Il mondo, questo mondo, la poesia (di Lino Angiuli)
![]() Continente poesia (3 vv. in cofanetto)
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formato: | Libro |
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V. IL MONDO, QUESTO MONDO, LA POESIA[1]
Anche quando si esprime in forma letteraria, l’uomo contemporaneo pare oscillare tra due tendenze che spingono, rispettivamente, verso la sacralizzazione, l’una, e verso la secolarizzazione, l’altra. Tendenze che, a causa della profonda strutturazione delle categorie mentali sulle quali si regge il pensiero occidentale, agiscono in termini fortemente antagonistici, come se ognuna di esse dovesse coattivamente dimostrare che… tertium non datur, per cui si appalesa vano ogni tentativo di scambio/interazione/sintesi.
Va da sé che ognuna delle due tendenze dispone di propri apparati teorici, strumentazioni retoriche, applicazioni testuali, e che, con quell’andamento altalenante tipico della nostra civiltà, ora l’una ora l’altra riescono ad assumere una posizione egemonica. Il che – evidentemente – avviene in reciproca relazione con i fatti sociali, come ci ha dimostrato quel Mukařovský che, tra il 1931 e il 1937, ha pensato e insegnato proprio qui, a Bratislava, e dalla cui lezione abbiamo imparato (pur con alcuni distinguo) a superare la diade contenuto-forma e a integrare, nell’ambito della produzione letteraria, il ruolo del fruitore singolo e collettivo[2].
Beninteso: il rapporto tra le due tendenze sopra dette potrebbe tradursi in salutare dialettica e in proficua ricerca, se fosse sorretto da profonde motivazioni conoscitive e se non finisse spesso nelle spire liturgiche di quel finto movimento autoriproduttivo che caratterizza, a tutti i livelli, gran parte della mentalità contemporanea.
Orbene, una delle principali possibilità per rendere meno apparente quel movimento passa, almeno per quanto riguarda l’ambito della scrittura, attraverso una forte modificazione dei rapporti tra mondo e letteratura, e viceversa.
Per questa ragione ho voluto intitolare la mia comunicazione Il mondo, questo mondo, la poesia, con una sequenza concettuale orizzontale, priva di gradualità gerarchiche, laddove l’aggettivo dimostrativo questo è portatore di esorcismo. Anche la nozione di mondo – infatti – può essere, a seconda dei casi, sacralizzata o secolarizzata, subendo trattamenti e formalizzazioni antitetiche.
Se sottolineo l’aggettivo questo è perché, fra i tre elementi allineati, mi sembra quello più sacrificato nell’ambito della produzione poetica.
È da anni che, nella poesia che scelgo di leggere e in quella che mi raggiunge per essere letta, avverto la latitanza di questo mondo. Nelle migliaia di versi che mi tocca quotidianamente affrontare, anche per ragioni professionali, trovo scarsissime tracce di quanto mi tocca quotidianamente assimilare da giornali, radiogiornali, telegiornali. Non trovo traccia, per esempio, del commercio dei bambini, delle imprese mafiose, dei disastri ecologici, delle guerre, delle crisi di governo, della droga e di tutto quel ‘bendidio’ in cui siamo continuamente infarinati e fritti dai mass-media.
Né mi giungono, da questi versi, le puzze e gli odori della Storia, i rumori del calendario, le convulsioni della geografia, le immondizie del pianeta, i pensieri dei benzinai, l’eco dei flussi migratori, le grida delle specie in estinzione. Mi giungono, se mai, fatte salve alcune eccezioni che sembrano confermare una diffusa regola, una Storia disossata, un tempo scarnificato, uno spazio dissanguato. Insomma, potrei sbagliarmi, ma ho l’impressione che la poesia si sia specializzata nel fungere da camera di decompressione, da filtro per vaporizzare e sterilizzare: una sorta di depuratore manovrato da un ideale dell’io che, nutrendosi di mitologie autopromozionali, si è ipertrofizzato e sublimato oltre la giusta misura.
Lo so: mi si dirà che la poesia e il poeta sono chiamati a produrre una digestione simbolica del mondo e una metabolizzazione metaforica della realtà; che essi debbono oltrepassare le macerie della cronaca e superare il dato particolare per raggiungere una cifra universale eccetera eccetera.
E io, allora, dovrò dire che non esistono il poeta e la poesia in assoluto, se non come astrazioni che vanno costantemente storicizzate, contestualizzate, materializzate.
Ricorderò che anche il Verbo per antonomasia scelse un bel giorno di farsi carne immergendosi nella Storia e nella storia.
Dichiarerò che, tra le mille poesie possibili, preferisco quella che aspira a testimoniare piuttosto la piccolezza contraddittoria che la grandezza finta e illusoria dell’animale uomo. E che l’aggettivo universale, di marca etnocentrica, è forse opportuno sostituirlo con l’aggettivo comune, sì da riequilibrare il rapporto tra l’io e il noi, così sbilanciato nella dimensione poetica ancor oggi dominante. Altre cose potrò dire, parecchie altre, prima di concludere che solo un confronto diretto (oltre che ‘creativo’, ovviamente) con questo mondo può consentire alla poesia di stare dentro il mondo, un po’ come – per altri versi – si può dire del rapporto con Dio, che non diventa certamente migliore se sceglie di fuggire dal quotidiano verso una dimensione di salvezza metafisica individuale.
Tornando ora al primo concetto qui espresso, è possibile che, così facendo, anche il rapporto tra sacralizzazione e secolarizzazione possa riequilibrarsi e sperimentare una terza via.
Dico di quella terza via lungo la quale devono cadere ancora molti muri tra il poter, il voler e il dover essere dell’uomo.
(da Lino Angiuli, La penna in fondo all’occhio: esercizi di lettura/scrittura, Stilo, Bari, 2013)
[1][Pubblicato in «in oltre», XI, 11, giugno 1993, pp. 149-150; intervento tenuto il 23 giugno 1992 presso l’Accademia delle Scienze di Bratislava, in qualità di rappresentante dell’UESA (Unione Europea Scienziati e Artisti)].
[2] [Il pensiero strutturalistico di Jan Mukařovský è stato presentato in Italia attraverso La Funzione, la norma e il valore estetico come fatti sociali, Einaudi, Torino 1971]