Francesco Palmieri per Eliza Macadan
![]() Il cane borghese
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autori: | Eliza Macadan |
formato: | Libro |
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ELIZA MACADAN - “Il cane borghese” - edizioni La Vita Felice, giugno 2013
La poesia di Eliza Macadan, poetessa ed intellettuale romena, condivide in pieno alcune emergenze comuni al contemporaneo 'fare poesia', specie in tanta produzione italiana di questi ultimi decenni: asciuttezza e brevità dei testi, uso moderato dell'aggettivazione, dismissione delle convenzioni orto-grammaticali, verso libero modulato sul respiratorio, contiguità con il dialogico ed il conversevole. Paradigmi stilistici che, già a partire da una semplice constatazione quantitativa, sembrano distanti anni luce dalla fluvialità di poeti in diversi modi contemporanei: da T. S. Eliot a D. Thomas, da D. Walcott a S. Heaney o T. Hughes, per limitarsi alla sola area anglosassone. Si tratta del permanere di eredità ermetico-simboliste o di una vera e propria mutazione ontologica nel senso e direzione di una progressiva evaporazione del “dire”, di una caduta nell'incubo spirituale di una afasia inarrestabile? Crisi di stilemi retorici, conformismi metrici, o segni e sintomi di un malessere ben più grave e profondo, una malattia dell'anima, che si è innestata nella coscienza europea da ben più di un secolo e la cui eco risuona nelle parole sempre più boccheggianti e intermittenti della poesia (o se vogliamo, di una sua linea di sviluppo)?
Comunque lo si voglia interpretare, il dire poetico di Eliza Macadan che, pur di origine romena, usa la lingua italiana con la padronanza e la naturalezza di una “lingua materna”, è un dire essenziale, dal ritmo paratelegrafico dove la compiutezza sintattico-semantica raramente va oltre i tre/quattro versi; è un procedere dichiarativo che si formalizza per scatti riflessivi e metaforici, per sovrapposizione di contesti, vissuti, e accostamenti associativi dove senso e condensazione di senso, rispecchiamento tautologico e amplificazione di significato (dal fuori al dentro e viceversa) introducono con crudeltà e amore, violenza e delicatezza, in una dimensione extraumana ed intraumana abitata dai demoni e dagli dei che si contendono da sempre il 'destino' dell'uomo. Nichilismo e speranza, utopia e scetticismo, i più primari stati di gioia e dolore, l'onnipresenza della morte, l'ombra lunga di tutte le fini e di tutti gli esili, ma anche la permanente testardaggine di una specie umana che non rinuncia, non può rinunciare a immaginare una “luna piena” dove ballare “divinamente impazzita”; una filiazione che non può lasciare all' “archeologia” un' “anagrafica di antenati buoni” o mettere a tacere per sempre un'innocenza immanente, filogenetica, che da sempre è come “un grido di battaglia”.
Forse una battaglia persa, una lotta che non salverà nessuno da una “fine del mondo” che comunque verrà per decreto di chissà chi o più verosimilmente dall'insipienza umana, ma il poeta -ogni intellettuale autentico- ha in sé come un'ineludibile spia ontologica che lo preme verso il dovere etico-morale di non tacere, di assumersi laicamente quella responsabilità che in tempi differenti era la responsabilità dei profeti. Egli deve parlare, deve potersi chiamare con il nome e cognome di Eliza Macadan o di tanti altri ancora; non deve e, per fortuna, non può tacere. E questo libro ne è prova e testimonianza; questo libro -”Il cane borghese”- dice a chiare lettere che il poeta esiste, che sta nel mondo in “borghese”, non veste una “divisa” riconoscibile; sta anonimo e comune, uno dei tanti, ma che egli c'è ancora, non è scomparso, non l'ha eliminato -il mondo- come categoria antropologica. Il poeta esiste. Esiste ancora. E resiste. L'umanità è ancora salva. Per il momento.
FRANCESCO PALMIERI
chiudetemi nella luna piena che solo il daimon mi possa strappare le parole accendo la foresta con la punta della matita verso l'inchiostro di china sul tavolo con la gamba di legno chiudetemi nella luna piena e ballerò divinamente impazzita
(Eliza Macadan, pag. 53)