Elio Grasso per Stefano Guglielmin con «Ciao cari»
![]() Ciao cari
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autori: | Stefano Guglielmin |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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su la dimora del tempo sospeso
Nota di lettura a:
Stefano Guglielmin
Ciao cari
Milano, La Vita Felice, 2016
La poesia in questo libro viene meno di fronte alla vita rievocata in cento rivoli? Nient’affatto. La poesia scende come un’affermazione, talvolta stridente al cospetto della morte, ben organizzata, di realtà ferrea, quasi imposta dove le scintille esistenziali iniziano a disperdersi. Discorde alla mancanza di volontà, alle energie sottratte, all’aria tesa dei tempi, tutto l’armamentario delle menti (migliori e peggiori) di varie generazioni scende in campo dalla nascita all’estinzione. Il saluto del titolo è incontrovertibile, rende dipendenti da ricordi ed esperienze, l’autore sa d’essere un LED oscillante tra presente e passato. La sua dipendenza diventa la nostra, alcuni di noi sanno di chi si parla, conoscono le storie, o immaginano di conoscerle, alcuni di noi diventano gli oggetti del pensare. O interamente poesie. I fatti sono noti nel momento in cui si allestisce il loro mito. La bravura di Stefano Guglielmin sta nel riconoscere la forza intrinseca, da veri animali da combattimento, di coloro che ha incontrato o immaginato e qui chiamati a raccolta. Come fossero tutti vivi. Come fossero tutti riconosciuti dal loro linguaggio. Il resto conta poco. Si tratta di un’apologia dell’impegno letterario. È ancora praticabile la poesia dopo che autori e spettatori risultano dispersi in atomi nell’atmosfera? E soprattutto, che accrescimento possono dare a chi resta al mondo in questo modo? Poeti e scrittori noti in vita assumono il saluto dell’autore senza battere ciglio, altri nascondono il proprio cognome con una modestia che solo le date di nascita e morte mitigano. Ma dovrebbero sapere quanto per alcuni sia bastante a rivelarli, per poi rileggerli. Sono sufficienti la citazione di alcune riviste e l’accenno a una malattia. Dopo di che ci si sacrifica alla commozione di un istante. Guglielmin ha mano leggera, ripone il ricordo in teche inossidabili, in mondi “visti da dentro” e “visti da fuori”, dove i “ritratti” si ritrovano a spasso in circuiti mentali preziosi, mitigati da rapporti mansueti e rispettosi. Di tanto in tanto scivola fuori una risorsa maggiormente puntigliosa, una citazione più complessa, poiché non è semplice scostarsi da persone e incontri che sono stati reali, senza divario tra esistenza e invenzione poetica. Non siamo certo nel campo di una Spoon River nostrana. Tutt’altro. Non vi sono pieghe devote in Ciao cari, o intensificazioni nostalgiche. Se mai sperimentazioni sulle scritture altrui, un raro ascolto di linguaggi accostati e spediti intorno a chi ha mezzi auditivi consoni. Fedeltà non scevre di abbandoni, quando è necessario, poiché una distanza appare doverosa quando s’intensifica l’ascolto di chi ci ha interessato utilizzando non modesti mezzi espressivi. Guglielmin, lungo la sua ricognizione, non dimentica gli Anonimi. A questi riserva momenti che turbano lo spazio-tempo, che rilasciano un’immediata energia capace di rappresentare il film di un passato alternativo all’oggi disagevole. La drammatica domanda, per esempio, di una tossica a Amelia Rosselli, a Castelporziano. Sembrerà pressoché superfluo essere pertinenti riguardo alle micro-storie, ma siamo certi che dimenticare le pressioni ricevute in una determinata epoca sia un bene? La tendenza ad addomesticarsi è fin troppo espressa nell’epoca attuale. Le sale d’attesa sono piene di gente che vuole ancora vedere. E le vite di cui scrivere sono tante. Guglielmin lo sa.