Giorgio Linguaglossa per «Sbiancante» di Annachiara Marangoni
![]() Sbiancante
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autori: | Annachiara Marangoni |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Il Realismo terminale, fondato da Guido Oldani nel 2010 con l’omonimo manifesto,[^1] nasce come risposta alla trasformazione radicale del rapporto tra uomo, natura e oggetti e dalla crisi della forma-poesia basata su un realismo mimetico del quotidiano. In un mondo dominato dalla tecnica e dal consumo, la natura retrocede ad “azionista di minoranza”, mentre oggetti e merci diventano soggetti principali della vita quotidiana. L’assunto di fondo è che l’uomo contemporaneo viva in simbiosi con gli ogtti artificiali, fino a imitarle: il linguaggio poetico, di conseguenza, non può che rispecchiare questa condizione. Oldani ha proposto una scrittura breve, icastica, fondata su immagini immediate e stranianti, spesso strutturate secondo una logica di capovolgimento: l’uomo visto come oggetto, l’oggetto come soggetto. Questa prassi poetica si colloca accanto ad altre linee della poesia contemporanea: il tardo neosperimentalismo di derivazione novecentesca, le scritture postmoderne fondate sul collage e sulla citazione e, infine, la più importante: la poetry kitchen e distopica, ovvero, la hilarocomoedia che mette in scena il vuoto ontologico e la caducazione significazionista delle parole tutte attraverso il mixage auto ironico e derisorio di tutti i registri linguistici, nessuno escluso, tutti posti su un medesimo piano ontologico all’interno del Collasso del Simbolico, ovvero, del collasso di tutti i linguaggi. Rispetto a queste correnti, il Realismo terminale si distingue per la struttura denotativa del linguaggio, il suo monolinguismo, per l’offerta di un modello riconoscibile, sintetizzabile in una formula abbastanza semplice: il primato degli oggetti e la marginalizzazione della natura.
L’assunzione del paradigma terminale
In questo orizzonte, Sbiancante si configura come un’opera interna alla poetica oldaniana, ma profferita con una voce riconoscibile. Oldani, nella prefazione, sottolinea come la scrittura dell’autrice altoatesina segua un andamento “a tornanti”, progressivo e serrato, senza indulgere in dispersioni.[^2] Secondo il poeta milanese la brevità è oggi una necessità: in un’epoca di surplus informativo, solo la forma breve riesce a restituire l’immediatezza del reale. Il titolo, Sbiancante, è emblematico: un termine domestico legato al mondo della cancelleria e dei detersivi, che qui assurge a categoria estetica e, addirittura, post-metafisica. “Sbiancare” significa pulire, ma anche cancellare; significa illuminare, ma anche sterilizzare. È la metafora di un mondo che si discolora, che perde colori e vitalità sotto l’impatto dell’artificiale.
Esaminiamo alcuni versi, ad esempio “Pesci piccoli”.
«Affacciati dai quadrati della rete / i pesci piccoli sospirano pensanti. (…) da un’argentea confezione di sardine, / sdraiati, i pesci piccoli si credono sicuri»
Il testo mette in scena il paradosso centrale del Realismo terminale: i pesci non sono più animali marini ma prodotti confezionati. La rete non è soltanto quella dei pescatori, ma anche la griglia del packaging e del mercato. La natura è già mediata, mercificata, “inscatolata”.
“Il barbone”
«Il sole è il lampione della strada / che gli fa da materasso, pressappoco»
Qui il corpo umano è descritto per analogia con oggetti artificiali: il lampione sostituisce il sole, il marciapiede diventa letto. La miseria sociale è tradotta in immagini di sostituzione, dove l’oggetto linguistico di Sbiancante urbano sembra fagocitare l’habitat naturale.
“Neve di calce”
«Scende ora come calce al muro / la neve, da un cielo nylon traforato».
La neve, simbolo naturale per eccellenza, viene paragonata alla calce e al nylon: materiali artificiali e industriali. L’immaginario naturale sopravvive, ma già filtrato dall’artificio: la neve non è più fenomeno atmosferico, ma sostanza edilizia.
“La terza guerra”
«È una scodella la terra, ora rame / gli abitanti vivono morendo / sotto un cielo non di stelle, solo droni»
La catastrofe bellica è espressa attraverso il linguaggio degli oggetti: scodella, rame, droni. L’immagine della “terra-scodella” restituisce la miniaturizzazione del mondo e la sua riduzione a utensile domestico. Lo stile di Marangoni è conforme ai principi del Realismo terminale: Brevità, essenzialità, testi spesso ridotti a una sola immagine forte con prevalenza del sostantivo e dell’oggetto rispetto al verbo e al soggetto. Un assioma del Realismo terminale è l’impiego dell’“analogismo capovolto”: l’uomo è paragonato a un oggetto e la natura assimilata al manufatto. Il lessico è quello del quotidiano: lampioni, lattine, scodelle, materasso, pesci, calce, nylon, droni. Il risultato è una poesia che funziona come dispositivo di percezione: il lettore è costretto a guardare la realtà attraverso la lente deformante ma rivelatrice dell’analogismo terminale.
Quanto al posto di Sbiancante nella poesia contemporanea si può rilevare che rispetto ad altre poetiche odierne, il lavoro di Marangoni si colloca con evidenza nell’alveo dello stilismo oldaniano. Con la poetry kitchen e distopica, condivide la messa in scena di un mondo di artificio, ma ne differisce per il tono assertorio del suo linguaggio, per l’assenza del derisorio e per il linguaggio che resta di fatto, monolinguistico, nonché per un raggio più limitato rispetto al distopico di procedure e stilemi letterari. Con il tardo neosperimentalismo, condivide l’impiego di un linguaggio basso. Con gli esiti del postmoderno, condivide l’attenzione al frammento e al citazionismo, ma senza l’indifferenza iconica tipica di quel modello.
Il mondo linguistico che emerge da questa poesia è “sbiancato”: sterilizzato, artificializzato, illuminato dalla luce dei LED. Sbiancante si configura come una delle espressioni più coerenti e mature del Realismo terminale, capace di coniugare fedeltà al paradigma oldaniano e voce personale. La Marangoni dimostra come la sua poesia non sia soltanto l’applicazione degli assiomi di un manifesto programmatico, ma una metodologia del poetico, capace di trasporre in versi la trasformazione antropologica e oggettuale della nostra epoca e che magari in futuro sarà in grado di sviluppare una poesia che vada oltre la struttura denotativa e performativa delle poetiche contemporanee.
La struttura denotativa e quella performativa del linguaggio non sono caratteri originari e imperituri della lingua umana, ma appartengono pienamente alla storia della metafisica occidentale fondata nell’esperienza di parola (lo speech act di Austin) nella formula giuramento. Con la «morte del sacro» e del linguaggio che lo nomina, questa storia giunge a compimento, come mostra anche la contemporanea decadenza del giuramento nelle nostre società e la polarizzazione della politica in tifoserie fidelizzate da stadio. Così, una vita sempre più ridotta alla sua realtà depoliticizzata e puramente biologica e una parola sempre più vuota e priva di significato segnano il momento critico in cui la metafisica, e con essa la sua politica e il suo linguaggio, dovranno giungere ad una svolta.
(Giorgio Linguaglossa)
Note biobibliografiche
[^1] G. Oldani, Il realismo terminale, Milano, Mursia, 2010.
[^2] G. Oldani, Prefazione a A. Marangoni, Sbiancante, Milano, La Vita Felice, 2025.
[^3] A. Marangoni, Sbiancante, Milano, La Vita Felice, 2025.
[^4] Per un confronto: G. Linguaglossa, Critica della ragione sufficiente. Verso una nuova ontologia estetica, Roma, Progetto Cultura, 2018; AA.VV., Manifesto della poesia kitchen e distopica, Roma, Progetto Cultura, 2020. Cfr. anche il Manifesto della hilarocomoedia – lombradelleparole.wordpress.com settembre, 2025.
da Sbiancante Sbiancante Dalla finestra un lampione silenzioso proietta fini schegge di neve che, come calce stesa, sbianca dove arriva. Le cose diventano frattali esplosivi, strade e segnali, un chiaro disegno. Al sole poi spetterà l’esorcismo. Abat-jour Infisso al cielo come un paralume trito al sole della tapparella, il giorno mi accarezza elettrico la mano e se voglio c’è l’interruttore a creare una pallida atmosfera, dal muro tolgo poi la spina per la notte ho la mascherina. Dalla cruna Il mondo l’ho sognato dalla cruna le scie fanno carta da parati e il canto delle suole sull’asfalto mette in aria delle note battezzate. Paralizzata l’erba dalla brina, se va bene beve dall’orina il parco di macchine qui accanto è un bestione semiaddormentato. Sete Sta un cervo senza bosco sulle zampe, come un lampione sul cemento traguardando, sa che l’ombra, tapparella della luce, è piena di sostanza. Ora sazia la sete il rubinetto insieme a tutti, il cassonetto è la mattanza.