Lucetta Frisa per Stefano Vitale con «La saggezza degli ubriachi»
![]() La saggezza degli ubriachi
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autori: | Stefano Vitale |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Articolo su blog perigeion
Già il titolo di questo pluripremiato libro, La saggezza degli ubriachi, è un’affermazione perentoria e intrigante: dunque, gli ubriachi sono saggi. L’ubriachezza, o meglio l’ebbrezza, fa spostare di molto la percezione del mondo: da quell’angolatura, tutto risulta più vivacemente vicino alla Realtà – non a caso scrivo questa difficile parola in maiuscolo (forse un quadro di Van Gogh renderebbe un po’ meglio l’idea di cosa intendo dire). La Realtà maiuscola comprende tutti i suoi diversi e variegati piani – quello esterno, quello interiore, quello del presente e del passato e quindi anche del futuro che, più propriamente, si chiama veggenza. L’ubriaco è saggio, perché parla da disinibito, segue il flusso impetuoso di pensieri, analogie, emozioni, sensazioni, si lascia andare senza maschere (è totalmente sincero, sinceramente disarmato, smascherando a sua volta chi le maschere le pratica abitualmente). In altre parole, chi scrive poesia si trova in uno stato simile a chi è preda dell’ebbrezza (Dioniso docet), si alza di qualche centimetro al di sopra della terra dove la panoramica si amplia e si approfondisce lasciando fuori campo i dettagli superflui e si concentra sulla visione essenziale delle cose. Forse il primo passo di questo viaggio iniziatico sarà quello di apprendere la conoscenza di sé per potersi liberare del proprio io e della propria storia, liberarsi di queste scorze e passare oltre.
Vitale, nel suo affrontare “la saggezza degli ubriachi”, intreccia una poesia composta e rigorosa, intimamente sensuale, ma con il senso della distanza necessaria a chi scrive o fa arte: se non fosse così, non potrebbe comunicarci quel senso pacato e insieme drammatico di umanità che lo pervade, unito a quella “libertà” sensitiva-sensoriale che pesca nel torbido fluttuare delle emozioni.:
“La forza del ragionamento
è poca cosa
dinanzi al torbidìo
d’acque salmastre che nascondono
farfuglianti ombre
di un delirio di purezza.
La mente intanto resta in solitaria attesa
nel freddo suo naufragio”
.
Il risultato, sulla pagina, è una “poesia pensante” come giustamente la definisce il prefatore del libro, Alfredo Rienzi. Ce lo testimonia già anche a prima poesia che apre il libro;
“Ci muoviamo verso il fondo
ignari archeologi di noi stessi
rovistiamo tra i detriti
cercando i fossili della speranza”
È un enunciato programmatico, come poi verrà sottolineato da quell’altra bellissima poesia che ritroviamo sul retro di copertina e che mi piace riportare per intero.
“Vivere è trattenere rabbia e abbagli
chiudere loro il campo
che non facciano altro scempio
e andare oltre il vino versato
il bicchiere frantumato, la giacca macchiata,
la parola sbagliata, il mazzo di fiori dimenticato,
le mele lasciate marcire.
Siamo fatti della stessa materia dei nostri sbagli
distratti da una mano invisibile
che rovescia il respiro
nella torsione del’attimo sgrammaticato
in cui precipitiamo trascinati per il collo
a una festa d’ubriachi”.
Quella sostituzione, nella famosa frase shakespeariana (“Siamo fatti della stessa materia con cui sono fatti i sogni”) della parola sogni con sbagli, che cos’è se non una scelta etica e illuminista? È la consapevolezza estrema di una realtà umana incapace di comandare i sogni ma, almeno in parte, efficace a gestire la vita stessa usando proprio gli strumenti della consapevolezza.
La consapevolezza dell’ubriaco, allora? È forse questo il massimo della saggezza, il punto di arrivo del viaggio?. C’è da chiedersi se noi iniziamo a muoverci a partire da uno stato di incoscienza primordiale, cioè divina o animale (a seconda dei punti di vista), per approdare infine nel Mistero dopo le dolorose prove della consapevolezza? L’ebbrezza o la saggezza dell’ebbrezza è un punto di partenza o un punto di arrivo? O entrambi? Una saggezza naturale di cui siamo dotati da bambini per giungere a una saggezza adulta che è frutto sofferto ed elaborato di conquista, e poi di nuovo tornare a dissolverci nell’’ebbrezza dell’Infinito o del Nulla?
La poesia di Vitale, come abbiamo detto, è formalmente composta, antienfatica, non sperimentale, dunque sobriamente classica seppure dalla tessitura ricca e vibrante. Si avverte il respiro profondo del poeta che sa essere lucidamente umano e lucidamente spirituale, di chi controlla il caos con una chiarezza luminosa senza tralasciare di aprire squarci sulla drammatica duplicità della realtà: sia la minuscola come la maiuscola.
“L’inquietudine nasce dalla leggerezza
non serve battere i pugni, strapparsi i capelli,
basta l’incanto di una carezza
per rendere terribile lo sguardo”
E, in un’altra poesia, conferma la necessità di una tranquilla accettazione:
“La lezione dei fiori
è nel loro essere fiori, e questo basta,
mondo che rinasce
nella pura insolenza del vivere”
Ma questa “insolenza” è anche il nostro passo nel mondo, la personale andatura del poeta. “La poesia è il sapere erotico del mondo” (Maria Zambrano).
L’ultima parte del libro di Stefano è ispirata e dedicata ad alcuni brani musicali da lui privilegiati, e perciò alla musica tout court, regina incontrastata della Realtà tutta. Sono testi molto intensi da leggere a voce alta e da meditare
“…Verso la foce o verso la sorgente?
Questo non lo sappiamo
così restiamo sulla via a ricontare i passi
del nostro incerto andare.
(J. Brahms, Klavierstücke op.119 e F. Schubert, Sonata per piano n.23)
Confesso che a questa passione per la musica ho dedicato personalmente un intero libro di poesia intitolato L’emozione dell’aria e credo che il nostro Autore sarà lieto di non sapersi solo in questa esaltante esperienza che sgorga quasi spontaneamente insieme alla scrittura e alla pratica della poesia (con la sua musica tutta particolare), ed è uno degli aspetti della Realtà che motiva l’inquietante bellezza del vivere, malgrado i suoi tanti imprescindibili aspetti negativi.