Marco Testi per Alessio Brandolini
![]() Nello sguardo del lupo
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autori: | Alessio Brandolini |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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Recensione di Marco Testi su Nello sguardo del lupo apparsa sulla rivista L’ALBATROS (Trimestrale culturale) - Anno XV, numero 4 (ottobre-dicembre 2014)
ALLA RICERCA DEL SENSO PERDUTO
Le nuove solitudini e la missione della parola nelle poesie di Alessio Brandolini
di Marco Testi
La passio contemporanea, servita come spettacolo lontano (nella partenza) e vicino negli arrivi, dai media, era stata già visitata da precedenti esperienze liriche di Alessio Brandolini, soprattutto in Tevere in fiamme (2008) e ne Il fiume nel mare, di quattro anni fa. Ora diventa in Nello sguardo del lupo (La Vita Felice, Milano, 96 pagine, 13 euro) universo, condizione propria di un oggi cui sfuggono, forse per la condizione miope dell’osservatore implicato nello spazio osservato, il senso e le cause. La lingua delle raccolte precedenti, che pure non sono lontanissime nel tempo, si è qui come emancipata dai tentativi di portare chiarezza nell’esistenza attraverso la capacità apollinea delle parole. Il discorso era incardinato sulla logica della comunicazione, anche se all’interno di una diversa disposizione ritmica e melica, mentre ora è libero di scoperchiare, dove possibile, il fondo, attingendo direttamente dalle scaturigini, dalle visioni, dalle sensazioni, mediate dagli accostamenti attivati dal vissuto e dalle frequentazioni culturali. Per certi versi è assai prossima – non solo cronologicamente – alla sua ultima raccolta di racconti Un bosco nel muro (2013), dove lo scrittore affonda il dito nella piaga dell’anomia e della solitudine con una scrittura sì referenziale, ma che cerca di dire gli incubi, le fissazioni, le manìe, i deliri di uomini e donne conquistati dall’altro, sia questo la persuasione mediatica che ci invita alla solitudine come libertà, o una patologia o qualcosa di impossibile a definire se non con parole arcaiche che rimandano ad altre forme di comunità e di simbolizzazione.
Già nella citazione in exergo del poeta sloveno Kajetan Kovič, “il vero nome delle cose / è nascosto” si nasconde lo statuto poetico di Nello sguardo del lupo. L’affabilità linguistica – quella che in tempo di mode narratologiche si sarebbe detta la funzione denotativa – non è più in grado di comunicare ciò che il paesaggio del momento propone, anche perché qui affiora il dubbio – assai antico, peraltro – che non sia che una faccia di una realtà diversa.
Come si diceva, alcuni elementi vengono da lontano, in parte dalle altre sillogi poetiche, in parte dalla prosa di Un bosco nel muro. Dalle prime arriva il motivo del sacrificio la cui ritualità rimane intatta, cambiando solo la modalità di attuazione. Il capro espiatorio biblico ed evangelico si era trasformato nell’opera di Brandolini nelle navi-sarcofaghi dei popoli del mare nostri contemporanei, e poi, nella narrativa, nell’anziano abbandonato e inaspettatamente “redento” dalla scoperta che una compagnia a pagamento può nascondere altro che il pericolo e la prossimità al nulla. Qui il sacrificio è ancora quello nel nuovo viaggiatore, nello spettacolo sommerso dei “pesci che vegliano i morti / in cerca d’una casa, d’un lavoro”. Ma è anche quello dell’altro che “era l’altrove nudo e appeso” e di anime che vivono uno spazio urbano fatto anche del “verde dei cimiteri intorno al paese”, ai margini (ma simbolicamente ben dentro) di una vita completamente devastata dalla incomunicabilità (parola che viene dal lontano esistenzialismo filmico ma che si attaglia – purtroppo – assai bene al nostro oggi):
madri che parlano ai figli con la fretta
di riagganciare. La casa non è questa
ironica la brezza sussurra all’orecchio.
Il sottosuolo manda anche qui inquietanti segnali di incombente minaccia, rappresentando una delle forme di quell’altro presente nelle ultime cose di Brandolini, pronto a cambiare improvvisamente aspetto, ma in grado di impadronirsi di un uomo ormai in balìa delle cose di cui si sta circondando con l’illusione di diventare felice e forse altro che umano, causando la reazione del demone: “il pavimento si sgretola / sotto i piedi e allora si profila la caverna / dove regna il vuoto”.
Il rischio che questa poesia enuncia (nel senso che non si tratta di un programmatico manifesto di denuncia sociale: la sonda è molto più profonda, e arriva in zone dove una delle possibilità è la sospensione, quando non il rovesciamento del giudizio etico) è quello della mescolanza dei valori e dell’anomia.
Dove sono le possibilità? Dov’è la terra promessa oltre le ragioni conquistate, spolpate, inabissate negli scarti? Dov’è la vera ragione di vita? L’attesa è lunga, dura da talmente tanto tempo che si può iniziare a dubitare che davvero sia stata enunciata la parola che salva: “Nulla è cambiato / da mesi attendo un aiuto per disfare i grovigli”.
Abbiamo posto i sigilli alle confessioni di sacrestia, perché era un armamentario controriformistico, superstizioso, abbiamo costruito più comodi lettini dai quali implorare confessioni più aggiornate perché materialmente verificabili, più controllabili. Ma non abbiamo mai scalfito quella pulsione al ritorno, che non è solo malattia, ma tentativo di riconoscersi in un tutto in cui l’uomo non sia più demiurgo, visto in quali condizioni ha ridotto il suo capolavoro, di riposare nelle forme di una creazione da cui ci siamo tirati fuori con l’artificio e la violenza:
Stella che scruti con un occhio soltanto invita
l’angelo a sollevarsi dalle spine! ne sapeva più
di noi il gatto stando al sole.
L’angelo e l’animale chiudono un cerchio fatale sul rimosso degli uomini che hanno cercato altrove la strada e che ora non trovano il ritorno, mentre si alzano alte le grida della discordia causate dalla mancanza di progetto e dalla confusione di lingue interiori “Mi spingo all’interno e guardo nel sogno / il sogno è un muro e l’assenza non nutre”.
Come si noterà leggendo queste liriche il laicissimo Brandolini è latore di un messaggio autenticamente religioso, nel senso di una ricerca di legame forte che ricrei le condizioni di un senso, non si dica collettivo, ma capace di fomentare di nuovo ricerche in un deserto senza orizzonti:
Non replicò gli mancava il vigore necessario la voglia
di aprir bocca, si lasciò scivolare nel rifugio e il corpo
divenne l’indifferente testimone della resa. Avvertiva
bisbigli provenienti da un’altra vita. Vuoto vago
che non porta aria ai polmoni. Le calunnie gli parevano
giuste sebbene immotivate: una chiesa una torre un arco
medievale. Dammi la mano se vuoi che ti aiuti ma già
l’angelo era sceso dal piedistallo e chiedeva a tutti
la direzione giusta: le ali di gesso piegate in una smorfia.
Alle parole del sacro nascosto – nel riconoscimento dello spazio necessario della vita contro ogni suo contrabbando – spetta di nuovo il compito di parlare ai cercatori di acqua sepolta, al di là dei riti stabiliti, che sondano gli abissi con la guida di antiche eco, fatte di parole, di simboli che avevamo messo da parte come sovrastrutture d’antiquariato. Il terribile verso “tra noi non ci sono più sogni” sembra l’ultimo grido prima della fuga dai luoghi comuni d’occidente per tentare il contatto con qualcosa che è già stato, non solo poeticamente, nostro.