L'EstroVerso 13.3.13: Rita Pacilio
![]() Gli imperfetti sono gente bizzarra
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autori: | Rita Pacilio |
formato: | Libro |
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Rita Pacilio si racconta e presenta il suo ultimo lavoro su L'EstroVerso (13.3.13)
Potrei ricondurre la mia struggente voglia di conoscere anche l’inconoscibile e il mio grande desiderio di catturare l’effimero, che spesso è pervaso da un destino illusorio e di apparente splendore, che mi porta a impiegare il mio tempo in modo frenetico, a molti motti latini come Carpe diem, Nulla dies sine linea. La gioia di procedere nella crescita culturale come sociologo, poeta, scrittrice, musicista nasce dalla esigenza incalzante di superare i miei limiti, di amplificare le mie idee del mondo. Ho necessità di avere confronti continui con l’esterno, che irreparabilmente muta, per essere pronta verso la proiezione del futuro, che inevitabilmente trasforma le cose. La mia formazione, psicosociologica, mi spinge ad avere visioni empatiche degli altri esseri viventi: sono attratta quasi inconsapevolmente da scene spossate e in tensione verso sfumature sempre più in bilico e dolorose, estreme. Nel mio ultimo lavoro poetico, Gli imperfetti sono gente bizzarra, La Vita Felice, 2012 mi nutro di lacerazione e di pietas mentre cammino nei reparti dell’ospedale psichiatrico, come poeta-sorella, a far visita a mio fratello Alfonso. Attraverso il corridoio delle stanze del male, del dolore inferto, subito e di quello osservato, visto ‘da fuori’ entrando nei meandri di una diversità che pur ci appartiene. L’orfanità, il dolore, l’abbandono, il corpo ferito dall’imperfezione, i sentimenti di angoscia e di solitudine psicologica e sociale sono i temi dominanti attraverso cui passa la mia parola che spesso, attraverso la metafora espressionistica e surreale, denuncia la tragicità del reale. Parlo della vita e della morte, della coscienza e della fragilità del mondo, della carne e dello spirito, dell’inizio di noi stessi e del ritorno alla contraddizione che siamo utilizzando la parola poetica come l’urlo e la denuncia a non declinare il mondo secondo gli stereotipi. È un libro che mi è costato uno scavo interiore. Ho denudato la mia rintracciabile fisicità per allinearmi allo schema dello sdoppiamento mentale e di coscienza al fine di poter osservare, con il terzo occhio, la libertà del vagabondare plurimo e legittimo della mente umana di fronte allo straordinario e difficile mondo dell’incoscienza. Ho incontrato nel mio peregrinare il lago di Nemi, un lago vulcanico, con cui mi sono identificata per la profondità tenebrosa ed evocativa che la sua immagine suscita a me e a molti visitatori. Le strade limitrofe con le prostitute giovanissime di colore, che delineano l’imperfezione sociale, hanno rappresentato il primo contatto con cui la mia persona si è trasformata in un viaggiatore solitario ed eterogeneo. Sono nata a Benevento nell’estate del 1963, quasi cinquanta anni fa e sono la terza di sei figli. Ho imparato a utilizzare la poesia come unico rifugio per proteggermi dalle difficoltà che la vita mi ha riservato. Il senso di solitudine e di separazione, insorto a soli nove anni, dopo la morte prematura di mio padre e alla malattia di mio fratello, hanno abitato da sempre la mia scrittura poetica, seguita e presto invogliata dalla mia maestra delle scuole elementari che mi ha guidata, nei primissimi anni del mio percorso culturale, verso le letture di Ada Negri e Aldo Palazzeschi. Gli incontri importanti, per la mia crescita nella conoscenza e poi nella scrittura, sono avvenuti grazie ai libri che ritengo restino la manifestazione più propositiva per l’apprendimento istantaneo capace di avere prolungamenti spaziotemporali e germinativi. Oggi è molto complicato fare poesia. Lo stile “creative writing” proposto dalla poesia americana ha portato la scrittura verso uno stile scevro da forme retoriche utilizzando l’andare ‘a capo’ e l’assenza di punteggiatura o la sospensione della spaziatura del foglio, come una nuova forma di fare poesia. La legittimazione, da parte della critica moderna, a ‘fare poesia’ in questi termini, ha incrementato la nascita di nuove Case Editrici, di laboratori di scrittura creativa e di salotti letterari utili a diffonderne la produzione senza dare valore al vero talento letterario che si disperde nel caos dei cataloghi. Il momento di crisi economica, nazionale e mondiale, ha avuto una forte ripercussione sul mercato editoriale e di conseguenza coloro che sono stati pubblicati, naturalmente a pagamento, si sono sentiti, a pieno diritto, poeti e non autori: credo che qui, nei due termini, ci sia la grande e sostanziale differenza. Il Poeta, quello con la P maiuscola, oggi, come sempre, ha il compito di educare gli esseri umani alla rivelazione dell’essenza del possibile. La poesia deve avere il compito fondamentale di comunicare, come cassa di risonanza, che il codice simbolico del mondo è un lascito di un varco creativo e benefico delle vicende umane che universalmente riguardano le singole esistenze. La poesia nasce dalla realtà per poi disgiungersene in modo semplice, quasi come per creare una seconda coscienza, per erigere una distanza che discenda dalle cose stesse. Il poeta deve essere visionario e attento conoscitore degli innesti inquieti che, implacabile, la vita riproduce con spontaneità, senza debolezza. Per me la poesia resta motivo di introspezione del mondo. L’uomo deve tendere al senso più profondo e sfuggente della vitalità e della morte delle cose per entrare nel mistero del cosmo, in sintonia con l’altro da sé e bisogna ricostruire in noi emozioni meno ciniche da comunicare al TU – MONDO. Sono convinta che ogni emozione galleggia nelle vene del nostro corpo: siamo un corpo fatto di sentiti. L’anima, quindi, ci parla attraverso le sensazioni fisiche permettendoci di conoscere il ‘valore adattivo’ di noi stessi nella immediata percezione del sentimento come sentito e come vissuto concretamente.
Si increspa il lago di Nemi
in un gesto di doloroso silenzio
a vederlo mordere nuvole
l’affanno arriverebbe in cima.
Salgono visitatori
in una strada scoperta riaffiorano
in mezzo alle piante
ragazze di colore nude a metà
pascolano paure
e cosce raggelate. E fissano
l’inquieta luce della sera
come fosse un contatto.
Chiedo perdono al mondo/ come lo chiedo a te/ per il mio
peregrinare stanco/ per l’urlo muto/ per la corsa che mi
affanna e dice./ Il destino è un cerchio senza fine.