Marco Scarpa per Nicoletta Bidoia
![]() Come i coralli
|
|
autori: | Nicoletta Bidoia |
formato: | Libro |
prezzo: | |
vai alla scheda » |
Quest’anno per Nicoletta Bidoia è stato l’anno del ritorno ai versi pubblicati, con il suo quarto libro, Come i coralli edito da La vita felice. Ci ha messo sei anni a dare un seguito al precedente L’obbedienza, edito per Lieto Colle e questo credo sia un bene. Non certo per le pecche degli altri ma perché si sente tra questi versi un respiro lungo, una meditazione attorno a quanto la vista ha catturato.
Ci sono al suo interno peregrinazioni che attraversano il secolo scorso in un andirivieni di flash familiari ma pure peregrinazioni nel presente, siano esse tra le cime di una montagna o sedute a un incontro di poesia. La vena narrativa non si esaurisce nel riportare scorci o impressioni ma rimane pretesto e ponte di collegamento per travalicare i tempi diversi degli accadimenti, intrecciando un’unica storia che si richiama senza sosta.
Il libro si divide sostanzialmente in tre sezioni. La prima si intitola Novecento e ripercorre appunto il secolo passato raccogliendo le gesta dei nonni, i bisnonni, i prozii e i parenti tutti innervandole tra versi che non hanno molto di nostalgico ma anzi creano un raccoglitore di schegge di vita. Sono storie, brevi momenti o frammenti in frantumi delle molte figure che l’autrice ha visto o vissuto e sono raccolte come in un album di figurine, impressionate sulla carta. Tra questi quadri personali c’è un intero micro mondo composto dagli estremi, da chi preferisce cantare “faccetta nera” e chi invece “bandiera rossa” e in mezzo le colpe, l’ironia delle situazioni, l’obliqua sorte di molti, i drammi e le sventure. Colpisce soprattutto La solita storia, sorta di cronistoria della prigionia del nonno, ricordato nel lento peregrinare tra campi di lavoro, fabbriche di armi, vagoni dimenticati al sole sotto le bombe, improbabili fughe e tozzi di pane divisi tra decine di prigionieri.
Mentre tra i versi, che fotografano una fuga, leggiamo: “Levarsi la mattina fu guardarsi liberi / con le piume in testa che sembrano poesie” ci riappare inamovibile questo Novecento ingombrante che pure il nonno, negli ultimi anni di vita, non riesce a togliersi di dosso e così nemmeno noi, impegnati come lui a imprecare negli ultimi anni di vita “alla tv contro il Cavaliere”, ma sempre con in testa il paragone all’indelebile guerra.
La seconda sezione si intitola Silenzi e di questo si parla. Sottrazioni, echi, lampi tra detto e non detto, i segreti dei dialoghi connaturati così alle parole come ai silenzi e l’impressione di cosa serva in realtà per dire meno o per capire di più. Sottesa e costante pare la volontà di accoglienza in cui emerge il silenzio sia come forma del non dire, del non esporsi ma pure come ascolto nella sua bivalenza. Queste contemplazioni ritornano dunque al lettore un mondo della mente in cui le parole a volte vanno strette e la necessità di parlare o scrivere può diventare una forzatura.
Il passo dopo è appena oltre e la sezione successiva, dal titolo Parlami, prosegue questa disamina della parola. La voce, il dialogo e la volontà di dire sono protagonisti e pure salvezza, ancora, speranza e possibilità di contatto. L’adesione con il mondo passa attraverso l’esporsi della natura e l’esporsi delle persone e l’invito a parlare è forma d’accoglienza, è porgersi, come scrive Nicoletta Bidoia, “in attesa di un refolo che ci informi del mondo / e che si accorga di noi / del nostro lento bisbigliare.”
Questo approccio alla vita mostra un vivere senza quasi voler fare altro rumore, in punta di piedi, saldi e fiduciosi come dicono i versi: “Noi siamo qui, ci resteremo / e se serve inventeremo / una vittoria da fermi.”
Alcuni dei passaggi più significativi sono nel gruppo di poesie intitolate “Parlami” in cui questa richiesta ha le sembianze del grido antico, della speranza millenaria che sia preghiera e propensione a uno preciso stare al mondo.
Negli interstizi appare pure la resa, la consapevolezza che abituarsi a una quiete assonnata è probabilità concreta ma i rami a cui appigliarsi sono molti per non naufragare. Questi sono sia i parenti e gli avi con le loro vicende che ancora parlano ma sono pure molti altri morti, amici sinceri dell’autrice ovvero tutti quei poeti (Penna, Sereni, Caproni e più recenti come la Carpi) che letteralmente frequenta, fidati compagni di viaggio che, scrive, si possono trovare facilmente a casa sua, in un continuo andirivieni.
Questa la ricetta per contrastare ciò che a volte schifa: “Insegnate a vivere, d’accordo / ma come siete presi?”, “Siete vili come i vili, ma col mento alto”.
Qui risiede tutta la voglia e il progetto di distanziarsi da quell’orgoglio di atteggiarsi in un certo modo e riappropriarsi di uno scambio umano solidale.
Marco Scarpa