FemminArt Review per Cielo di I.E. Leo
![]() Cielo
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autori: | Irene Ester Leo |
formato: | Libro |
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Irene Ester Leo – “Cielo” – Anafore centripete
“Toccai me stessa attraverso la gabbia aperta, custodia preziosa, della tua libertà azzurra, toccai la verità e mi venne incontro...”. La raccolta di poesie “Cielo” di Irene Ester Leo è una sequela meravigliosa di incipit universali, mediati dalla straordinaria capacità di chiudere scatole di figurazioni arimiche in gabbie aperte di lucidità cosmica, “Lama di ghiaccio è suono di una, due, sinestesie arcuate...”. Scomposizione di ossimori in frammenti di un sogno ricondotto pacatamente alla sua reale irrealizzabilità. “Il fumo levatosi si è sbrigliato, finiture di vento, preghiere retiformi...”. E’ oltre la dimostrazione di potenza semantica di allitterazioni di voluta sconnessione precisa, ecco, come un bisturi cesellato che all’inizio illude il lettore in un esercizio di stile di caratura eccezionale. Ma è uno dei mille incipit, il suggerimento di un metodo che per tanti poeti resta miraggio salvifico ricevuto e ritornato, in un loop dal quale di rado si esce, glissando su una semplice manipolazione della confusione della chiarezza.
Irene fuga ogni incipit rimanendovi costantemente sospesa come ogni creatura di confine, “La sacralità dei passi è di ferro, il tempo ossida i tuoi colori fedeli, il tempo ti fa pieno e terrestre e la forma acutizza le pieghe...”. Inizia così la seconda vita, copia carbone della prima ma con in più la coscienza del compito mediale del trasporto, del trasferimento. “Rendiamo onore alla divinità che ci abita, chinando il capo, il cantico delle pulsioni allarga il ventaglio allora sino alla gradazione pura.” Irene si fa cosciente della realtà sottesa fra l’essere e l’agire, il mondo nel suo attuale ricovero, fin dalla notte dei tempi e sceglie la poesia come magnetica sembianza delle origini sconosciute ai più, “Là raggiunsi il claustro di paglia, la fiamma si arrese al compito primario: miracolare la memoria”. E’ più che un vaticinio, di cui assume tutte le parvenze, è sacrificio mediale e mediatico di un corpo offeso dalla ragione che si rigenera in virtù della sua stessa decomposizione, è una “Missione”, “Non ho forma o sostanza definibile, il processo alchemico è nigredo al momento, attende il trapasso delle cose fino alla beneamata rubedo della materia assiale...”. La materia assiale, quintessenza del sogno eluso come felicità inevocata, il sangue, rubedo, l’oltraggio del concepimento, la poesia, la derubricazione dell’affaire Uomo, così, spicciola, come presi da altro male da fare. L’immolazione della materia assiale, “mi stempero in essa fino a diventarne parte. Irraggiungibile non per stirpe ma per abbandono. Conosco il mondo. Dove il mondo mi comanda.” La filosofia si estingue irrisa, l’unico modo per stigmatizzare la realtà è farvi parte, attraverso un abbandono vigile che finalmente licenzia la stirpe. Ecco le anafore di poesia composita nel suo centro, lanciare il messaggio finale velandolo di futuribile fonetico, oh che bello, morire di giorno e resuscitare la notte al confine atteso delle umide recriminazioni. E’ solo poesia, diranno i ciechi occlusi al Cielo.
Irene commuove nel pallido stare per tanta verve di inusitato vertice, “Quattrocento furono gli anni. Restammo dietro le porte socchiuse delle origini, le mie di terra nera, vedendo sollevarsi le montagne.”. E’ chiaro il mistico singulto della specie rinnovata nello spargimento, è chiaro, “Il cielo si è aperto di nuovo, dalla mia mano alla tua, congiunta la linea del sangue”. E’ chiaro, “Le leggerezze dei meccanismi puntano l’ovest, ma l’est della nascita è cucito a sangue sul profilo delle donne che vediamo passare, salde, piene nella loro voce...” E chiaro, Irene. “E’ l’estraneità che allarga i tagli intorno agli occhi, allarga gli occhi fino a sfinare le familiari guerre e le conciliazioni in un tutt’uno”. E’ chiaro. “Diamoci le mani sulle linee della vita posiamo la bandiera”. E’ chiaro.
La poesia di Irene Ester Leo è cardine, pietra angolare, di quelle che spostano le ellissi nella logica del già visto e ignorato, fissando il confine di un secolo o un millennio, perché è una poesia che sa aprire la ferita che “slabbra la carta” suturando gli opposti infingimenti, bloccando l’emorragia di inchiostro con seriche rimembranze della storia certa, millantata da teoreti assassini di fine epoca. Occhio alle indicazioni della poesia di Irene, perché è bussola di cardini impazziti, con la sola imposizione della penna sa renderli orizzonte, negandoci la negazione ma ricordandoci che “la memoria non ha ami di ferro” e che la storia vera è fatta da uomini e donne che sanno morire sulla quota dell’inganno del condizionale “Il sarei è la sigaretta altrui accesa del bar accanto alla chiesa, quelle domeniche che invocavo Dio, chiedendogli velocemente l’utopia dei venti anni”. Velocemente, è questo il fulcro del Cielo e della sconfinata poetica di Irene Ester Leo che stinge nell’attimo saputo, ormai impossibile ad ignorarsi oltre.
“Il segreto è unico, ribassare il punto di vista all’altezza degli altri.”