Melania Panico per Ketti Martino
![]() Del distacco e altre impermanenze
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autori: | Ketti Martino |
formato: | Libro |
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La sequenza dei quattro capitoli del testo come itinerario formativo in cui la ferita lascia col tempo posto alla purificazione, naturalmente attraverso la parola che caustica, non senza lasciare cicatrici.
Ruolo chiave è affidato all’assenza, ed è qui che voglio soffermarmi, segnando le linee di un percorso poetico che dal simbolismo e post-simbolismo giunge fino alla poesia di area vociana ed ermetica.
C’è uno stretto rapporto tra assenza e altrove, inteso quest’ultimo come eternità, assoluto, spesse volte vuoto. Tutto questo è possibile grazie all’apporto della parola poetica che conduce in un oltre scandito da silenzi.
Nella poesia simbolista di fine Ottocento ontologia e nichilismo si fondono insieme.
La poesia di Mallarmé, citando Carlo Bo: “ha conosciuto la necessità irrimediabile di certe parole, la loro formulazione attiva e anteriore basata sul silenzio, sull’assenza”. Si presenta come poesia di evocazione, continuamente minacciata dall’attacco del Nulla. E poi penso ad Alfonso Gatto nella poesia La stanza:
[…]La mia stanza ha il vuoto che le lasci
non le manca la sedia, ma il tuo posto.
Non manca il giradischi, la tua voce
manca e il silenzio dell’averti intorno.
Mancano gli occhi tuoi più dello specchio.
Nella poesia di Alfonso Gatto la poetica dell’assenza e del vuoto trova il suo correlativo nel linguaggio che diventa quasi rarefatto. È molto spesso poeta legato ai silenzi, ai sussurri. E quindi la poetica dell’assenza, a volerla definire così, appoggia diverse rappresentazioni stilistiche e concettuali.
Nei versi di Ketti Martino l’assenza non è la condizione di una poesia che si ripiega su se stessa ovvero una poesia autoreferenziale, suggestiva o evocativa. Non è solo il silenzio ma un dolore pronunciato che segue ogni risveglio.
[…]Urtai contro il dolore
meditavo l’indicibile mentre
il mondo era già sparito
Si può urtare contro il dolore ma si può urtare anche contro l’assenza.
La non-presenza diventa elemento fisico non marginale quando confonde, quando si sente nel corpo. Il senso di mancanza fisica dà allora vita ad una presenza, una realtà concreta con cui confrontarsi. L’assenza, il vuoto, trova direttamente trasposizione anche nel tema della memoria e non in senso montaliano ovvero come impossibilità di dare vita al ricordo delle cose e delle persone care.
Come fare continuamente i conti con qualcosa che è nel corpo, che si nutre di sensazioni e ne viene alimentato.
L’assenza è, nella sera, museo silenzioso. L’autrice scrive:
[…]La tua assenza è in me,
intervallo che a volte viaggia;
ha fatto un nido caldo in cielo
e nella testa.
Il commiato, lo spazio vuoto, il distacco. Ma niente è sospeso, come a lasciare presagire una temporaneità. Questi elementi si fanno largo nel testo e si fissano come perni in una parete.
Eppure nel vuoto si può costruire.
Al contrario il tempo ha prodotto sì delle amputazioni alle quali non si può porre rimedio ma la speranza non è quella di un conforto o di trovare consolazione nel passato, ma nella consapevolezza, realtà ultima. È incurvarsi insieme ai rami e alle fitte chiome.
Se da una parte ci troviamo di fronte all’impossibilità di sciogliere il mistero della vita, la proposta non è una forma di conoscenza in negativo.
Nei versi di Ketti Martino l’assenza diventa resistenza. Il nulla, la mancanza, le partenze, i giorni che seguono il proprio evolversi, l’ordine domestico da gestire, le voci quotidiane, sono tutti elementi che diventano canto di purificazione, attraverso la poesia.