Emanuele Martinuzzi per Adua Biagioli Spadi
![]() L'alba dei papaveri
|
|
autori: | Adua Biagioli Spadi |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
Recensione alla raccolta di poesie “l’alba dei papaveri” di Adua Biagioli Spadi
L’identità e l’amore. Questi i cardini su cui ruota l’anima raffinata e sensibile della poetessa Adua Biagioli Spadi e da cui si snoda il nucleo di questa raccolta, o ancora meglio di questo viaggio di un alba tra i papaveri. Questi i nodi esistenziali che ogni poesia cerca di slegare nel cuore del lettore, affinché diventi manifesta la stessa linfa pulsante che accomuna ogni umano e più profondo sentire. In questi veri e propri paesaggi interiori, sapientemente delineati dalle ispirate e sottili parole della poetessa, si dispiega un’epopea antica, che è la stessa che accompagna da sempre l’animo che ama e che ricerca se stesso. Identità e amore si perdono “nell’eccezione del divenire,/abitudine di un sole antico/mentre tu sempre/mi afferri in improvvisa danza/ con piedi di sale” (Da “Io colgo te”) per inseguirsi dove “si diramano strade diverse/si fonde il cuore alla linfa,/ma radice aggrappata si nutre di me/luci e ombre odorano me” (Da “Il seme”) cercando di delinearsi, di riconoscersi, di specchiarsi l’un l’altro, di fondersi in un afflato carnale, in un dono intellettuale di sé. Una dialettica resa complessa e sofferta dall’arabesco del senso, una falsa opposizione che si nutre di sentimenti inespressi come di tracimanti passioni, un equilibrio sul baratro dell’interiorità dove solo la poesia, più meditata e vissuta com’è quella della Biagioli, può essere funambolica presa di coscienza dell’estasi di ogni sguardo, degli orizzonti, mai terra di conquista, a cui spera e si rivolge il canto della poesia, di “quanto diverso sembra l’essere qui,/ io spiga nell’opaca conca di tempeste/ che troppo per me sono” (Da “Sguardo fra le stelle”). L’alba primigenia riluce la sua poetica essenza nell’amore e nell’identità, trovate e possedute con l’innocenza che solo parole di poesia custodiscono nel loro statuto più intimo, dove “fino alla fine/l’inizio di tutto” (Da “ L’inizio di tutto), vivendo allo stesso tempo il riflesso ombroso che emanano i papaveri, fiori dell’amnesia, del distacco e della lontananza, “delle cose accanto/ sento la verità cercare,/nell’impetuoso,/ fra i sassi farsi spazio” (Da “Questo stare sveglia”). La poetica della Biagioli all’amore parla con l’amarezza del disamore, all’identità con il crepuscolo della disidentità, alla differenza della parola con il tacere della bellezza, che basta a se stessa, che è fine di tutte le cose e anche del suo verso, perché “l’innocenza salva il presente” (Da “Un mondo migliore”). Un sapere antico serpeggia nei campi disseminati di questi rossi versi, una visione esistenziale che intende l’amore come una forza della conoscenza, una fonte di senso e identità, una fucina di “idee per ogni luna/quelle del mio giardino,/sparpagliate più che mai/brulicanti di pause, di vita,/divise da odorosi spartiti” (Da “L’alba dei papaveri”). E in questo senso la poetica della Biagioli, il suo anelare continuo nel prisma del sentire, nelle sfaccettature della propria sensibilità, così unica da toccare temi universali come la nostalgia, il rimpianto, il dolore, il piacere di perdersi in se stesso e nell’altro, può dirsi una luce nuova ma non priva di memoria, un’alba che si rifrange in rossori e profumi antichi, una nascita in poesia di ciò che sarebbe altrimenti destinato al silenzio o all’oblio: l’animo umano e i suoi abissi. Aprirsi alla meraviglia di un ritrovamento, il proprio e altrui riflesso, l’amante e l’amato, ossia l’amore trasversalmente, è la meta di chi legge, assaporandola in ogni dettaglio inatteso, questa raccolta, sempre al di là da se stessa. “Mappe di essenza trascorse./Mistero./Amore.” (Da “A mia madre”).
Emanuele Martinuzzi