Mario Castellana per Maria Grazia Palazzo con «Toto corde»
![]() Toto corde
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autori: | Maria Grazia Palazzo |
formato: | Libro |
prezzo: | |
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NOTA di LETTURA a
Toto corde, Maria Grazia Palazzo, La Vita Felice Ed., 2020 Milano, prefazione di Rita Pacilio
Nella vita di ognuno di noi si arriva ad un certo punto, sotto il peso di esperienze di vita, a farne tesoro, per usare una espressione presa a prestito dal testo biblico dei Proverbi; e per chi si avventura poi nell’universo poetico come nel caso di Maria Grazia Palazzo, ogni singola silloge portata termine è fare un tesoro del precipitato delle diverse tappe del proprio vissuto, riscritto e ripristinato sotto altre forme col darne un senso diverso ma arricchito dall’incessante lavorio sulla parola e del suo potere quasi magico se per questa parola si intende la particolare capacità di dare voce al reale e di farne emergere dimensioni non facilmente percepibili e catalogabili in schemi precostituiti. In tal modo, il reale, o meglio per usare un’espressione di Simone Weil, l’attraversamento delle rugosità del proprio reale da cui ogni singola poesia di Maria Grazia Palazzo parte, si traduce in afflato poetico in grado di universalizzarsi e di essere colto da ogni lettore nella sua estrema verità senza bisogno di ulteriori commenti o chiarimenti lessicali e semantici.
Toto corde costruisce, infatti, il suo specifico percorso o meglio ‘spazio letterario’ nel continuo ed ‘infinito intrattenimento’, per usare espressioni di Maurice Blanchot, su suoni, luoghi, ‘nodi’, ‘respiri’, ‘zolle’ che vengono interrogati come portatori di qualcosa di nascosto per le loro “connessioni profonde legate alla natura e alla cultura”, quasi “sinapsi di una storia sommersa e in fieri”, come suggerisce la stessa autrice nella breve nota finale; e questo dà loro nuova linfa poetico-esistenziale sia perché, come richiama lo stesso titolo, da un lato non si possono cogliere senza il ruolo attivo di quelle che si potrebbero chiamare pascalianamente ‘ragioni del cuore’ e dall’altro senza quei desiderata di fondo a cui Maria Grazia Palazzo dà voce e che albergano pur nascosti nei meandri di ogni vissuto come il sentirsi parte integrante di un mondo pur con la propria individualità e sensibilità. Così ogni poesia presente nella silloge, nell’oscillare tra immaginazione e percezione delle potenzialità di ogni reale colto nella sua unicità ed irripetibilità, è espressione di questa matura presa di coscienza dell’interdipendenza tra noi e ciò che ci circonda che trova le sue ragioni teoretiche in questi ultimi decenni e primi del nuovo secolo nel cosiddetto pensiero complesso, le cui coordinate a livello poetico sono germogliate, sia pure in modo embrionale, nella produzione leopardiana e del poeta romantico inglese Keats per poi esplodere nella poesia moderna a partire da Baudelaire.
E questo è il miracolo che ‘Madre-poesia’, come la chiama Maria Grazia Palazzo, compie nel coniugare presente e futuro, il di più ed il di meno, aspirazioni e fallimenti, ideali e rugosità del reale, silenzio dell’anima che ‘si fa largo’ e rumori esterni che a volte sembrano schiacciare la volontà dell’io che quando riesce a ribellarsi trova sempre uno sbocco ma con la rinnovata coscienza dei suoi intrinseci limiti perché non può mentire sulla realtà che lo circonda, come ci ricorda Simone Weil; l’atto poetico, lo spazio letterario vivono in maniera intensa ed unica tale stato di cose e richiedono per questo, quasi per loro natura intrinseca, l’ossimoro toto corde ed il concorso di più fattori, dove appunto i nostri reali, i nostri desiderata più reconditi o meno, i nostri spazi vitali a volte ideali ma necessari vengono riconfigurati e rigenerati col dare quasi magicamente vita al “carico di assenze” di cui ogni vita umana strutturalmente è impregnata. Ogni singola poesia presente in Toto corde vive questo stato di cose dentro la singola parola sino a penetrare nello stesso stile che sembra nella sua essenzialità naturale anche se è il frutto di un lavorio linguistico particolare. Una poesia più di altre esprime questa tensione dove il linguaggio ci mette di fronte quasi ad una vertigine nel vivere il tortuoso percorso dei nostri ‘labirinti’ e nello stesso tempo ‘cercare parole di liberazione’, come in ‘Adoro arrampicarmi sugli specchi’: “nella mutazione della materia salvare la nostra destinazione osservare la natura filogenetica, la stagione muta, il cuore”.
Mario Castellana, Epistemologo, già docente Filosofia della Scienza, Unisalento