificata seconda al premio “Antica Pyrgos” ed è stata successivamente pubblicata dalla casa editrice La Vita Felice (2022), nella collana agape, diretta da Diana Battaggia, con una nota introduttiva di Maria Benedetta Cerro. Nel 2022, alcune sue opere inedite sono risultate finaliste ai premi “I Murazzi” di Torino e “Lorenzo Montano”.
Collabora con il quadrimestrale Formafluens – International Literary Magazine, diretto da Tiziana Colusso.