Marco Bellini su Blanc de ta nuque, il blog di S. Guglielmin
11.07.2014
![]() Sotto l'ultima pietra
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autori: | Marco Bellini |
formato: | Libro |
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Vincitore dell’European poetry Tournament 2013, Marco Bellini è un poeta lombardo che cerca una parola nitida, un verso che, nominando il visibile, intessa i fili segreti, i non detti, e quel tempo reticolare che ci tiene in piedi, a consistere in quanto “corpo e gesti sopra le suole”, senza pretese, se non quella di mantenere dignità e passione verso la natura e gli esseri viventi. Sotto l’ultima pietra (La Vita Felice, 2013) esprime questa poetica, raccontando un viaggio lungo l’Adda, dalla sorgente predatrice (nasce infatti “dalla morte dei ghiacci”) a quando il fiume confluisce nel Po. Un viaggio, questo del libro, anche temporale, un lambire memoria e lutto, innocenza e superstizione, toccando toponimi raffigurati in una cartina liminare, a garantire concretezza allo spazio, verità dei luoghi, per quanto, nel profondo, tutto sia bagnato dalla precarietà della morte: dal ponte dei suicidi (il San Michele) al cadavere del lago, dal gioco infantile del calcio all’ombra di via Cesare Battisti, alla casa operaia di Crespi D’Adda, un tempo parte di un quartiere simbolo dell’industrializzazione e ora vuota, per la dipartita di un uomo senza nome, naufrago della storia.
Tutto il libro, invero, è un lungo peregrinare ai margini della modernità, nella fatica della navigazione a vista, laddove manca certezza lavorativa o futuro comunitario. La seconda sezione in particolare, “Sotto l’ultima pietra”, può essere letta come una serie di canti dell’estinzione, della sopravvivenza residuale: c’è un campo profughi, ci sono le “rose” di Sarajevo, che “hanno il colore di un’emorragia” perché tracce ineluttabili dei bombardamenti, e ci sono le ombre dei morti, come la macchia d’uomo a Hiroshima e la gattara, straniera tra gli umani e madre dolcissima delle creature selvatiche. Le due sezioni sono complementari, a raccontarci un presente in perdita, inautentico, da cui fuggire, per quanto possibile, tornando alla natura. Ecco allora che “il sentiero di montagna sembra il rimedio”, un’oasi temporanea, così come osservare la gente vivere, coglierne i dettagli come un entomologo pietoso, che sa leggere le vibrazioni più intime nei gesti quotidiani e ce le restituisce asciutte, nella loro rarefatta imprendibilità: “Il bambino sul cavallo a ogni giro / saluta l’incontro con i genitori / che a ogni giro rispondono, sorpresi: / conferma dello stesso poco, / di un’appartenenza […]”.
La terza sezione, “DNA”, allarga il tema ad altre figure umili (il muratore, il fruttivendolo) e a figure parentali, nelle quali l’io lirico si specchia: “A me – scrive in chiusa a una poesia sull’orto del padre – manca solo la cicatrice che lui portava”. E, a proposito del figlio “che sta ancora dentro l’imbrago”, osservandone “le scarpe da jogging sul balcone”, vede se stesso adolescente, la stessa grinta e forse gli stessi sogni.
La quarta sezione, “Geometrie liquide”, rimette al centro sia la natura (con la sua memoria conservativa, anziché distruttrice come capita nell’età della civilizzazione), e sia l’abitare intaccato dal tempo dell’abbandono: le case “di un giallo malato” sono ora prede di insetti e piante, che si riprendono lo spazio antropico. E un tremore caro a Leopardi, per come nulla resti, passa improvviso, “un fiato scuro / che non penseresti mai sul tuo davanzale”, un tremore che aleggia in molte pagine, con un pessimismo che si dava più attenuato in Attraverso la tela (La Vita Felice, 2010) dove non mancano “un portico acceso di pannocchie”, una polenta e un “contadino che legge le piume / del tordo, segno buono per attaccare l’aratro / e ricominciare il vapore”, per quanto sia già chiaro al poeta che noi comunque sfioriamo entro una cornice gelida e minacciosa, un misto di destino labirintico e civilizzazione disumana. Alla quale contrapporre relazioni umane cercate nella loro forza creaturale, in sintonia con la “calda vita” di sabiana memoria, e parole nate dall’esperienza ordinaria e rimesse in ordine con la poesia, per districarsi un poco dal rumore della chiacchiera e dal caos che la vita è per natura.
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