G. P. Grattarola per D. Santoro
![]() Sulla strada per Leobschütz
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autori: | Daniele Santoro |
formato: | Libro |
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Gian Paolo Grattarola su Mangialibri per Daniele Santoro
Sulla strada per Leobschütz
Le aberrazioni mostruose di un Mengele che “accurato, solenne nella sua uniforme verde/ dirigeva l’orchestra con abnegazione/ grande// tre battute a sinistra, una battuta a destra/ e mai che finisse il Melodramma”. Le disumane condizioni degli internati: “voi non sapete un uomo che significhi/ sfinito, sfilare nudo a passo militare/ il piede congelato nel suo zoccolo di legno/ malgrado la diarrea gli coli per le cosce/ o gli dolorino i testicoli per un edema di digiuno”. La figura sinistra e inquietante del kàpo che “diciamocelo, non deve dispiacere ai Suoi padroni”. Gli stupri perpetrati su donne denutrite e indifese: “lei si è lasciata fare, nuda non ha reagito/ ma sonagliere d’ossa, senza un grammo/ d’occhi, sfinita per la fame, indifferente”. La lotta per la sopravvivenza che sovverte i vincoli civili e famigliari: “divorato il suo pane/ allora il figlio guardò il papà in cagnesco/ (che se lo smollicava ancora piano piano/ il suo) e gli si avventò contro”. Gli orrori che si consumavano nei campi di concentramento rivelano scenari impietosi di degrado umano la cui eco non si spegne nel tempo “ se a liberarci dall’angoscia è giusto una misura di stupore”…
“Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro. E ciò avvelena anche la consapevolezza del perché è diventato impossibile scrivere oggi poesie”. Per fortuna questa celebre affermazione, formulata dal filosofo ebreo Theodor W. Adorno nel 1949 – poco dopo il suo ritorno in Germania dall’esilio americano – è stata fino a oggi ampiamente smentita. Numerosissimi sono anche i poeti che si sono misurati con il tema stesso dell’olocausto lasciandoci pagine indimenticabili. Tra i contemporanei ci pare doveroso segnalare questa nuova raccolta del salernitano Daniele Santoro, classe 1972, che in questa sua ultima raccolta ne rievoca la memoria con componimenti ispirati da un profondo dolore civile. Vere e proprie istantanee di violenza e sofferenza, i suoi versi danno vita a un’opera dura che guarda al passato con un misto di angoscia e rabbia andando oltre la pura evidenza dei fatti evocati. La silloge è un itinerario per episodi simbolici della vita di un campo di concentramento, un collage agghiacciante di memorie, le cui fonti vengono riportate a piè di libro, rivisitate con una sensibilità poetica che mai indulge al patetico, sorretta dalla forza dura, quasi minerale degli eventi, e che alla fine s’illumina di un’invocazione etica.