F. Tomada su Cellotto
![]() Pertiche
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autori: | Alberto Cellotto |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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articolo su Alleo.it
Alberto Cellotto, PERTICHE

Non conoscevo la poesia di Alberto Cellotto fino a quando un amico mi ha consigliato la lettura della sua terza raccolta, Pertiche, recentemente pubblicata per La Vita Felice, e devo dire che l’incontro si è rivelato una sorpresa decisamente piacevole: si tratta infatti di un libro che prima di tutto, ed al di là del piacere o meno, è un lavoro degno, che ha molto più di un motivo per essere consumato fino in fondo. Non solo la voce di Cellotto è sicura nella padronanza degli strumenti linguistici ed espressivi, ma l’intera raccolta vive di solidità e consapevolezza, e scava nel nostro tempo con notevole profondità. Il tempo, appunto: già la prima poesia, Cicatrici, appare come una sorta di manifesto, definisce il quadro di questa nostra terra oggi coperta di fabbriche e asfalto, e soprattutto pone una domanda che attraverserà tutto il lavoro, sia pure con accenti variamente declinati: “chi prova / a combaciare le diverse / epoche che scantonano dal passato”?
Nella poesia di Cellotto fortissimo è il senso di una temporalità presente, che però si ritrova irrisolta, o forse per meglio dire monca, privata in qualche modo del suo passato, perché “il mio paese è un cuore / di vetri coi resti / dei nastri adesivi / rimasti attaccati”. Sembra sia venuta a mancare la continuità, quella continuità che è necessaria per cogliere il senso di divenire di una cultura, della società e delle persone che la compongono. “Hanno bucato una generazione / intera, forse anche due”: anche se dunque la poesia di Cellotto non è propriamente civile, almeno non in modo esplicito, finisce con il diventarlo nel momento in cui descrive il vuoto, “quello che / chiamano oggi e non sanno bene / se è un luogo di lamiere, / mezze nuove e mezze ruggini.”
La difficoltà del collocare i luoghi diventa difficoltà del collocarsi, così come spesso l’uomo, gli altri viventi e le cose vivono un processo di identificazione (“sento un albero / nel polso”; “Sono due punti questi / fuochi, l’argine di occhi / appena segnato”) ed il tempo presente diventa un tempo sospeso. All’interno di questa provvisorietà il tentativo – non solo letterario, ma anche umano – di Cellotto è quello di ricollocare, eliminare il superfluo e ritornare ad una essenzialità necessaria. “Resta l’obbligo di dare / precedenza agli incroci / tra i volti, sfollare la memoria”, come avviene nella sezione Lettere alle persone, che Gian Mario Villalta definisce nella prefazione una specie di Antologia di Spoon River dei viventi (con uno sguardo che a volte ricorda quello di Giorgio Gaber, aggiungo), così come nel poemetto che chiude la raccolta, Nella demenza che non sa impazzire, singolare incontro con il paesaggio prossimo al Piave, che ha vissuto la tragedia della Prima Guerra Mondiale. “Uomini santi sudici / balzano nel fumo e nelle nebbie, / balzano per sempre”: quel per sempre protrae lo sforzo fino ad oggi e lo attualizza nella fatica di rinominare, riconoscere nel paesaggio le tracce di coloro che lo hanno popolato o sofferto, per rimagliare “il nostro calendario / perpetuo e incivile”.
Francesco Tomada