G. Cristaldi su Orlando
![]() Mi fa male una donna in tutto il corpo
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autori: | Matteo Maria Orlando |
formato: | Libro |
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MI FA MALE UNA DONNA IN TUTTO IL CORPO
Un semplice richiamo
Verrebbe da non scriverla una recensione. In relazione all’uso, o alla funzione che ne deriverebbe, ove sicuramente il poeta avrà un ruolo marginale. Una recensione non è mai per il poeta, e se per un incidente manierista arrivasse a coinvolgerlo, sarebbe una faccenda di dissociazione psicotica per cui egli sarebbe il solo a leggersi.
Mi si chiederà cosa caspita voglia significare con questo: presto detto.
Il presentassente scritto non può rispettare i canoni di una recensione, non lo è, è invece una convocazione. Anzi, preferirei che fosse intesa come una richiesta, una supplica che tragga fuori il poeta dalla sua opera e dal folto post-moderno stilnovista in cui naviga. Perché lui non è più timoniere di se stesso, piuttosto è la compromissione viscerale in ciò che compone. Questo è un bene, sia chiaro, poiché esula il fastidio generato da un esercizio di stile, per dirla alla Queneau.
L’opera di Matteo Maria Orlando provoca una nostalgia dei tempi che non ho vissuto e che oggi denuncio, quasi che io li abbia trapassati, molestati, succhiati nell’intimo. I tempi in cui la donna, indipendentemente dal magnetismo ginecologico, stava sull’altare del mondo prim’ancora della legittimazione ecclesiale. Il suo merito infatti sta l’aver restituito ad un mondo attuale, immeritevole, l’apoteosi del cuore; un mondo reo di averlo condannato ad una latitanza, una reclusione, una prigionia.
Contrariamente a quanto si possa pensare, non è un’operazione semplice. Questo Orlando lo sa bene e da ottimo poeta quale è, non solo si produce con ineguagliabile dedizione artistica, ma tesse le trame affinché il parto giunga in una nitidezza metaforica tale da coinvolgere indistintamente qualsiasi tipologia di lettore. Con le dovute proporzioni, si potrebbe dunque sporgersi al testo così come Derrida o Deleuze si sporsero a Carroll e al suo Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, ovvero decostruendolo.
Dietro ogni semplicità esiste un lavorio immane.
Bene, leggendo Mi fa male una donna in tutto il corpo lo scomporrei in tre fattori principali: la donna, la natura e la geografia. Avviluppate tutte da un evocativo e continuo slittamento storico. Mi si dirà che il femmineo sia una costante e che non occorra decostruirlo in tre componenti, ma così facendo incorreremmo in una parzialità. Di parzialità infatti si parlerebbe se estromettessimo dall’analisi il poeta stesso, il ruolo che si è accordato nella stesura, ovvero la fusione quasi suicida descrittavi all’inizio.
In questa visione il femmineo è una recinzione che limiterebbe il perenne spaziare nei due sessi: in ogni verso è come se si percepisse l’andirivieni tra il se stesso poeta e il se stesso donna, natura, geografia. Parla dall’interno, quasi che sia in un pozzo aureo e dal fondo disegni i moti lunari, non parla da osservatore. Ciò sublima tutto, scavalca ogni ordinario giudizio sulle tecniche compositive. Avviene lo smussamento di certa articolazione del pensiero grazie ad una esposizione cardiaca soverchiante, l’unica in grado di stabilire l’insorgere naturale del verso.
Nel parossismo emozionale sembra quasi che siano le sillabe medesime ad affidarglisi.
Fai tu, dicono, siamo donne anche noi.
Giuseppe Cristaldi